In una crisi così lunga, la salute diventa un privilegio

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Ci sono intere aree dell’Ucraina che dipendono dagli aiuti umanitari e dall’azione incessante delle ong. Non si tratta solo degli insediamenti a ridosso del fronte, dove trovare qualsiasi cosa è ormai un problema, ma anche delle regioni meridionali dove la vicinanza dei due schieramenti rende qualsiasi operazioni pericolosa.

Portare cibo e beni di prima necessità in tali zone diventa un compito pericoloso e solo grazie alle centinaia di volontari che rischiano la vita ogni giorno chi si rifiuta di farsi evacuare può ancora resistere. Ma fornire generi di conforto è solo una delle iniziative necessarie per una popolazione in una crisi così grave.

Ne abbiamo parlato con Filippo Agostino, capo-missione per l’Ucraina di Intersos.

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Dal punto di vista umanitario, che tipo di Ucraina inizia il quarto anno di guerra?

La prima parola che mi viene in mente è: stanca. Un’Ucraina che soffre della mancanza di elettricità, di un sistema medico e scolastico adeguato e con gravi carenze nel trattamento della salute mentale. In parallelo è un Paese sempre più povero dato l’aggravarsi del contesto economico. Come è già avvenuto in Siria, la crisi Ucraina si sta trasformando in una «crisi protratta».

Quali sono i problemi principale che riscontra come capo-missione di una ong?

Un aspetto emergenziale che permane, nonostante il passare del tempo, nelle zone più vicine al confine, alla linea del fronte o in quelle città nelle retrovie che vengono bombardate più spesso. Ci sono ogni giorno nuovi sfollati interni e quindi bisogna intervenire direttamente sia per chi non può rientrare nella propria abitazione sia per chi una casa non ce l’ha più a causa degli attacchi di missili e droni. Inoltre ci sono i feriti, i malati cronici, quelli che hanno sviluppato «malattie facilmente curabili» che però si sono acutizzate non essendo state curate. Solo per citare alcuni esempi. C’è poi uno specifico problema medico/sanitario che nasce dall’impossibilità delle istituzioni locali di rispondere alle esigenze della popolazione. La popolazione più povera e sfollata ha più difficoltà ad accedere ai servizi medici di base e, ancor di più, a quelli specialistici, il che vuol dire un incremento di tutte quelle che si chiamano «malattie facilmente curabili», ovvero patologie lievi (alta pressione, malattie cardiovascolari o polmonari, diabete…) che in un contesto normale e con le dovute cure vengono prese in carico. Mentre in situazioni di conflitto come quella ucraina non sono curate bene, o affatto, e quindi determinano una serie di conseguenze gravi, anche mortali.

La popolazione inizia ad avere problemi economici anche gravi, mangia poco e male, fa una vita insalubre e non si può permettere le cure mediche. Anche perché, direttamente dai missili o indirettamente a causa dell’azione della contraerea – non è questo il punto – moltissimi ospedali e cliniche sono stati bombardati e ora sono chiusi. Insieme alle scuole, gli edifici sanitari sono al primo posto tra gli edifici pubblici colpiti nei pressi del fronte. Infine, la salute mentale. Secondo gli ultimi dati dell’Onu, un terzo delle famiglie ucraine ha al suo interno un membro con problemi psicologici gravi causati dalla guerra. E questa percentuale sale all’88% nelle zone a ridosso del fronte. I disagi ci sono per i soldati che in molte aree combattono da tre anni e sono da mesi al fronte senza possibilità di avere il cambio, ma in modo particolare per i bambini che da tre anni nelle regioni di combattimenti attivi (Kherson, Kharkiv, Donetsk, Zaporizhzhia) fanno lezione solo online. Prima erano già stati due anni isolati a causa del Covid e ora tutta questa sofferenza li porta a essere isolati da cinque anni. Un’eternità.

Una mole così importante di problemi psicologici non avrà strascichi devastanti sul futuro dell’Ucraina? Un paragone diretto sembra quello con la prima guerra mondiale e tutta la conseguente ondata di derive politiche e sociali in Europa.

Su questo sono leggermente più ottimista: so che con il giusto lavoro e il ripristino di tutto il servizio socio-medico-sanitario anche queste persone potranno tornare a una sorta di normalità. Ma si tratta di un ragionamento a lungo termine. Il rischio è reale, parlando dei soldati, ad esempio, è chiaro che vedere solo distruzione, morte, difficoltà varie per anni ha un impatto devastante sulla salute mentale. Senza contare che nelle crisi protratte i soldati generalmente perdono ogni tipo di professionalità e non si «inseriscono» nelle società post-belliche. Si sentono tagliati fuori e trovano una realtà che non corrisponde più a quella che hanno lasciato. Allo stesso modo gli sfollati che sono fuggiti all’estero tornano e trovano un paese che non riconoscono. Si crea una frattura enorme in tutta la società. Non credo che sia insanabile, ma solo se la guerra finisse e si stanziassero i fondi necessari per affrontare queste problematiche. Diversamente, se si dimentica questa popolazione dal giorno dopo il cessate il fuoco i problemi non faranno che aggravarsi.



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