Arriva dal 26 febbraio, in esclusiva su Sky Documentaries e su Now ,“Mauro Rostagno – L’uomo che voleva cambiare il mondo”. Prodotto da Palomar e Sky Original, con soggetto e sceneggiatura di Roberto Saviano e Stefano Piedimonte e la regia di Giovanni Troilo, questa docu-serie in due episodi vede lo scrittore immergersi, e guidare il pubblico in una storia umana peculiare e riscoprire la figura multiforme dell’attivista, terapeuta e giornalista Mauro Rostagno, ucciso dalla mafia nel 1988. Il materiale di base del racconto attinge al libro scritto dalla figlia del giornalista, Maddalena Rostagno “Il suono di una sola mano”,per poi, attraverso filmati di repertorio e preziose testimonianze di amici e familiari, continuare ad esplorare una figura singolare e potente che attraversa da protagonista 20 degli anni più agitati del ‘900 italiano, dal 1968 al 1988, e finire vittima di un agguato nella terra che aveva scelto come sua, la Sicilia.
Mauro Rostagno: il documentario Sky di e con Roberto Saviano
E’ un viaggio che parte dalle origini quello di “Mauro Rostagno, l’uomo che voleva cambiare il mondo”. Già il titolo centra il punto di vista e il focus che Roberto Saviano ha scelto per il suo racconto. Lo scrittore, infatti, segue il filo del Rostagno rivoluzionario e allergico agli schemi, ripercorrendo 20 anni della sua vita legati dalla continua ricerca di un altro mondo possibile. Una ricerca che non conosce barriere, confini e preconcetti. Rostagno è uno che va dove lo porta il cuore, e il suo cuore batte per l’idea di un mondo diverso. La docu-serie Sky segue le sue vicende sin dagli anni infuocati della Facoltà di Sociologia di Trento che fu un grande laboratorio in cui il movimento studentesco del ’68 fu particolarmente attivo, evolvendo poi, in nuove, diverse forme, alcune delle quali tristemente note (la lotta armata), altre che diedero vita a nuove esperienze politiche.
Mauro Rostagno inizia in quel laboratorio a crearsi la propria coscienza civile e politica e a cercare strade alternative per la convivenza e per la costruzione di un mondo migliore. La prima parte del documentario racconta Rostagno leader del movimento studentesco, poi la sua adesione alla sinistra extra parlamentare con la fondazione di Lotta Continua, in cui militerà fino allo scioglimento. Di questi anni fa parte anche l’esperienza immaginifica di Macondo un’osteria, centro culturale, (un centro sociale lo chiameremmo oggi), aperto a Milano e che divenne punto di riferimento per attivisti e artisti, fino alla sua chiusura che fu piuttosto traumatica, con i responsabili del centro finiti a processo.
Fin qui, la prima vita di Rostagno che però, per Saviano, è la parte più importante e luminosa della sua esperienza, quella da cui deriverà tutto il resto. Un resto che inizia molto lontano dall’Italia, a Pune, in India, dove Rostagno con la compagna Chicca Roveri e la figlia Maddalena, decide di trasferirsi per vivere nell’ashram del santone Osho. Un’esperienza che si conclude quando l’ashram si trasferisce negli Stati Uniti. Rostagno decide allora di tornare in Italia e fondare una sua comunità di arancioni, Saman, nelle campagne del trapanese, insieme a un altro italiano conosciuto in India, Francesco Cardella, già editore di una rivista popolare. Dopo pochi anni, Saman diventa una comunità di recupero per tossicodipendenti.
Quante vite avete contato fino adesso? Almeno quattro, ma rimane ancora l’ultima vita, quella che sarà fatale a Rostagno, la più pericolosa di tutte, che lo vede giornalista in una tv locale, impegnato a denunciare una mafia del territorio che, fino ad allora, operava anche grazie alla propria invisibilità. Di mafia a Trapani, negli anni ’80 non parlava nessuno e invece, le cosche erano attivissime in un territorio molto meno presidiato dallo stato rispetto all’insanguinata Palermo. Il parlare di quella realtà che nessuno aveva ancora narrato, costò la vita a Rostagno, ucciso in un agguato a pochi metri dalla sua comunità, il 26 settembre 1968.
Segue poi il racconto, difficile da digerire, dell’inchiesta che a quell’omicidio brutale è seguita, con i depistaggi che hanno portato a puntare i fari sull’ipotesi di un delitto maturato all’interno di Saman, e sull’idea che fosse stato architettato dalle persone più vicine al giornalista, a iniziare dalla compagna di una vita. Ci sono voluti molti anni per ricostruire la verità e per dare un nome a quella sera: agguato mafioso.
Una vita, tante vite, sempre alla (rischiosa) ricerca di un altro mondo possibile
Il documentario che Roberto Saviano ha realizzato sulla figura di Mauro Rostagno e che vedremo su Sky a partire dal 26 febbraio, ha il merito di scavare a fondo nella figura del giornalista, che dal suo studio della piccola emittente locale Rtc, con uno spazio particolarissimo, che univa inchiesta e sberleffo del potere, ha messo talmente paura alla mafia da spingerla a toglierlo di mezzo. Quello dei due episodi della docu-serie è un racconto approfondito e anche sentito, a una figura che era, come dice lo scrittore, tra le vittime di mafia, finora una delle meno raccontate.
Forse perché la sua vita così piena e aperta alle più diverse esperienze è difficile da racchiudere in un unico racconto, forse per l’essere stato veramente un unicum, per biografia e strumenti, nella lotta alla mafia di quegli anni caldi, Rostagno è sicuramente un personaggio complicato da raccontare, ma questo lavoro riesce a tenere insieme tutti i pezzi e a dare un quadro completo e opportunamente sfaccettato di un uomo dalle tante vite, tutte prese di petto.
Voto: 7
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