Di Giuseppe Gagliano
NUOVA DEHLI. Mentre l’Occidente cerca di isolare l’industria aeronautica di Mosca, un’inchiesta rivela come milioni di dollari in pezzi di ricambio di Boeing e Airbus continuino a raggiungere la Russia attraverso società intermediarie con base in India.
Un gioco di specchi geopolitico ed economico che coinvolge Nuova Delhi – sospesa tra Mosca e l’Occidente – e mette a nudo le falle di un regime sanzionatorio alle prese con le sfide della globalizzazione.
L’indagine: ricambi occidentali in volo verso Mosca (via Nuova Dehli)
Nel marzo 2022, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, i colossi aerospaziali occidentali annunciarono il taglio di ogni rapporto con Mosca.
“In linea con le sanzioni internazionali, Airbus ha sospeso i servizi di supporto alle Compagnie aeree russe e la fornitura di pezzi di ricambio”, dichiarò la società europea, subito dopo una mossa analoga della concorrente statunitense Boeing.
Tuttavia, a quasi tre anni dall’inizio del conflitto, questa linea di fermezza è stata aggirata da un flusso sommerso di componenti aeronautici: centinaia di spedizioni partite da fornitori occidentali sono arrivate alle compagnie russe passando per l’India, in aperta elusione delle sanzioni.
Un’analisi sui dati doganali condotta dal consorzio Investigate Europe ha rintracciato oltre 700 spedizioni di parti di ricambio aeronautiche – per un valore complessivo stimato di oltre 50 milioni di dollari – inviate da aziende occidentali tra gennaio 2023 e settembre 2024 verso l’India e da lì riesportate a società e linee aeree russe.
Le merci scaricate a Mosca variano da componenti critici (generatori elettrici, sensori, display di volo, pale di eliche) fino a elementi minuti come viti, bulloni e filtri.
Più del 40% di questi carichi proveniva originariamente dagli Stati Uniti, e circa un terzo da fornitori o aeroporti europei. I principali destinatari russi risultano essere Compagnie aeree civil – come Aeroflot, Ural Airlines e Utair – tradizionalmente dipendenti da pezzi di fabbricazione estera.
Un aereo dell’Aeroflot
Le indagini, condotte in collaborazione con testate di 11 Paesi, evidenziano come l’India sia emersa quale snodo cruciale per queste triangolazioni.
In passato l’attenzione si era concentrata su intermediari in Turchia, Kazakistan, Kirghizistan o Cina, ma i nuovi dati mostrano New Delhi assumere un ruolo di primo piano nel rifornire l’industria aeronautica russa colpita dalle sanzioni.
Alcune delle società indiane coinvolte – spesso di piccole dimensioni o nate di recente – sono state segnalate dalle autorità USA alla fine del 2024 come parte di **reti di “evasione delle sanzioni”**.
Tra i fornitori occidentali i cui prodotti compaiono in queste spedizioni ci sono nomi di primo piano: Boeing, la cui catena logistica interna ha visto oltre 80 invii destinati all’India poi finiti in Russia; Airbus, tramite la sua controllata danese Satair, che ha spedito almeno 12 carichi verso intermediari indiani in pochi mesi; e persino la Superjet International – la joint venture italo-russa che supporta i jet regionali Sukhoi Superjet – i cui pezzi di ricambio hanno continuato a trovare la via di Mosca nonostante le sanzioni.
Complessivamente, Investigate Europe ha identificato oltre 100 aziende in Europa e Nord America le cui forniture sono transitate dall’India alla Russia.
Non vi è indicazione che tali società occidentali abbiano agito illegalmente né che fossero consapevoli della destinazione finale in Russia.
La pratica comune vede infatti i produttori vendere a distributori o clienti intermedi senza visibilità sull’uso ultimo dei pezzi
Ma il risultato è chiaro: de facto, importanti componenti aeronautici occidentali continuano ad alimentare la flotta russa malgrado l’embargo, grazie a società intermediarie indiane che sfruttano le maglie larghe del commercio globale.
Intermediari spregiudicati: Boeing, Airbus e Superjet “aggirati”
Il meccanismo emerso dalle inchieste è spesso analogo. Piccole imprese indiane, talora fondate dopo l’inizio della guerra, acquistano legalmente pezzi di ricambio da fornitori occidentali (per i quali vendere in India non è vietato) e subito dopo li rivendono a clienti russi sotto sanzioni.
Ad esempio, la neonata Aerotrust Aviation di Nuova Delhi – registrata a fine 2021 – si è rapidamente affermata come intermediario per Compagnie russe.
Dal 2023 ha inviato in Russia ricambi per circa 7 milioni di dollari, di cui l’80% tracciabile ai magazzini di aziende occidentali. Il suo principale cliente risulta il gruppo statale Aeroflot, che sotto le sanzioni fatica a mantenere in volo la flotta e ha beneficiato di almeno 15 carichi provenienti da Boeing tramite Aerotrust.
la neonata Aerotrust Aviation di Nuova Delhi si è rapidamente affermata come intermediario per Compagnie russe
Un altro attore chiave è Ascend Aviation, società con sede vicino all’aeroporto di Delhi.
Diverse multinazionali – tra cui Boeing e la già citata Airbus Satair – hanno venduto componenti ad Ascend, ignare (stando alle dichiarazioni ufficiali) che sarebbero stati girati in Russia.
L’analisi doganale mostra che Ascend ha fornito parti a vettori come Aeroflot e Ural Airlines, diventando in breve un hub ufficioso per la manutenzione aeronautica russa.
I bilanci societari testimoniano il balzo di questo business: il fatturato di Ascend è passato da 72 milioni di rupie nel 2021 a 985 milioni (circa 11 milioni di euro) nel 2022, in concomitanza con l’esplosione delle vendite verso Mosca.
Il 30 ottobre 2024 gli Stati Uniti hanno inserito Ascend Aviation e i suoi due direttori sulla lista nera, accusandoli esplicitamente di far parte di reti di elusione delle sanzioni e di aver esportato centinaia di spedizioni di componenti (inclusi prodotti di origine USA) a clienti russi.
Un destino simile è toccato ad Agrim Aviation, altra ditta di Delhi identificata come snodo del traffico.
Agrim – nata nel 2017 ma cresciuta durante la guerra – è stata sanzionata dal Dipartimento del Commercio USA perché “avrebbe dirottato o tentato di dirottare” componenti aeronautici verso la Russia.
I dati indicano oltre 160 spedizioni transitate da Agrim tra gennaio 2023 e settembre 2024, dirette quasi tutte alla Compagnia Utair.
Quest’ultima, pur essendo formalmente un operatore civile, è stata sanzionata dall’UE nel dicembre 2024 per aver fornito supporto logistico alle forze armate russe (i suoi aerei trasportavano personale militare nelle zone occupate dell’Ucraina).
Tra le forniture instradate da Agrim figurano parti di elicottero: ad esempio la monegasca Heli Air Monaco – una compagnia charter della Costa Azzurra – ha venduto a Agrim 10 carichi di componenti (come pompe di alimentazione carburante) tra il 2022 e il 2024, tutti poi finiti ai reparti tecnici di Utair.
Anche in questo caso l’azienda occidentale afferma di non aver violato alcuna regola, trattandosi di vendite legali all’India, e sostiene di non sapere del successivo inoltro in Russia.
Particolarmente delicato è il caso di Superjet International (SJI), la joint venture con sede a Venezia nata dalla cooperazione tra l’italiana Leonardo e la russa Sukhoi.
Un prototipo Sukhoi Superjet
Dopo l’invasione, la quota russa in SJI (90% del capitale, in mano alla holding statale UAC) è stata congelata dalle autorità italiane, e Leonardo (che mantiene il 10%) ne ha assunto la gestione con il Governo italiano.
Nonostante ciò, l’inchiesta rivela che almeno 11 spedizioni di componenti SJI sono arrivate in Russia passando per l’India anche dopo la “nazionalizzazione” della società.
In particolare, il 27 marzo 2024 SJI ha inviato ad una società di Delhi, Allestro Aero Solutions, un’unità “side-stick” (la cloche laterale di pilotaggio) del valore di 400 mila dollari, classificata tra i prodotti “ad alta priorità” perché potenzialmente utilizzabile in ambito militare.
Nel giro di poche settimane, quel componente critico è stato riesportato a Mosca per conto di Rapart Services, società controllata da UAC e sanzionata dall’UE per il suo ruolo a supporto dell’industria bellica russa.
Secondo Investigate Europe, Rapart ha acquistato complessivamente oltre 3 milioni di dollari in pezzi originariamente provenienti da Superjet attraverso canali indiani.
Tutte queste transazioni passavano dalla citata Allestro, ditta registrata nel 2015 come rivenditore di abbigliamento online, rimasta inattiva fino a quando – fiutata l’opportunità – nel 2023 ha cambiato oggetto sociale dedicandosi ai ricambi aeronautici.
I suoi ricavi sono schizzati da praticamente zero nel 2022 a 259 milioni di rupie (circa 2,8 milioni di euro) l’anno seguente.
I titolari di Allestro, interpellati dai reporter, si sono trincerati dietro il silenzio, salvo far dire tramite una società collegata che *”tutte le nostre attività sono perfettamente legali. Eventuali problemi li affronti il Governo indiano”*.
Le aziende occidentali coinvolte, dal canto loro, negano qualsiasi condotta illecita e affermano di aver rispettato le sanzioni. Boeing ha dichiarato di aver “sospeso tutte le operazioni significative in Russia” già nel marzo 2022, rifiutando ulteriori commenti sulle spedizioni specifiche.
Airbus, tramite un portavoce, assicura di agire “in conformità con leggi e regolamenti” e di essere *”attivamente impegnata a prevenire elusioni e triangolazioni”*.
Superjet International ha ribadito di “operare nel pieno rispetto delle normative” e di “non aver inviato alcuna spedizione in Russia dall’introduzione delle sanzioni”, aggiungendo che tutti i contratti includono clausole di divieto di esportazione verso Mosca.
La società italo-russa, messa di fronte alle evidenze, ha comunque annunciato di aver sospeso temporaneamente le vendite alla Allestro in attesa di verifiche interne. Sta di fatto che, attraverso queste falle nella catena di fornitura, l’embargo aeronautico è stato parzialmente svuotato: componenti essenziali continuano a raggiungere le flotte russe, mantendole in aria nonostante le sanzioni.
Nuova Delhi tra Mosca e Occidente: l’equilibrio geopolitico
Sul piano geopolitico, il caso mette in luce il delicato equilibrio che l’India persegue tra Russia e Occidente.
Nuova Delhi, infatti, non ha aderito alle sanzioni internazionali contro Mosca – in linea con la sua tradizionale politica di neutralità attiva.
Le autorità indiane hanno più volte chiarito di non riconoscere sanzioni unilaterali imposte da singoli Paesi, ma solo misure decise collettivamente dalle Nazioni Unite.
Sin dall’inizio della guerra in Ucraina, l’India si è astenuta nelle votazioni ONU di condanna all’aggressione russa, adottando una posizione pubblica di neutralità formale (pur esprimendo auspici di pace e rispetto della sovranità).
Questa postura ha deluso molte capitali occidentali – per Washington in particolare rappresenta una divergenza su un principio fondamentale dell’ordine globale – ma riflette la peculiare collocazione strategica indiana.
Per Nuova Delhi mantenere un rapporto solido con Mosca è ritenuto vitale per vari motivi.
In primis, serve a controbilanciare l’egemonia della Cina nella regione: la Russia, storico partner dell’India sin dai tempi sovietici, funge da contrappeso geopolitico all’influenza di Pechino nel subcontinente.
Inoltre l’India dipende ancora in larga misura dalla fornitura di armamenti russi: gran parte dell’equipaggiamento militare indiano – dai carri armati ai sistemi missilistici, fino ai caccia Sukhoi – proviene dalla Russia, e include anche tecnologie avanzate indispensabili per tenere testa all’Esercito cinese.
Tagliare i ponti con il Cremlino potrebbe quindi esporre l’India a rischi sul fronte della sicurezza nazionale.
Allo stesso tempo, negli ultimi anni Delhi ha progressivamente rafforzato i legami con l’Occidente, specialmente con gli Stati Uniti, nell’ottica di diversificare le proprie partnership strategiche.
L’India è membro del Quad (il dialogo di sicurezza Indo-Pacifico con USA, Giappone e Australia) e partecipa attivamente alle iniziative regionali volte a contenere la Cina.
Dall’inizio della guerra in Europa, il Governo di Nehendra Modi ha cercato di non compromettere questi rapporti: se da un lato ha evitato di condannare apertamente la Russia, dall’altro ha mantenuto un canale di dialogo con Kiev, ha sostenuto dichiarazioni del G20 che richiamavano il rispetto della sovranità territoriale, e ha reiterato la necessità di una soluzione diplomatica.
Il prime ministro indiano Nehendra Modi
Questa doppia postura – niente sanzioni a Mosca ma amicizia con l’Occidente – è frutto di un fine calcolo di realpolitik.
Come sintetizzato da S. Jaishankar, influente ministro degli Esteri indiano, “l’India è dalla parte della pace… ma deve tutelare i propri interessi nazionali”. Tradotto: neutralità sul conflitto ucraino, pur di salvaguardare i vantaggi provenienti da entrambi i fronti.
Sul piano economico, infatti, l’India ha tratto beneficio dalla situazione generata dalle sanzioni occidentali.
Privata di molti sbocchi in Europa, la Russia ha aumentato il flusso di petrolio a prezzo scontato verso l’India, che ne ha approfittato per assicurarsi forniture energetiche a basso costo (e rivendere eventualmente il surplus sul mercato internazionale in forma di prodotti raffinati). Allo stesso modo, come rivela l’inchiesta sull’aviazione, alcune imprese indiane hanno colto l’occasione di riempire il vuoto lasciato dalle multinazionali occidentali che si sono ritirate da Mosca.
In un’economia di mercato, la guerra di altri può diventare l’”opportunità” di qualcuno: non a caso un adagio hindi citato dai media locali recita “aapda me avsar“, ossia *”nell’avversità, c’è un’occasione”*.
Almeno cinque nuove società sono sorte in India dopo l’introduzione delle sanzioni proprio con l’obiettivo di fare da intermediari per le forniture bandite, un business del tutto legale secondo le normative indiane. Questo spiega perché aziende come Allestro o Ascend, sconosciute fino a due anni fa, compaiano oggi nelle statistiche commerciali con impennate di fatturato a molti zeri.
L’Occidente, pur irritato dalla reticenza indiana, ha adottato sinora un approccio cauto.
Washington e Bruxelles considerano l’India un partner strategico troppo importante (per motivi economici e per il bilanciamento dell’Asia) per mettere a repentaglio la relazione con sanzioni secondarie o misure punitive dirette. In pubblico, leader europei e americani hanno espresso “preoccupazione” e “frustrazione” per la mancata collaborazione di Delhi nel isolare la Russia.
Dietro le quinte, si è lavorato di diplomazia: negli scorsi mesi gli USA avrebbero chiesto – con discrezione – maggiore vigilanza sui re-export e offerto condivisione di intelligence, mentre l’UE ha più volte sondato la disponibilità indiana a convergere su alcune restrizioni specifiche.
Nuova Delhi, dal canto suo, ha difeso l’operato delle proprie aziende: quando nell’ottobre 2024 gli Stati Uniti hanno sanzionato 19 entità coinvolte nell’aggiramento delle misure anti-Russia (tra cui 3 società aeronautiche indiane), il governo indiano ha subito replicato che nessuna di esse stava violando le leggi nazionali.
Fonti di stampa riportano che il tema è stato oggetto di confronto diplomatico tra Delhi e Washington, ma senza sviluppi sostanziali.
In sostanza, l’India rivendica la propria autonomia strategica e mal digerisce interferenze sulle scelte delle sue imprese, soprattutto da parte di potenze esterne. La sua priorità resta mantenere un piede in entrambe le sfere di influenza – russa e occidentale – finché la competizione globale non la costringerà a scegliere un campo.
Un’ancora economica per l’Aviazione russa (e un dilemma per l’Occidente)
Le rivelazioni sul flusso parallelo via India assumono rilievo notevole se valutate in termini di impatto economico sul settore aeronautico russo.
Uno degli obiettivi dichiarati delle sanzioni occidentali era infatti paralizzare l’aviazione civile russa, fondamentale sia per l’economia che per la mobilità interna di quel vasto Paese.
Fin dalle prime settimane di guerra, UE, Regno Unito e Canada hanno vietato l’esportazione di aerei e pezzi di ricambio verso la Russia, mentre gli USA hanno imposto stringenti controlli sulle esportazioni di componenti aeronautici a Mosca.
L’intento era chiaro: senza accesso a parti di ricambio, la flotta di aerei commerciali russi (composta in larga parte da velivoli Boeing e Airbus) avrebbe progressivamente dovuto restare a terra per mancanza di manutenzione.
Già entro metà 2022, le compagnie russe sono state costrette a “cannibalizzare” alcuni aeromobili – smontandoli per recuperarne i pezzi da usare su altri aerei – e a ridurre frequenze e rotte. Il numero di voli internazionali si è drasticamente contratto a causa del blocco degli spazi aerei occidentali, concentrando il traffico sull’ambito domestico.
Diverse stime indicano che, senza interventi correttivi, entro pochi anni la Russia avrebbe visto decimato il suo parco aerei operativo, con conseguenze pesanti sul piano logistico (collegamenti interni difficoltosi in un territorio enorme) e finanziario (perdite per le compagnie, svalutazione dei leasing, calo del PIL nel settore viaggi).
In questo contesto, le triangolazioni tramite Paesi terzi – come quelle orchestrate dagli intermediari indiani – hanno rappresentato per Mosca una sorta di ancora di salvezza.
L’arrivo, seppur irregolare e non ufficiale, di pezzi di ricambio occidentali ha permesso ai vettori russi di prolungare la vita operativa dei loro aerei.
Aeroflot, Utair, Ural Airlines e altri hanno potuto ottenere componenti essenziali (dalle valvole ai sistemi elettronici) per mantenere attivi i velivoli in servizio, evitando ulteriori esemplari “cannibalizzati” per necessità.
Ciò ha contribuito a contenere gli effetti delle sanzioni: ad oggi, nonostante le difficoltà, la maggior parte delle compagnie aeree russe continua a operare voli nazionali e alcune rotte internazionali verso Paesi amici, segno che l’infrastruttura aeronautica non è collassata come auspicato dall’Occidente.
Ovviamente, questa boccata d’ossigeno tecnologica per la Russia costituisce al contempo un fallimento parziale per la strategia sanzionatoria occidentale.
L’efficacia delle misure dipendeva dalla tenuta di un fronte comune globale: breccie come quella indiana rischiano di indebolire la pressione economica su Mosca, prolungando la sua capacità di sostenere lo sforzo bellico e le attività ad esso collegate (ad esempio, Utair ha potuto continuare a trasportare personale militare grazie alla manutenzione garantita da questi pezzi di ricambio).
C’è poi un tema di sicurezza aerea: molti dei componenti trasferiti sono di natura critica, e alcuni appartengono addirittura alla lista G7 degli articoli “ad alta priorità” perché già rinvenuti su equipaggiamenti militari russi o considerati indispensabili per l’operatività bellica. Il fatto che tali componenti sfuggano ai controlli ed entrino in Russia implica che l’industria militare di Putin possa servirsene per riparare o costruire mezzi impiegati sul campo di battaglia in Ucraina.
In altre parole, aggirare l’embargo civile può indirettamente rafforzare anche lo sforzo militare russo.
Dal lato delle imprese occidentali del settore aerospaziale, la situazione genera un dilemma complesso.
Ufficialmente Boeing, Airbus e gli altri costruttori hanno rinunciato al mercato russo – congelando contratti per nuovi aerei, supporto tecnico e forniture – in nome delle sanzioni e della pressione politica.
Ciò ha comportato significative perdite economiche: la Russia era un mercato emergente importante, con ordini di aeromobili del valore di decine di miliardi (basti pensare che solo Aeroflot aveva ordinato 22 Boeing 787 Dreamliner e 26 Airbus A350, consegne poi annullate). Sul fronte dei servizi e pezzi di ricambio, l’industria occidentale ha dovuto rinunciare a introiti consistenti derivanti dalla manutenzione del parco aerei russo.
Un Airbus A330 Multi Role Tanker Transport
Tuttavia, la scoperta del flusso via India suggerisce che parte di quel business è stato recuperato ufficiosamente: sebbene nessuna azienda ammetterà di aver tratto vantaggio dalle vendite indirette, di fatto diversi fornitori europei e americani hanno continuato a vendere – legalmente – i propri prodotti, che poi hanno trovato sbocco finale in Russia.
Paradossalmente, quindi, alcune società occidentali hanno comunque realizzato profitti mantenendo aperto (all’insaputa di molti) un canale commerciale con Mosca.
Si tratta in genere di forniture attraverso distributori e trader: ad esempio, Airbus Satair ha venduto kit e attrezzature ad Ascend Aviation, la quale li ha rivenduti a compagnie russe.
Analogamente, un magazzino in Florida ha spedito sei motori di elicottero a un cliente indiano (Agrim), e questi sono poi finiti in Russia. Tutte transazioni apparentemente legittime al momento della vendita, ma che a posteriori sollevano interrogativi etici e legali.
Questo stato di cose pone le aziende occidentali di fronte a un rischio reputazionale e operativo: se accusate di connivenza (anche solo colposa) nell’elusione delle sanzioni, potrebbero subire azioni legali, multe salate o ulteriori restrizioni da parte dei propri governi. Inoltre, col protrarsi del conflitto, i Governi occidentali potrebbero richiedere all’industria una maggiore collaborazione preventiva per chiudere i rubinetti aperti. Ciò potrebbe significare ulteriori costi per implementare controlli sui clienti finali, rallentamenti nelle catene di vendita e un clima di sospetto che incide sui normali flussi commerciali.
Ad esempio, se Boeing o Airbus iniziassero a rifiutare ordini da società di Paesi terzi considerate “a rischio re-export”, finirebbero per sacrificare vendite reali per timore di violazioni indirette. Il mercato occidentale dell’aerospazio, insomma, è chiamato a bilanciare l’adesione alla politica sanzionatoria con la tutela dei propri interessi: un equilibrio non facile, in cui entrano in gioco anche competitive fairness (le imprese europee potrebbero lamentare che concorrenti asiatiche o locali vendano a Russia ciò che a loro è vietato, distorcendo il mercato) e questioni di principio.
Non va trascurato, infine, il risvolto per la Russia stessa in chiave futura. Se da un lato i canali paralleli le consentono oggi di tirare avanti, dall’altro il Cremlino è consapevole di non poter contare per sempre su rifornimenti incerti e costosi.
Le autorità russe hanno annunciato investimenti massicci per sostituire l’importazione di componenti occidentali: da un programma accelerato per produrre in casa parti di ricambio compatibili con Airbus e Boeing, fino allo sviluppo di nuovi aerei civili al 100% russi (come il progetto Irkut MS-21 e il CR929 in partnership con la Cina, anche se quest’ultimo è in forse).
L’affidamento su attori come l’India è quindi una soluzione-tampone, in attesa di un riassetto dell’industria aeronautica russa verso l’autosufficienza – un obiettivo però ancora lontano e irto di ostacoli tecnologici.
La risposta di Washington e Bruxelles: arginare i flussi globali
Le evidenze di un continuo flusso di parti aeronautiche verso la Russia attraverso Paesi terzi hanno spinto gli Stati Uniti e l’Unione Europea a correre ai ripari con varie strategie, pur tra molte difficoltà.
Consapevoli che il regime sanzionatorio fa acqua senza un’applicazione rigorosa, Washington e Bruxelles hanno intensificato sforzi su più fronti: dall’azione diplomatica verso i Paesi “triangolatori”, all’inasprimento delle misure contro le imprese coinvolte, fino a iniziative volte a migliorare il controllo delle catene di approvvigionamento globali.
Washington ha adottato un approccio muscolare, sfruttando il peso del sistema finanziario e legale statunitense.
Il Dipartimento del Tesoro, in coordinamento con il Dipartimento di Stato e il Commercio, ha emesso negli ultimi mesi una serie di sanzioni secondarie colpendo società ed individui di Paesi terzi accusati di aiutare la Russia ad aggirare le restrizioni.
Nell’ottobre 2024, come detto, tre intermediari indiani (Ascend, Agrim e una terza società minore) sono stati inseriti nella Entity List americana, congelando di fatto i loro rapporti con gli Stati Uniti: ciò significa che qualsiasi controparte USA (banca, fornitore, cliente) ha il divieto di intrattenere rapporti commerciali con esse, pena severe penalità. In parallelo, gli Stati Uniti non hanno esitato a far scattare procedimenti penali laddove ravvisassero violazioni della propria legislazione sulle esportazioni.
Un caso emblematico è l’arresto di Sanjay Kaushik, titolare della società indiana Arezo Aviation Services: secondo i procuratori federali, Kaushik avrebbe orchestrato un “network di approvvigionamento illecito” importando negli USA componenti aeronautici critici, dichiarandoli destinati all’India, per poi spedirli segretamente in Russia.
Tra le parti coinvolte figurava un display di volo adattivo da 500 mila dollari, inviato dagli Stati Uniti ad Arezo e successivamente girato a un acquirente russo (PDS Avia) con la complicità di un socio austriaco. Il piano avrebbe fruttato commissioni per 15 mila dollari ciascuno ai mediatori indiano e austriaco, e 30 mila a un broker russo
Kaushik è stato fermato a Miami e ora rischia fino a 60 anni di carcere se giudicato colpevole.
Questo intervento dimostra la determinazione statunitense nell’applicare extraterritorialmente le proprie norme: chi utilizza infrastrutture o prodotti USA per aggirare le sanzioni può essere perseguito, anche se opera fuori dai confini americani.
Oltre alla repressione, Washington ha puntato sulla moral suasion industriale.
Già a inizio 2023 il governo USA ha inviato circolari e linee guida alle aziende esportatrici per allertarle sul rischio di triangolazioni. In sostanza, viene chiesto alle imprese di implementare due diligence rafforzate: verifiche sui clienti stranieri, richiesta di dichiarazioni sull’utilizzatore finale e monitoraggio dei flussi anomali.
Il Regno Unito ha seguito un percorso simile: Londra ha reso pubblica una guida per gli esportatori su come “contrastare l’evasione delle sanzioni”, invitando le aziende britanniche a vigilare attentamente sulle destinazioni finali dei propri prodotti e a segnalare tentativi sospetti di elusione. In alcuni casi, le autorità hanno suggerito di bloccare o rallentare le forniture di specifici componenti a Paesi terzi notoriamente utilizzati come hub di re-export verso la Russia.
Gli Stati Uniti, ad esempio, avrebbero messo sotto osservazione severa le esportazioni di alcuni beni dual-use verso Turchia ed Emirati Arabi, proprio per impedire che venissero immediatamente re-inoltrati a Mosca.
Dal canto suo, l’Unione Europea si è mossa con maggiore prudenza ma in modo crescente. Per molti mesi Bruxelles non ha sanzionato direttamente alcuna entità extra-UE per violazione dell’embargo russo, limitandosi a monitorare e a fare pressione diplomatica.
Un portavoce della Commissione ha dichiarato in autunno che Bruxelles “resta vigile” sui possibili aggiramenti via Paesi terzi e “agirà non appena emergeranno prove concrete”, pur ammettendo di non aver ancora individuato ufficialmente casi di triangolazioneriguardanti imprese indiane. Dietro questa cautela vi è anche la volontà di non creare un incidente con l’India, partner strategico con cui l’UE sta negoziando accordi commerciali e di cooperazione.
Tuttavia, di fronte alla persistenza del fenomeno, l’Europa ha iniziato ad affinare i propri strumenti: l’ultimo pacchetto di sanzioni UE include meccanismi per colpire soggetti di Paesi terzi che facilitano l’aggiramento (clausole cosiddette di anti-circumvention).
Nel 2023, ad esempio, Bruxelles ha sanzionato alcune società cinesi e armene accusate di rivendere tecnologia occidentale ai militari russi, un precedente che potrebbe estendersi ad altre nazioni se le evidenze lo richiederanno.
Va ricordato che, a differenza degli USA, l’UE ha meno leva diretta su entità fuori dal proprio territorio, ma può comunque vietare alle sue aziende di commerciare con intermediari sospetti o congelarne eventuali asset in Europa.
Per ora, come detto, nessuna società indiana è stata colpita da Bruxelles, segno sia della difficoltà di raccogliere prove schiaccianti sia del calcolo politico nel gestire i rapporti con Delhi.
Un aspetto su cui sia Washington sia Bruxelles si scontrano è la complessità delle catene di fornitura globali.
Nell’economia interconnessa odierna, un prodotto può passare di mano molte volte e attraversare vari Paesi prima di raggiungere l’utilizzatore finale.
Tenere traccia di ogni componente è un compito proibitivo. “Persino le aziende più grandi non possono tracciare ogni spedizione oltre il primo acquirente”, osserva il consulente aeronautico Xavier Tytelman, aggiungendo però che ciò *”non le esime da responsabilità”*. Tytelman suggerisce che, ad esempio, *”un’azienda francese che riceve troppe richieste da un intermediario in Kazakistan dovrebbe allertare il governo”*. Il punto è che occorre la collaborazione attiva delle imprese per individuare schemi sospetti, ma queste ultime potrebbero non avere incentivi sufficienti a farlo (specie se, come in molti casi, ignorano deliberatamente la destinazione finale per non precludersi vendite).
Le autorità occidentali stanno quindi tentando di migliorare la visibilità sulle filiere critiche.
Il G7 ha stilato un elenco congiunto di “beni ad alta priorità” – tra cui rientrano molti componenti aeronautici – invitando i rispettivi uffici doganali a focalizzarsi su di essi.
L’obiettivo è identificare movimenti inconsueti di questi beni verso Paesi non sanzionati (come l’India) e bloccarli se si sospetta un successivo inoltro vietato.
Non sempre però l’informazione viaggia abbastanza rapidamente: emblematico è il caso di un insieme di tubazioni per aeromobili partito dal magazzino Satair a Copenaghen nell’ottobre 2023, il cui codice doganale era stato appena aggiunto alla lista “prioritaria” del G7 – segnale che si trattava di merce sensibile – ma che ha comunque raggiunto Aeroflot via Ascend Aviation prima che qualcuno ne fermasse il transito. In questo senso, la reattività dei controlli è messa alla prova: per ogni falla chiusa, se ne può aprire un’altra altrove.
Un funzionario europeo ha paragonato la situazione a un gioco del “whack-a-mole” (il gioco del martello e talpa): appena si colpisce un canale di elusione, ne spunta un altro in un luogo differente.
Dall’Eurasia al Medio Oriente, fino all’Asia meridionale, si è formata una galassia di hub di intermediazione che richiede un impegno costante di monitoraggio. Turchia, Emirati, Kazakistan, Armenia, Cina, e appunto India: la Russia può contare su una rete globale di Paesi non allineati alle sanzioni, attraverso i quali riesce a procurarsi di nascosto componenti industriali, tecnologie e materiali proibiti altrove. Per gli apparati occidentali, intervenire direttamente in questi contesti sovrani è complicato: ci si deve affidare alla collaborazione volontaria dei governi locali, che spesso hanno pochi incentivi a cooperare pienamente (se non addirittura interesse a sfruttare economicamente la situazione). Ecco perché, nonostante task force specializzate e una raffica di provvedimenti, chiudere completamente i flussi illegali verso la Russia resta una sfida enorme.
Zone grigie e ingegnosità: il commento degli esperti
Gli esperti di sanzioni e commercio internazionale sottolineano come i casi emersi rappresentino esempi da manuale di “zone grigie” sfruttate nel regime sanzionatorio. “Determinare se c’è stata elusione delle sanzioni è spesso molto difficile – una difficoltà che alcune aziende cercano deliberatamente di sfruttare”, spiega Maria Shagina, ricercatrice presso l’International Institute for Strategic Studies ed esperta di misure restrittive. “
Alcune imprese in buona fede non sanno davvero dove finiscano i loro prodotti; altre invece usano questa opacità come pretesto per aggirare le sanzioni”, aggiunge. La scarsa visibilità sulla supply chain, specialmente sui livelli di sub-fornitura secondari e terziari, è a suo avviso *”un problema chiave”*. In pratica, più lungo è il passaggio di mano dei beni, più diventa arduo stabilire connessioni e intenzionalità, e maggiore è lo spazio per plausibili smentite. Questa opacità strutturale del commercio globale funge da scudo per chi, all’interno della legalità formale, vuole in realtà servire clienti sanzionati: basta inserire uno o due intermediari affidabili in Paesi non sottoposti a controlli, e il gioco è fatto.
Le vicende dell’ultimo anno mostrano anche un altro aspetto delle “zone grigie”: molte delle società coinvolte non avevano precedenti nel settore o comunque non dipendevano dai mercati occidentali, il che le rende meno vulnerabili alle ritorsioni occidentali. “Diversi intermediari sono piccole imprese che prima del conflitto non operavano sull’export né avevano una presenza significativa nei mercati occidentali. Hanno visto un’opportunità e ne hanno approfittato” osserva Ameeta Verma Duggal, avvocata di Delhi esperta in commercio internazionale. I
In altre parole, società come Allestro o Ascend non hanno molto da perdere dalle sanzioni USA/UE, perché i loro affari principali si svolgono al di fuori dell’Occidente.
Possono quindi muoversi in quell’area grigia legale dove, rispettando le leggi domestiche, fanno profitto come intermediari di fatto del mercato russo. È emblematico che molte di esse, come abbiamo visto, abbiano cambiato totalmente settore o siano nate dal nulla dopo il 2022: ciò indica un intento opportunistico piuttosto chiaro nel sfruttare le lacune delle restrizioni internazionali.
Va detto che operare in questo limbo non è privo di rischi. Analisti di settore in India hanno messo in guardia le aziende locali: cavalcare la tigre delle triangolazioni potrebbe ritorcersi contro di loro nel medio termine, man mano che gli Stati Uniti espandono la portata delle loro sanzioni. Ad esempio, essere inseriti nella blacklist americana significa perdere l’accesso a transazioni in dollari e ai partner occidentali, un danno che potrebbe pregiudicare altre attività di business.
Inoltre, c’è il rischio reputazionale: un’azienda marchiata come “facilitatore di commercio illegale” potrebbe trovare porte chiuse anche in Paesi terzi meno allineati, qualora dovesse cambiare il clima geopolitico.
Per ora, come notato da Duggal, molte di queste imprese sembrano disposte a correre il rischio, forti dei guadagni accumulati e forse confidando in coperture politiche interne (le autorità indiane finora le hanno difese sul piano legale).
Ma la partita è in evoluzione e dipenderà anche dalla determinazione occidentale nel perseguirle.
Intanto, gli osservatori fanno notare come i grandi trend globali influenzino il fenomeno: la crescente competizione tra blocchi (Occidente vs asse russo-cinese) sta creando spazi di manovra per attori intermedi che si presentano come “non allineati”. L’India incarna perfettamente questa categoria, utilizzando con abilità la propria posizione per massimizzare vantaggi economici da entrambi i lati. “Bisogna comprendere come l’India definisce il proprio posizionamento strategico”, scrive Frédéric Grare, analista di ECFR, invitando gli europei a tenere conto della prospettiva indiana. Per Delhi, fare l’interesse nazionale può significare anche ignorare conflitti altrui se questo procura benefici tangibili (energia a basso costo, nuove opportunità per le imprese). Moralità e principi passano in secondo piano di fronte a calcoli di potenza e convenienza – del resto, l’India non fa mistero di ciò.
In definitiva, le “zone grigie” delle sanzioni sono lo specchio di un ordine mondiale frammentato: non esiste più un’adesione universale a regole condivise, e le iniziative di un blocco (per quanto moralmente fondate) possono essere vanificate dall’inerzia o dall’opportunismo di attori esterni. Per contrastare questo stato di cose, sostengono gli esperti, servirebbe una combinazione di maggiore coordinamento internazionale (idealmente portare più Paesi, India compresa, a convergere su certi divieti) e di strumenti tecnici innovativi (tracciabilità avanzata, perhaps tramite blockchain o banche dati globali degli end-user). Ma si tratta di soluzioni complesse e di lungo periodo.
Nell’immediato, l’Occidente si trova costretto a navigare a vista, cercando di adattare le sanzioni in corsa e di colpire i casi più eclatanti per dare un segnale.
Conclusioni e scenari futuri
L’intreccio tra India, Russia e Occidente sul fronte delle forniture aeronautiche sanzionate apre numerosi interrogativi sul futuro – tanto per le aziende coinvolte quanto per la tenuta del regime sanzionatorio internazionale. Che scenario possiamo attenderci nei prossimi mesi?
Uno sviluppo possibile è un ulteriore irrigidimento delle misure occidentali. Se le triangolazioni dovessero continuare su larga scala, Washington e Bruxelles potrebbero decidere di ampliare le sanzioni colpendo un numero maggiore di intermediari e, in casi estremi, valutare sanzioni mirate anche verso entità più grandi o istituzioni finanziarie di Paesi terzi che facilitano questi traffici.
Gli Stati Uniti, forti del dollaro, hanno già mostrato di poter strangolare società lontane (basti pensare alle sanzioni secondarie contro Iran e Corea del Nord); l’India, benché partner importante, non sarebbe del tutto immune da pressioni se l’amministrazione americana reputasse inaccettabile il suo ruolo nel tenere in piedi l’industria russa. In parallelo, potremmo assistere a un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni internazionali: ad esempio, un coordinamento G7+ per condividere informazioni in tempo reale sui tentativi di evasione, o addirittura discussioni in seno all’ONU (dove però la Russia può porre veto) per stabilire linee guida più stringenti sul re-export di beni dual-use in scenari di conflitto.
Dal lato delle imprese, quelle finite sotto i riflettori – come Ascend, Allestro, Agrim – dovranno decidere se rischiare o ritirarsi. Alcune potrebbero chiudere o riconvertirsi, temendo di finire isolate finanziariamente; altre, magari schermandosi dietro nuovi veicoli societari, potrebbero tentare di proseguire il business in modo ancora più discreto.
Molto dipenderà dall’atteggiamento delle autorità indiane: se Delhi continuerà a voltare lo sguardo dall’altra parte, è probabile che questi commerci proseguano, forse con attori diversi (qualora i precedenti siano stati sanzionati).
Viceversa, se il Governo Modi deciderà che la posta in gioco diplomatica è troppo alta – ad esempio per evitare che gli USA condizionino la cooperazione tecnologica con l’India alle questioni delle sanzioni – potrebbe imporre restrizioni nazionali alla riesportazione di certi beni verso la Russia.
Finora ciò non è avvenuto, ma non è impossibile che l’India applichi controlli più severi sulle proprie dogane come gesto di buona volontà verso l’Occidente, qualora cercasse concessioni in altri ambiti.
Per la Russia, la capacità di continuare a ottenere pezzi di ricambio sarà determinante nel mantenere operative le sue compagnie aeree nei prossimi anni. Se i canali attuali verranno chiusi, Mosca dovrà fare affidamento su stockpiling (accaparramento di scorte) e accelerare i programmi di sostituzione domestica
In uno scenario di blocco totale delle triangolazioni, è plausibile che entro 2-3 anni una buona parte degli aerei occidentali in Russia diventi inutilizzabile per mancanza di manutenzione, costringendo il Paese a ridurre drasticamente i collegamenti aerei e a investire pesantemente in nuovi aerei russi o cinesi – con costi enormi e tempistiche lunghe.
Al contrario, se le maglie resteranno larghe, la Russia potrebbe riuscire a traghettare il suo settore aeronautico attraverso il periodo bellico senza crolli, conservando un know-how e una flotta minima funzionante su cui ricostruire quando il clima geopolitico migliorerà.
Un ulteriore effetto da tenere in considerazione è l’impatto sulle norme del commercio aerospaziale internazionale.
Il caso di Superjet International, ad esempio, ha mostrato i limiti dei meccanismi di controllo anche in presenza di partecipazioni statali occidentali: nonostante il governo italiano fosse subentrato nella gestione, i pezzi finivano comunque in Russia.
Questo potrebbe portare a una riflessione su come le joint venture e le co-produzioni con Paesi extra-NATO vengano monitorate in tempi di crisi. Potremmo vedere clausole più rigorose inserite nei contratti (ad esempio, l’obbligo di rendicontare qualsiasi transazione con Paesi terzi per beni potenzialmente sensibili) e una spinta verso la trasparenza delle filiere.
Organismi come l’ICAO (Organizzazione Internazionale per l’Aviazione Civile) o l’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) potrebbero essere coinvolti indirettamente, se si tenterà di creare standard globali per evitare che componenti aeronautici finiscano in zone di guerra. Tuttavia, la strada di un accordo multilaterale sulle sanzioni è impervia – le differenze politiche fra blocchi rendono improbabile, ad esempio, che Cina o India accettino di sottoscrivere regimi di controllo progettati dall’Occidente.
In definitiva, la “via indiana” alle sanzioni evidenzia la difficoltà di applicare misure economiche coercitive in un mondo multipolare. Finché grandi economie emergenti come l’India (ma anche la Turchia o altri attori regionali) manterranno una posizione neutrale o equidistante, le sanzioni rischiano di somigliare a uno sbarramento d’acqua pieno di falle: la pressione trova sempre un varco attraverso cui passare. L’Occidente si trova dunque di fronte a una scelta: intensificare ancora di più la propria capacità di interdizione – investendo risorse, intelligence e capitale diplomatico per chiudere ogni falla – oppure accettare un certo grado di elusione come costo inevitabile, cercando comunque di limitare i flussi più pericolosi (quelli ad alto contenuto strategico-militare).
Lo stile “adattivo” finora adottato (colpire alcuni snodi, monitorare, aggiustare il tiro in corsa) probabilmente continuerà. In assenza di un cambio di postura dell’India, assisteremo a un prolungato braccio di ferro nascosto: alle mosse di Washington e Bruxelles seguiranno contromosse degli intermediari, in una sorta di partita a scacchi commerciale.
L’esito dipenderà anche dall’evoluzione del conflitto in Ucraina e dai più ampi rapporti di forza globali. Certo è che questa vicenda – con Boeing e Airbus costrette a scoprire che i loro pezzi finiscono comunque a bordo di aerei russi – rappresenta un monito sulla realtà delle sanzioni nel XXI secolo.
Nessun embargo può dirsi veramente efficace senza una cooperazione internazionale estesa; e quando tale cooperazione manca, le crepe si aprono inevitabilmente, riempiendo di ombre e compromessi anche gli sforzi politici più decisi.
Fonti: Investigate Europe (analisi dati doganali); The Reporters’ Collective; Altreconomia/Investigate Europe; Corriere del Ticino/Guardian; Dichiarazioni aziende (Boeing, Airbus, SJI); Commenti esperti (M. Shagina), (A. V. Duggal), (X. Tytelman); Ministero Esteri India.
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link