Negli ultimi anni la comunità scientifica e quella agronomica/viticola stanno lavorando alacremente al fine di trovare soluzioni concrete e rapidamente applicabili per mitigare l’incidenza dei cambiamenti climatici e aumentare la resistenza delle viti agli stress biotici e abiotici. Per quanto ostico da divulgare per via di termini potenzialmente fuorvianti e dei timori che il consumatore potrebbe avere nei confronti degli stessi, uno dei temi centrali della disquisizione e, anche, una delle possibilità più orientate alla sostenibilità e al rispetto delle identità territoriali e varietali riguarda, sicuramente, la genetica e, in particolare, l’epigenetica.
L’epigenetica è la disciplina che studia le modifiche ereditabili nell’espressione genica senza alterazioni della sequenza del DNA e sta emergendo come una frontiera promettente per affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici e dalla maggiore pressione delle fitopatologie (con il ritorno di malattie che sembravano essere state debellate e l’avvento di “nuove” criticità mai registrate prima nel nostro paese). Queste modifiche epigenetiche, influenzate da fattori ambientali, possono modulare l’attività dei geni, permettendo alle piante di adattarsi rapidamente a nuove condizioni senza necessità di mutazioni genetiche permanenti.
La Vitis vinifera è particolarmente sensibile alle variazioni climatiche e all’attacco di patogeni. Studi recenti suggeriscono che le modifiche epigenetiche possono giocare un ruolo cruciale nell’adattamento della vite a stress ambientali. Ad esempio, variazioni nella metilazione del DNA sono state associate alla risposta della pianta a cambiamenti di temperatura, indicando un potenziale meccanismo di adattamento rapido alle fluttuazioni climatiche. Nello specifico:
- La metilazione del DNA: regola l’attivazione o la repressione di specifici geni in risposta a fattori ambientali.
- Le modificazioni degli istoni: influiscono sulla struttura della cromatina e sulla capacità di esprimere determinati tratti genetici.
- Gli RNA non codificanti: modulano l’espressione genica attraverso meccanismi di regolazione post-trascrizionale.
Applicazioni pratiche nella viticoltura
Comprendere e sfruttare i meccanismi epigenetici offre diverse opportunità per la viticoltura del futuro:
- Sviluppo di varietà resilienti: attraverso l’induzione controllata di modifiche epigenetiche, è possibile sviluppare varietà di vite più resistenti a stress abiotici, come siccità e temperature estreme, e biotici, come funghi e virus.
- Riduzione dell’uso di fitofarmaci: piante con una regolazione epigenetica ottimizzata possono manifestare una maggiore resistenza naturale ai patogeni, diminuendo la necessità di trattamenti chimici.
- Conservazione della biodiversità: l’epigenetica può aiutare a preservare varietà autoctone e la loro genetica originale, permettendo loro di adattarsi meglio alle nuove condizioni ambientali senza alterare il loro patrimonio genetico originale.
Sfide e prospettive future
L’epigenetica applicata alla vite si potrebbe rivelare un’importante alleata per affrontare due delle sfide più pressanti per la viticoltura moderna: l’impatto dei cambiamenti climatici e la pressione crescente delle fitopatologie. A questa si affiancano l’innovazione nella fenomica digitale e i nuovi approcci di breeding genetico, come lo sviluppo di vitigni resistenti (PIWI) e le New Breeding Technologies (NBT), che offrono nuove prospettive per un settore in evoluzione.
Rispetto alle soluzioni tradizionali, come l’uso massiccio di fitofarmaci, la selezione genetica convenzionale o le pratiche agronomiche conservative, l’epigenetica offre una via alternativa, più rapida ed ecocompatibile per incrementare la resilienza della vite.
Vantaggi dell’epigenetica rispetto ai metodi tradizionali:
- Adattamento rapido agli stress climatici: temperature estreme, siccità o umidità eccessiva possono innescare risposte epigenetiche che migliorano la tolleranza della pianta.
- Migliore resistenza alle malattie: modulando i geni coinvolti nella difesa, la vite può sviluppare una maggiore resistenza naturale contro peronospora, oidio e altri patogeni.
- Riduzione dell’uso di fitofarmaci: sfruttando la memoria epigenetica, si possono selezionare viti più resistenti, riducendo la necessità di trattamenti chimici.
- Compatibilità con la normativa: a differenza delle biotecnologie OGM, l’epigenetica potrebbe essere più facilmente accettata dai mercati e dai consumatori.
Tuttavia, affinché l’epigenetica trovi una concreta applicazione in viticoltura, è necessario approfondire la stabilità delle modifiche epigenetiche e la loro trasmissibilità alle generazioni successive e l’interazione tra epigenetica e selezione varietale, per individuare piante più adattabili senza ricorrere alla modifica genetica diretta.
Per quanto concerne la digitalizzazione possiamo asserire, senza tema di smentita, che stiamo attraversando una vera e propria rivoluzione nella viticoltura. Tradizionalmente, il fenotipo (aspetto e comportamento delle piante) veniva studiato attraverso osservazioni empiriche. Oggi, grazie a sensori avanzati, telecamere multispettrali e intelligenza artificiale, è possibile ottenere dati oggettivi e dettagliati sulle caratteristiche fisiologiche della vite.
Questo permette di: monitorare in tempo reale la risposta della vite a stress ambientali (siccità, calore, attacchi parassitari); selezionare le varietà migliori in modo più efficiente, combinando dati fenotipici e genetici; ottimizzare i programmi di breeding per lo sviluppo di viti più resistenti.
L’integrazione tra epigenetica e fenomica digitale apre quindi la strada a una viticoltura più precisa e reattiva ai cambiamenti climatici.
Personalmente sono, invece, ancora molto perplesso riguardo ai PIWI che promettevano un’impatto molto più performante sulla viticoltura e che, ancora oggi, non riescono (se non in rari casi e grazie al talento interpretativo di enologi e produttori) a esaltarsi nel calice quanto dovrebbero per poter iniziare a far parlare di loro non solo per le potenzialità in termini di sostenibilità ma anche per la qualità dei vini da essi prodotti. Di certo, però, è un’altra alternativa alle strategie “convenzionali”. Questi vitigni sono ottenuti attraverso ibridazione tra Vitis vinifera e specie resistenti e possono ridurre drasticamente la necessità di trattamenti fitosanitari.
I vitigni PIWI sono varietà di vite appositamente sviluppate per essere resistenti alle malattie fungine, come peronospora e oidio. Il termine “PIWI” deriva dal tedesco “Pilzwiderstandsfähig”, che significa “resistente ai funghi”. Questi vitigni sono il risultato di incroci tra la Vitis vinifera (la vite europea tradizionale) e altre specie di Vitis, come Vitis riparia, Vitis rupestris e Vitis labrusca, note per la loro naturale resistenza alle malattie. L’obiettivo principale di questi incroci è combinare la qualità enologica delle varietà europee con la robustezza delle specie americane o asiatiche.
Se gli ibridi di prima generazione spesso non soddisfacevano gli standard qualitativi desiderati per la vinificazione, è pur vero che negli ultimi decenni, grazie a tecniche di incrocio più avanzate, sono state sviluppate nuove varietà PIWI che mantengono oltre il 95% (sino al 99%) del patrimonio genetico della Vitis vinifera, garantendo sia resistenza alle malattie che elevata qualità del vino.
L’adozione dei vitigni PIWI offre numerosi vantaggi, tra cui una significativa riduzione dell’uso di pesticidi, contribuendo a una viticoltura più sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Inoltre, la minore necessità di trattamenti chimici comporta una riduzione dei costi operativi e un minore impatto sul suolo e sugli ecosistemi circostanti.
In Italia, l’interesse per i vitigni PIWI è in crescita, con diverse regioni come Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia impegnate nella ricerca e nella coltivazione di queste varietà. Tra i vitigni PIWI più diffusi si annoverano il Solaris, il Bronner, il Regent e il Johanniter, apprezzati per le loro caratteristiche organolettiche e la loro capacità di adattarsi a diverse condizioni climatiche.
Se in passato i vitigni resistenti soffrivano di problemi legati al profilo organolettico (aromi “verdi” o estranei), oggi la ricerca mira a ottenere PIWI con qualità sensoriali simili ai vitigni classici, garantendo nel contempo resistenza a peronospora, oidio e altre malattie. Il problema di fondo, però, resta legato all’identità che, per quanto dovrebbe scaturire principalmente dall’espressione del territorio e, quindi, emergere dalla traduzione di un determinato vitigno di quelle specifiche condizioni pedoclimatiche, trova nella mancanza di termini di raffronto adeguati e nell’impossibilità di essere, ad oggi, integrati nelle più importanti denominazioni (cosa più che comprensibile) resta difficile da decifrare
New Breeding Technologies (NBT) e genome editing
Anni fa, fui tra i primi a trattare di cisgenesi per quanto riguarda l’Italia del vino e, in particolare, ne affrontai la potenziale utilità nei confronti della lotta alla flavescenza dorata (all’epoca molto meno diffusa di oggi). Oggi è più giusto parlare di New Breeding Technologies (NBT), tra cui il genome editing che permettono di modificare specifici geni della vite senza inserire DNA estraneo, evitando così la classificazione OGM. Eppure, le NBT incontrano ancora ostacoli normativi e sociali. Sebbene l’UE stia valutando una regolamentazione più flessibile, la diffidenza dei consumatori resta un problema. Per superarlo, è necessario un dialogo scientifico chiaro e basato su dati oggettivi, evitando approcci comunicativi allarmistici o emotivi.
Per quanto, va da sé che l’epigenetica rappresenti la soluzione più accettabile ad ampio spettro e più comprensibile per il consumatore.
Biocontrollo e strategie integrate
Accanto all’epigenetica e al breeding genetico, sta guadagnando importanza il biocontrollo, che prevede l’uso di: microrganismi antagonisti (batteri e funghi benefici) per contrastare i patogeni della vite; RNA interference per bloccare l’espressione genica di virus e funghi patogeni.
Questi approcci non sono esclusiva, ma inclusive e potrebbero rappresentare il giusto complemento con i risultati delle modificazioni epigenetiche e del breeding, creando un ecosistema viticolo più equilibrato e meno dipendente dai trattamenti chimici.
Indurre la resistenza si può?
Se la genetica è ancora in una fase preliminare in termini di soluzioni, esistono già molecole e principi attivi capaci di indurre la resistenza nelle piante: gli elicitori. Gli elicitori o induttori di resistenza sono sostanze che attivano i meccanismi di difesa naturali delle piante, potenziando la loro capacità di resistere a patogeni e stress ambientali. A differenza dei tradizionali fitofarmaci, non agiscono direttamente sui patogeni, ma stimolano le risposte immunitarie intrinseche della pianta.
Quando una pianta percepisce un potenziale attacco, attraverso recettori specifici riconosce molecole associate a patogeni o danni cellulari. Questo riconoscimento innesca una cascata di segnali che attivano geni responsabili della produzione di composti difensivi. Alcune cellule possono anche subire una morte programmata per isolare il patogeno, in un processo noto come risposta ipersensibile. L’uso di induttori di resistenza mira a pre-attivare questi meccanismi, preparando la pianta a rispondere più efficacemente a eventuali infezioni.
Tipologie di Induttori di Resistenza
Gli induttori di resistenza possono essere classificati in base alla loro origine:
- Di origine abiotica: composti chimici come fosfati, acido acetilsalicilico e acido β-aminobutirrico. Ad esempio, quest’ultimo ha dimostrato efficacia nel proteggere la vite dalla peronospora, attivando meccanismi di difesa senza avere un’azione tossica diretta sul fungo.
- Di origine biotica: sostanze derivate da microrganismi o piante, come il chitosano (derivato dalla chitina); la laminarina (estratta da alghe brune); il tannino di castagno che induce una resistenza autogena nelle piante trattate tramite lo stimolo della produzione di metaboliti secondari; proteine la laminarina, ad esempio, che può attivare le difese della vite contro l’oidio; il macerato di ortica, che può essere utilizzato principalmente per prevenire malattie fungine e allontanare insetti ed acari; l’istiocianato di allile, estratto dalla senape, è, invece, un corroborante che ha la capacità di potenziare le difese autogene delle piante e stimolare la resistenza contro insetti e acari.
Interessante la valenza olistica dei preparati che sfruttano una sinergia fra i vari principi attivi secondo la logica della fitocomplessità, con risultati già molto efficaci.
Nella viticoltura, l’integrazione degli induttori di resistenza nelle strategie di difesa, quindi può offrire diversi vantaggi:
- Riduzione dell’uso di fitofarmaci: potenziando le difese naturali della vite, è possibile diminuire la quantità di prodotti chimici necessari per il controllo delle malattie.
- Sostenibilità ambientale: l’uso di sostanze naturali o a basso impatto ambientale contribuisce a una viticoltura più ecocompatibile.
- Gestione integrata delle malattie: gli induttori possono essere utilizzati in combinazione con altri metodi di controllo, sia chimici che biologici, per una protezione più efficace.
Tuttavia, è importante considerare che l’efficacia degli induttori di resistenza può variare in base a diversi fattori, tra cui la varietà di vite, le condizioni ambientali e lo stadio fenologico della pianta. Pertanto, l’uso di questi prodotti dovrebbe essere inserito in una strategia di difesa integrata, valutando attentamente tempistiche e modalità di applicazione.
Conclusione: verso una viticoltura resiliente e sostenibile
L’epigenetica, combinata con la fenomica digitale, il breeding genetico, il biocontrollo, e l’intruduzione degli induttori di resistenza in una ponderata conduzione agronomica, rappresentano alcune potenziali soluzioni per mitigare le criticità legate ai cambiamenti climatici e alla sempre maggiore esigenza di sostenibilità (sul lungo periodo anche economica). Queste innovazioni possono:
✔️ Ridurre l’uso di pesticidi e fungicidi
✔️ Migliorare la resilienza della vite al cambiamento climatico
✔️ Mantenere elevata la qualità organolettica dei vini
Le sfide future includono la necessità di approfondire la ricerca, ottenere stabilità nei risultati e superare la diffidenza del mercato verso le nuove tecnologie. Tuttavia, con l’evoluzione degli strumenti di studio e di selezione, il settore vitivinicolo ha l’opportunità di abbracciare un approccio più sostenibile e innovativo, garantendo un futuro più resiliente alla vite e al vino. Tutto questo dovrà, però, necessariamente andare di pari passo con una maggior sensibilità dei produttori nei confronti della custodia del territorio e della propria identità, valori che, a prescindere dal vitigno, possono essere portati nel calice esprimendo un concetto di terroir in continua evoluzione, mai statico, ma comunque riconoscibile.
F.S.R.
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