Quando il nome è molto in vista, l’interpretazione di ogni parola va ben oltre il voluto. É quel che è successo con l’intervista al Foglio di Marina Berlusconi, figlia prediletta del Cav e capofamiglia al vertice del gruppo Fininvest. La diretta interessata – che di professione fa anche l’editrice – lo sa bene e comunque ha scelto di muoversi.
Il polverone era atteso. Dentro il centrodestra, che delle sue parole ha registrato soprattutto il filo-europeismo e l’accusa di «bullismo» a Donald Trump. Nel centrosinistra le prese di posizione su diritti civili e fine vita hanno messo in agitazione l’area riformista che ha intravisto un’opa ostile sul proprio elettorato di riferimento. Sintesi comune ad entrambi gli schieramenti: Marina è pronta a scendere in politica.
In realtà chi conosce la “Cavaliera” (il titolo di Cavaliere del lavoro conferitole da Sergio Mattarella in ottobre è stato per lei l’ennesimo modo di omaggiare il padre) guarda le interpretazioni solo politiche come «fumo negli occhi». Se a Roma tutto è politica, a Milano tutto è denaro. Fonti interne all’azienda, infatti, mettono in chiaro un punto: «Il suo primo, secondo e terzo interesse è la holding di famiglia». Tradotto: l’eccesso di europeismo ha poco a che fare con la Commissione Ue di Ursula von der Leyen e molto a che vedere con il progetto editoriale di espansione in Europa.
Il sogno, infatti, è quello di allargare Media for Europe, acquisendo la televisione polacca TVN attualmente di proprietà della Warner e del canale tedesco Prosiebensat. «Con l’Europa quindi bisogna parlare», è la sintesi. Non a caso l’intervista si apre con la rivendicazione di un ruolo preciso – «Faccio l’editore» – e viene fatto notare che il colloquio con il Foglio abbia avuto come pretesto l’uscita del saggio anti-putiniano La fine del regime di Alexander Baunov per la Silvio Berlusconi Editore.
la famiglia
La politica non c’entra nulla allora? Meglio non esagerare con gli accessi e le negazioni. Chi conosce bene i piccoli e grandi dissapori interni, malignando sostiene che l’intento sia stato non tanto quello di lanciare se stessa, quanto quello di stoppare le velleità dei fratelli. Ormai da tempo è noto che il fratello minore Piersilvio stia subendo il fascino dei palazzi romani, come ha dimostrato l’insolita loquacità alla presentazione dei palinsesti Mediaset. Anche Barbara – la sorella più esuberante – ha dimostrato un attivismo sospetto lanciandosi in interpretazioni sulla «giustizia a orologeria» ai microfoni del Tg1 (anche se l’intervista al Foglio sarebbe stata pensata prima di questa uscita pubblica).
Proprio nella natia Milano, però, sta prendendo corpo una voce: la nomina nel consiglio di amministrazione della Scala della figlia di secondo letto è stata benedetta dal mondo vicino al presidente del Senato, Ignazio La Russa – il cui figlio è amico stretto di Barbara – e sarebbe stata accompagnata dalla suggestione che possa essere il primo passo addirittura verso una candidatura a palazzo Marino. Tutte iniziative da bloccare sul nascere per preservare le aziende, visto che l’asset politico – Forza Italia – è nel portafoglio di casa e serve appunto a presidiare gli interessi senza doversi spendere direttamente.
Fonti vicine alla famiglia, invece, gettano acqua sul fuoco e smentiscono qualsiasi malumore tra fratelli, raccontando di pranzi ad Arcore ogni altro martedì del mese, tutti riuniti intorno al tavolo dove il padre Silvio sedeva a capotavola, per discutere delle «cose di famiglia». Insomma: se Marina avesse voluto dire qualcosa ai fratelli lo avrebbe fatto direttamente e non certo per interposta intervista. Se non altro perché per carattere non ama lavare i panni sporchi in pubblico. «Basta vedere come hanno gestito la questione ereditaria: in silenzio e senza polemiche», viene fatto notare.
Tuttavia la mossa della nomina di Barbara alla Scala non è passata inosservata, come anche la sua matrice tutta interna a Fratelli d’Italia. Nella peggiore delle ipotesi si tratterebbe di un tentativo di dividere la famiglia di primo e secondo matrimonio. Tentativo fastidioso ma inutile, «perché il collante del padre è troppo forte».
Rimane però appesa la domanda milionaria: chi meglio di Marina, allora, per scendere in politica e tenere testa a queste tensioni? É un fatto che le sue discese romane si siano fatte più frequenti, come anche le sue interviste, e ad ottobre la sua presenza si è sentita all’apertura del Mondadori Store di galleria Alberto Sordi, a due passi da palazzo Chigi e da piazza di Montecitorio. Voci sia interne al partito che vicine alla famiglia sono concordi: l’ipotesi è esclusa. «Almeno nel medio periodo», aggiungono sibilline.
Dentro il partito
Impossibile negare, però, che la bagarre dentro Forza Italia e in una certa misura anche in tutta la coalizione di centrodestra fosse assolutamente attesa.
Del resto una doppia pagina così densa di concetti politici non poteva che venire vivisezionata dagli azzurri, ognuno alla ricerca di segnali utili alla propria corrente. Se Marina parla da Milano, infatti, ormai la testa di FI è a Roma e le dietrologie si sprecano. La guerra intestina vede contrapposti il corpaccione legato al segretario Antonio Tajani, il gruppo vicino a Marta Fascina ma soprattutto la minoranza più critica nei confronti del segretario e la compagine del Sud capitanata dal governatore Roberto Occhiuto, che detiene il maggior capitale elettorale. Tutti l’un contro l’altro armati e pronti a trovare consonanza nelle parole di una Berlusconi.
«Lucida, equilibrata, di prospettiva, giustamente attenta ai rischi globali», ha infatti detto Ronzulli, definendo l’analisi «un omaggio alla visione del padre». «Declinazione di un manifesto liberale concreto e di grandissimo respiro» ed «eredità attualizzata di un pensiero libero» di cui lei è «la naturale continuatrice», ha aggiunto il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, ex del mondo Mondadori dove è ancora accreditato presso interlocutori di peso, il quale è stato attento a sottolineare in modo indiretto quanto le parole di Marina – soprattutto su Trump – siano distanti dalla visione di Meloni sulla politica internazionale, da cui Tajani tende invece a non prendere pubblicamente le distanze. Si è fatta sentire anche la voce di un’altra ex protetta di Berlusconi come Mara Carfagna, che oggi è in Noi Moderati e ha parlato di «una lezione di buona politica per noi moderati. Ha tracciato la strada della ricerca del dialogo, della soluzione e del rifiuto dell’estremismo ideologico».
Tutte frasi che hanno fatto fischiare le orecchie ad Antonio Tajani, il quale ha invece scelto di non fare il controcanto alle parole della presidente di Fininvest. «Ha capito che per lui è un cartellino giallo e a bordo campo si sta già scaldando qualcun altro», è la visione dei più critici, ricordando tra tutte le tensioni per la tassa sulle banche su cui Arcore non era stata interpellata.
Il disordine, tuttavia, non ha fatto scomporre Marina e le interpretazioni del suo pensiero – come anche le strumentalizzazioni – le sono scorse addosso, anche se non sono passate inosservate. Da Segrate, infatti, si teorizza una «separazione delle carriere»: non c’è imbarazzo nel definire la famiglia Berlusconi «azionista» di Forza Italia, ma nel rispetto di chi fa attivamente politica. Non a caso Marina non ha mai citato esplicitamente il partito. Tradotto: la primogenita ha parlato da imprenditrice e da sempre in Italia il mondo economico offre ciclicamente la sua lettura della realtà, più o meno interessata. Sarebbe il colmo – viene fatto notare – che lei non potesse parlare per non scombussolare gli orizzonti a Tajani, con cui il filo diretto è rimasto aperto e che avrebbe ben potuto cavalcare l’intervista.
la sinistra
L’altra certezza, infine, è la collocazione di Marina. É fuori strada chi ha voluto leggere nelle sue parole – non nuove – sull’«antifascismo» (che però è anche «anticomunismo») e di sostegno a unioni civili e fine vita un modo per abbozzare uno schieramento centrista che abbracci anche una quota di centro-sinistra.
«Lei è liberale e pensa davvero ciò che ha detto, ma ricorda fin troppo bene gli insulti della sinistra al padre e non guarderebbe mai al Pd», spiega chi ne conosce le riflessioni private. Ciò non significa che il rapporto con Meloni si sia riscaldato, tuttavia. Tra le due gli orizzonti sono culturalmente diversi e, anche se esiste un canale di dialogo, l’interlocutore della premier è sempre stato Piersilvio, con cui esiste una consuetudine precedente alla nascita del governo. L’intervista è stata data con la consapevolezza di parlare anche alla presidente in carica. Da «azionista» di uno dei partiti di governo, appunto, che offre riflessioni di ampio respiro sull’Occidente e può permettersi che siano anche evidentemente difformi da quelle della presidente del Consiglio.
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