«Pronto a dimettermi in cambio di pace o ingresso nella Nato

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Il presidente ucraino dice che è pronto a condividere le sue risorse naturali con gli Usa, ma gli servono garanzie militari. E intanto scommette tutto sul vertice di lunedì con i leader europei

«Sono pronto a dimettermi in cambio della pace. O, se non della pace, in cambio dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato». Con i tempi del consumato attore, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sgancia la sua bomba comunicativa nel mezzo della conferenza stampa Ucraina 2025.

Dopo essere stato attaccato direttamente dal presidente americano Donald Trump e dopo le voci su un possibile tentativo degli Stati Uniti di sostituirlo con l’ex comandante in capo delle forze armate ucraine, Valery Zaluzhny, Zelensky ha offerto il suo collo al martirio, con una mossa che ha già infiammato i suoi sostenitori sui social. «Zelensky non si piega alle estorsioni», ha scritto su X il popolare giornalista ucraino Ilya Ponomarenko.

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Certo, nessuno sa se quella di Zelensky sia una promessa fatta sapendo che nessuno gli chiederà di mantenerla – lui stesso ha ricordato che «è impossibile arrivare alla pace questa settimana», mentre l’ingresso dell’Ucraina nella Nato appare oggi più lontano che mai – o se invece sia un modo per dare un’interpretazione nobile a un abbandono della poltrona presidenziale che molti ritengono ormai inevitabile.

Anche se i sondaggi gli attribuiscono una fiducia di gran lunga superiore al 4 per cento annunciato da Trump, quasi tutti gli osservatori politici e le rilevazioni demoscopiche concordano nel dire che il presidente avrà difficoltà a farsi rieleggere. Se Zelensky dovesse davvero dimettersi, la Costituzione prevede che a sostituirlo sarebbe il presidente del parlamento, Ruslan Stefanchuk, uno dei suoi alleati chiave.

Molti lo ricordano come una delle figure che comparivano alle spalle del presidente nei video girati nei primi giorni dell’invasione, per dimostrare agli ucraini e al mondo che Zelensky non aveva lasciato la capitale. Insomma, anche in caso di abbandono prematuro dell’incarico, Bankova—come in Ucraina chiamano il palazzo presidenziale—sarebbe comunque in buone mani almeno fino alle elezioni, che, secondo la legge ucraina, potranno tenersi solo dopo la fine della guerra.

Gli avversari politici e i critici interni, però, sarebbero assai sorpresi da una simile mossa. In pochi in Ucraina credono che Zelensky lascerebbe volontariamente l’incarico, se non costretto. Anche le sue recenti azioni sollevano dubbi sulla sua sincerità: mettere sotto sanzioni il suo principale rivale politico, l’ex presidente Petro Porošenko, come ha fatto pochi giorni fa, non è il comportamento di un leader insicuro della propria popolarità, ma piuttosto di uno deciso a combattere.

Trattative continue

Nel resto della conferenza, inoltre, Zelensky ha parlato come chi si aspetta di continuare a guidare il paese ancora a lungo. Ha detto che con gli Stati Uniti si continua a trattare sull’accordo minerario che, nonostante i progressi, al momento resta insoddisfacente per Kiev. Washington minaccia conseguenze se l’Ucraina non creerà un fondo finanziato dalla vendita di risorse naturali e altre entrate statali, a gestione esclusivamente americana, che si occuperà della ricostruzione del paese: una sorta di commissariamento di qualsiasi futuro governo ucraino.

«Siamo pronti a firmare l’accordo, ma abbiamo bisogno di garanzie di sicurezza», ha detto Zelensky. Tradotto: se gli americani vogliono le risorse naturali ucraine, devono impegnarsi a difendere il paese. Il presidente ha poi contestato la cifra di 500 miliardi di dollari, il totale dei debiti ucraini nei confronti degli Stati Uniti secondo Trump: «Gli Stati Uniti hanno dato 100 miliardi di dollari all’Ucraina, non 350, non 500, non 700». E ha aggiunto che quei fondi non erano prestiti, ma finanziamenti a fondo perduto. L’obiettivo è ancora lontano, ha continuato, ma «stiamo facendo progressi».

Europa, ultima spiaggia

Nel frattempo, Zelensky sembra prepararsi allo scenario peggiore: un completo disimpegno degli Stati Uniti. Per oggi, terzo anniversario della guerra, ha annunciato una riunione a Kiev con tredici capi di governo europei, che, ha detto, rappresenterà «un punto di svolta». Punto centrale dell’incontro sarà probabilmente il coinvolgimento dell’Europa nella fornitura delle garanzie di sicurezza, tramite consegne di armi e, nella migliore delle ipotesi per Zelensky, con la presenza di truppe europee nel paese.

Quelle stesse truppe che fino a poco tempo fa, secondo Zelensky, non erano sufficienti a garantire la sicurezza dell’Ucraina, ora rappresentano la sua ultima speranza. «Credo nell’esercito europeo», ha detto il presidente. «L’esercito ucraino può essere la piattaforma, il pilota di questo progetto. Metteremo al servizio dell’Europa la nostra esperienza sul campo di battaglia».

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