Il filosofo liberale sorvegliato speciale, Mussolini e la macchina del fango. La nuova ricerca di Mimmo Franzinelli

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Croce e il fascismo (Laterza 2024) è, a mio parere, uno dei migliori libri di Mimmo Franzinelli. La ricerca archivistica dello storico è come sempre cospicua e pertinentissima, diretta a illuminare l’oggetto indagato, in questo caso la situazione di Croce sotto il fascismo: grazie «agli imponenti carteggi del ministero dell’Interno, si può ricostruire la vita di un sorvegliato speciale, i cui spostamenti sono costantemente segnalati e la corrispondenza sistematicamente intercettata». Franzinelli ci restituisce con precisione l’unica voce libera in vent’anni di dittatura, senza soffermarsi più di tanto sulla questione dell’iniziale consenso crociano al movimento fascista, dovuto – come è noto – a ragioni più pratico-politiche che ideologiche. In ogni caso, su tale consenso che aveva alla base un gigantesco errore di valutazione che gli impedì di cogliere la natura eversiva del fascismo, Croce non tornerà mai volentieri e neanche sulla sua interpretazione minimizzante del fascismo quale parentesi nella storia italiana ed europea, una “malattia” nata dalla crisi dell’Europa liberale (su questo esiste una messe di studi, da quelli di Gennaro Sasso ai più recenti di Eugenio de Rienzo). Quello che interessa allo storico, dicevamo, è provare come Croce fosse un sorvegliato speciale: i controlli, la violenza verbale che per anni si è abbattuta su di lui, le intimidazioni, le spie che gli stavano attorno, la rottura di grandi sodalizi intellettuali come quello con Giovanni Gentile… Il regime cercherà di creare una sorta di terra bruciata attorno al filosofo, che Croce tenterà di superare grazie alla sua fama internazionale e al suo liberalismo che diventa dissidente a partire dal “Manifesto degli intellettuali antifascisti del 1925”.

Nel tuo libro si può seguire una linea temporale che va dal consenso iniziale di Croce al movimento fascista fino alla morte di Matteotti e, successivamente, quella lungo la quale ricostruisci puntualmente la fermissima e quasi ventennale opposizione del filosofo al regime. Ce ne parli?

Un itinerario inizialmente accidentato, poiché la grande maggioranza degli intellettuali liberali guarda inizialmente al movimento fascista come a un fattore di contenimento del massimalismo socialista e della spinta a sinistra che caratterizza il “bienno rosso” 1919-1920: da Luigi Einaudi a Gaetano Mosca è comune questa analisi che sottovaluta e di molto i fascisti. Ancora sino al 1924 Croce crede in un possibile “recupero” delle camicie nere nell’alveo del liberalismo, tranne rendersi conto tardivamente che il tratto eversivo che caratterizza i fascisti è — al contrario — destinato ad approfondirsi. A quel punto, coerentemente con la sua collocazione liberale di matrice conservatrice, e per conservare le garanzie statutarie, comprende di doversi opporre al costituendo regime. Quando, nella primavera 1925, Giovanni Gentile lancia il Manifesto degli intellettuali fascisti Croce gli contrappone un documento che raccoglie una quantità di adesioni. Ma al consolidamento della dittatura seguirà il graduale voltafaccia della grande maggioranza degli intellettuali, piegatasi a Mussolini con un comportamento spesso servile.

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A un certo punto Croce diventa il punto di riferimento di tutta l’opposizione al fascismo, sia per quella interna dissimulata, sia – soprattutto – per tutto l’antifascismo in esilio. Che peso hanno, in questo, libri come Storia d’Italia e Storia d’Europa?

Quei due testi, accolti con straordinario favore dal pubblico, tanto da avere numerose ristampe, hanno arrecato un fastidio notevole alla cultura di regime, che in una dimensione di autarchia e provincialismo esaltava Cesare Augusto quale precursore del duce e presentava il Risorgimento come la protostoria del fascismo. Contro i due volumi si è mobilitata tutta la stampa, che ne ha attaccato l’Autore montando una notevole macchina del fango. La Storia d’Europa ha riscosso estesi plausi anche all’estero. E quelle due opere sono diventate un riferimento per gli intellettuali antifascisti, a partire dai giellisti (Ernesto Rossi, Massimo Mila, Vittorio Foa ecc.) incarcerati a Regina Coeli: lo si apprende dal loro epistolario familiare e dalle testimonianze del secondo dopoguerra.

Benedetto Croce fotografato da Mario Nunes Vais nei primi anni Trenta

In che modo avviene il crescendo di controlli, intimidazioni e violenza, volgarità verbale nei confronti di Croce? Da cosa è indotta la “secessione” di amici e studiosi che lo lasciano solo?

Croce viene pedinato e la sua corrispondenza intercettata e trascritta. All’esterno di Palazzo Filomarino, dove egli abita con la famiglia, vi è un posto di polizia. Il suo cenacolo si disperde poiché chiunque gli scrivesse o lo frequentasse veniva automaticamente spiato. Regge tuttavia una rete di contatti interna e estera, che ho potuto ricostruire sulle fonti di polizia. E gli rimane la rivista “La Critica” sulla quale, pur con autocensure derivanti dal contesto politico, esprime la sua fiducia nella libertà e nell’avvenire delle democrazie.

Palazzo Filomarino, casa napoletana di Benedetto Croce

Quale fu il rapporto di Croce con le leggi razziali del ’38 e il razzismo fascista?

Tre le principali acquisizioni del volume vi è l’avversione assoluta al razzismo e l’impegno solidale nei confronti dei perseguitati, italiani e non. Al profilarsi del pericolo nazionalsocialista prese subito posizione e intensificò i legami con intellettuali quali l’austriaco Leo Spitzer o i tedeschi Thomas Mann e Stefan Zweig. Quando poi, dal 1938, inizia l’esodo dall’Italia, prende a cuore la sorte degli esuli e in loro favore intercede presso rettori di università e accademie, affinché potessero trovare un’occupazione degna. A proposito di razzismo, vi è una polemica frontale con Giovanni Gentile, con quale dall’inverno 1924-25 è interrotto ogni rapporto dato il ruolo di “filosofo del duce” assunto dall’ex collaboratore. Ebbene, nel 1939 Gentile fa pubblicare dalla propria casa editrice Sansoni una monografia antisemita scritta durante la grande guerra da un letterato già amico di Croce, Francesco Gaeta (morto da una dozzina di anni), rimasta sino a quel momento inedita: la polemica — ignorata dalla storiografia — getta una luce sinistra sulla figura di Gentile, che con la pubblicazione di quel volume contribuì alla persecuzione degli ebrei (non a caso quel libro sarà riedito nel 1944 e poi a inizio 1945 su iniziativa dell’Ispettore alla razza Giovanni Preziosi).

Benedetto Croce nell’ultimo periodo di vita

Quale fu il giudizio storico e umano di Croce su Mussolini?

Croce non ebbe mai stima di Mussolini, che considerava sostanzialmente un parvenu e in fondo disprezzava. Il duce era consapevole di quel giudizio e il fastidio provatone lo ha portato ad accentuare gli attacchi al filosofo, come all’indomani della discussione in Senato sul Concordato con la Chiesa, quando Croce intervenne con un discorso critico che gli attirò gli strali dell’intera stampa. Il duce gli rispose con un intervento in Senato definendolo “imboscato della storia” e vantandosi di non avere mai letto una pagina di Benedetto Croce (il che, peraltro, non era assolutamente vero). Dopo l’implosione del volume, Croce considerò politicamente defunto Mussolini e anche quando recuperò grazie ai nazisti una parvenza di potere il filosofo continuò a ignorarlo, impegnandosi, anche al governo, per la mobilitazione contro l’occupante tedesco. Durante la RSI, invece, il duce si occupò di Croce e di nuovo utilizzò la stampa per attaccarlo, e gli dedicò lunghi appunti rimasti inediti e che ho trascritto nella parte finale e di “Croce e  il fascismo”.

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