Consob su obblighi per investimenti e gestori

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Il presente contributo esamina le indicazioni dei richiami di attenzione Consob sull’adeguamento agli obblighi di finanza sostenibile nella prestazione dei servizi di investimento, anche con particolare riguardo all’attività dei gestori.


1. Il perimetro dei Richiami di attenzione Consob

Ormai da tempo l’applicazione dei principi ESG nel settore dei servizi finanziari è un dato compiuto, fondato su un quadro normativo fortemente armonizzato a livello europeo e profondamente disciplinato a livello sia legislativo che regolamentare.

Come noto, i nuovi requisiti di organizzazione interna e trasparenza informativa sulle politiche di sostenibilità e gli investimenti sono previsti dal Regolamento (UE) 2019/2088 (Sustainable Finance Disclosure Regulation; “SFDR”), applicabile dal 10 marzo 2021, e dal Regolamento (UE) 2020/852 (c.d. Regolamento Taxonomy) che individua criteri classificatori e regole di trasparenza per gli “investimenti eco-sostenibili”.

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La disciplina di dettaglio attuativa della normativa primaria è stata oggetto di lunga gestazione in seno alle ESAs, che hanno lavorato su più versioni di standard tecnici per giungere, con fatica e a seguito di discussioni serrate con i vari stakeholder, alla elaborazione del Regolamento delegato (UE) 2022/1288 (“Regolamento Delegato”).

Sebbene il fine del Regolamento Delegato – di cui, peraltro, è già in corso il processo di revisione e semplificazione ([1]) – sia quello di fare chiarezza, in particolar modo, sulle modalità di applicazione delle norme del SFDR, molti dubbi di natura operativa hanno continuato a manifestarsi tra gli intermediari coinvolti, a vario titolo, nell’adeguamento alle nuove disposizioni. Ciò sotto il profilo sia della redazione e integrazione di policy e procedure interne nonché della documentazione di trasparenza, sia dell’adeguamento degli organici mediante la formazione e il reclutamento di personale specializzato e la definizione dei rapporti contrattuali con outsourcer.

Dal canto loro, le Autorità di vigilanza nazionali hanno dimostrato sincera consapevolezza delle oggettive difficoltà operative palesatesi per gli intermediari, in particolar modo per quelli di più ridotte dimensioni. Ciò anche a causa dell’iniziale estraneità degli intermediari in generale rispetto alla tematica in discussione. Conseguentemente, nel corso dei primi anni successivi all’entrata in vigore del SFDR e delle relative disposizioni attuative, il recepimento dei nuovi requisiti è stato accompagnato da un approccio della vigilanza volto ad una continua sensibilizzazione degli intermediari, che quindi sono stati nel tempo destinatari di alcuni warning e indicazioni di buone prassi ([2]).

In tempi recentissimi il mercato dei fondi comuni di investimento con “marchiatura ESG” sembra subire alcune battute d’arresto, probabilmente dovute anche alla situazione politica contingente, con il recentissimo abbandono di iniziative internazionali quali la Net Zero Asset Managers Initiative ([3]) da parte di BlackRock e di altri colossi come JpMorgan, Citi e Bank of America ([4]).

Ad ogni modo, le Autorità europee e nazionali mantengono elevata l’attenzione sugli investimenti ESG compliant e sulla corretta applicazione di regole organizzative e standard di trasparenza. E proprio su questa scia Consob è recentemente intervenuta con due diversi Richiami di Attenzione per precisare i criteri di corretto adempimento degli obblighi di trasparenza informativa gravanti sugli intermediari soggetti al SFDR ([5]).

In particolare, il Richiamo di Attenzione n. 1/24 del 25 luglio 2024 (“Richiamo 2024”) ([6]) si era espresso in merito alle regole di trasparenza che gli intermediari prestatori di servizi di investimento devono rispettare a livello di entity, sottolineando come gli stessi debbano declinare nelle proprie politiche di rischio, investimento e remunerazione i rischi di sostenibilità e le proprie determinazioni circa la considerazione dei principali effetti avversi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità (gli ormai noti Principle Adverse Impacts – “PAI”). Allo stesso tempo, Consob aveva affrontato il tema delle preferenze di sostenibilità degli investitori, uno dei più delicati che la normativa ESG ha introdotto nella disciplina dei servizi di investimento, con risvolti notevoli a livello sia di product governance che di valutazione di adeguatezza degli investimenti.

Infine, il recentissimo Richiamo di Attenzione n. 1/25 emesso da Consob lo scorso 11 febbraio (“Richiamo 2025”) ([7]) è incentrato sugli obblighi ricadenti a livello di prodotto sui gestori di OICR e sui gestori di portafogli di investimento ([8]). Segnatamente, si concentra sull’ambito dei processi di selezione e valutazione degli investimenti dal punto di vista ESG e sulla trasparenza precontrattuale e periodica dei fondi comuni di investimento e dei portafogli gestiti qualificati ex artt. 8 e 9, SFDR. Il Richiamo 2025 precisa altresì che le raccomandazioni circa l’adempimento degli obblighi di trasparenza a livello di entity di cui al Richiamo 2024 si debbano applicare anche ai gestori di OICR ([9]).

I due Richiami di Attenzione della Consob sulla finanza sostenibile sono strettamente connessi e consentono di chiarire la portata applicativa di alcuni principi introdotti dal SFDR e il presente contributo, non intendendo ripercorrere pedissequamente il contenuto dei due interventi in questione, si sofferma su alcuni temi del framework ESG che, grazie all’intervento di Consob, trovano oggi una più chiara e concreta descrizione; ciò anche mediante l’ausilio di alcune indicazioni di good and poor practice riscontrate dall’Autorità sul mercato.

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2. Rischi di sostenibilità e PAI: concetti diversi e interconnessi

Il rapporto intercorrente tra i due distinti concetti normativi, da un lato, di “rischi di sostenibilità” derivanti dalle decisioni e raccomandazioni di investimento degli intermediari e, dall’altro lato, di “considerazione dei PAI” delle decisioni di investimento o consulenza, costituisce uno dei temi più spinosi insito nella normativa di interesse. I richiamati concetti, come rilevato dal Richiamo 2024 ([10]) ed altresì emerso da un recente report delle ESAs ([11]), sono spesso oggetto di confusione e commistione da parte degli intermediari, con le conseguenti inevitabili difficoltà di piena comprensione degli stessi da parte degli investitori.

Nel SFDR il rischio di sostenibilità è definito come “un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance in grado di incidere negativamente, anche solo in via potenziale, sul valore di un investimento (art. 2, n. 22, SFDR) ([12]).

Pertanto, i rischi di sostenibilità sono introdotti nel più ampio panorama dei rischi da considerarsi nelle decisioni dell’intermediario su come effettuare o raccomandare investimenti. Tali rischi, al pari di altri (di mercato, di liquidità, operativo, ICT, ecc.), possono avere un impatto più o meno rilevante rispetto al valore di un investimento e, quindi, devono essere integrati all’interno delle politiche di risk management (art. 3, SFDR) e remunerazione (art. 5, SFDR), nonché nelle attività di consulenza e investimento (art. 6, SFDR) degli intermediari.

L’importanza rivestita dalla valutazione, sotto vari profili, dei rischi di sostenibilità è stata proprio ribadita nel Richiamo 2025, ove si evidenzia come le disposizioni specifiche derivanti da SFDR siano state trasfuse anche all’interno delle Direttive AIFM e UCITs. Ciò al fine di garantire che i gestori integrino il rischio di sostenibilità nel processo di gestione e valutazione dei rischi degli OICR, nonché nella identificazione e mappatura dei conflitti di interessi. A tal fine, Consob ha stressato – ancora una volta – quanto sia fondamentale che i gestori si dotino di risorse e competenze necessarie affinché l’integrazione dei rischi di sostenibilità non si riduca ad un loro recepimento passivo, ma sia consapevole ed efficace.

Un diverso tema affrontato da SFDR è quello della valutazione dei PAI che le decisioni di investimento o consulenza possono determinare sui fattori di sostenibilità, definiti come “le problematiche ambientali, sociali e concernenti il personale, il rispetto dei diritti umani e le questioni relative alla lotta alla corruzione attiva e passiva” (art. 2, n. 24, SFDR). Per comprendere meglio cosa siano i PAI può soccorrere il concetto di esternalità negativa, sicché i PAI possono essere sostanzialmente identificati come le principali esternalità negative derivanti dalla decisione di investire in una certa impresa ([13]).

Ebbene, con SFDR si richiede agli intermediari di chiarire se essi considerino o meno i PAI delle proprie decisioni di investimento o consulenza e, conseguentemente, di fornire adeguata disclosure a livello sia di entity (art. 4, SFDR) che di “prodotti finanziari” gestiti (art. 7, SFDR).

Al riguardo, il Richiamo 2024 aveva rimarcato come i due concetti di rischio di sostenibilità e di PAI, sebbene distinti, siano strettamente interconnessi in forza del principio di “doppia materialità” attraverso il quale SFDR guarda alle tematiche ESG.

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Le questioni ESG influenzano le attività aziendali assumendo una materialità finanziaria. Infatti, la disciplina dei rischi di sostenibilità evidenzia il potenziale impatto negativo che le questioni ambientali, sociali e di governance possono comportare su reputazione e performance delle aziende e, conseguentemente, sulla valorizzazione dei titoli emessi dalle stesse. Per converso, la disciplina relativa alla considerazione dei PAI guarda al potenziale impatto negativo che le attività, operazioni e policy aziendali possono avere sulle questioni ambientali, sociali e di governance. I fattori ESG sono quindi a loro volta influenzati dalle attività aziendali, da qui la materialità esterna o di impatto concreto.

La doppia materialità comporta che nella decisione di un investimento sia opportuno, da un lato, valutare quali rischi di sostenibilità possano eventualmente impattare negativamente su di esso e, dall’altro lato, considerare se vi siano potenziali ripercussioni negative di quello stesso investimento sui fattori di sostenibilità. Queste due materialità, pur rispondendo a logiche e finalità distinte, sono strettamente interconnesse in quanto “indirizzare gli investimenti verso prodotti con minori impatti avversi in termini di sostenibilità dovrebbe, a tendere, comportare effetti positivi anche in termini di riduzione del rischio di sostenibilità” ([14]).

Alla luce di tali considerazioni, l’intento di Consob, anche mediante l’individuazione delle richiamate good and poor practices, è quello di rimarcare la distinzione tra i due concetti; distinzione che deve emergere chiaramente nell’informativa di trasparenza sui siti web e nella documentazione precontrattuale degli intermediari.

3. Il fattore G: conditio sine qua non della qualificazione dei prodotti finanziari

Come noto, l’acronimo ESG si compone di tre fattori dei quali l’ultimo, la Governance, è spesso il meno analizzato. Il fattore G è stato declinato dal SFDR come il “rispetto di prassi di buona governance” e si ritrova fondamentalmente in due punti.

In primo luogo, si manifesta all’interno della definizione di “investimento sostenibile” (art. 2, n. 17, SFDR) come un prerequisito o condizione essenziale che un’impresa deve possedere affinché l’investimento in essa possa realmente assumere la qualifica di investimento sostenibile. In quest’ambito, peraltro, il requisito della buona governance viene riferito a “strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali”.

In secondo luogo, si rinviene nella definizione dei prodotti finanziari qualificabili ai sensi dell’art. 8, SFDR, per i cui investimenti sottostanti, a prescindere dalla loro qualificazione come “investimenti sostenibili” ai sensi dell’art. 2, n. 17, SFDR, si deve sempre garantire che “le imprese in cui gli investimenti sono effettuati rispettino prassi di buona governance” ([15]).

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Conseguentemente, il fattore G è elevato dal SFDR a vera e propria condizione affinché un investimento possa essere qualificato come sostenibile, sicché tutti i prodotti finanziari che aspirino ad essere qualificati ex art. 9, SFDR, devono investire in imprese che rispettino prassi di buona governance. Allo stesso tempo, il fattore G è condizione irrinunciabile per tutti gli investimenti – quindi non solo quelli qualificati come sostenibili – effettuati dai prodotti finanziari classificati ex art. 8 SFDR ([16]).

Il Richiamo 2025 pone fermamente l’accento proprio sulla rilevanza del fattore G e su come questo debba essere oggetto di valutazione nell’ambito del processo decisionale di investimento degli intermediari che gestiscono prodotti finanziari qualificati ex articoli 8 e 9, SFDR. Secondo Consob, affinché il processo di selezione degli investimenti garantisca che le società target selezionate rispettino prassi di buona governance, gli intermediari, come previsto dagli articoli 28 e 41, Regolamento Delegato, sono tenuti ad integrare la propria strategia di investimento con una specifica strategia di assessment del fattore G. Quest’ultima deve essere dotata di una sua consistenza sostanziale e fondata su metodologie di valutazione adeguate che diano evidenza, ad esempio, dei “negative screening, dei criteri di selezione in positivo, nonché degli obiettivi gestionali definiti in termini ESG risk o ESG rating a livello di emittente o di portafoglio” ([17]).

Dell’applicazione e del funzionamento generale di una tale policy, gli intermediari sono tenuti a fornire adeguata rappresentazione nell’ambito delle informazioni di trasparenza destinate agli investitori. Deve essere in particolare chiarito che il controllo del fattore G concerne tutti gli investimenti che compongono i prodotti finanziari qualificati ex articoli 8 e 9 SFDR e non solo la porzione degli stessi volta a promuovere caratteristiche ambientali e/o sociali ovvero quella composta da soli investimenti sostenibili ([18]). Anche nelle good and poor practices il Richiamo 2025 evidenzia l’importanza della effettiva valutazione del fattore G e della trasparenza circa le metodologie di valutazione impiegate con riferimento al medesimo fattore ([19]).

Da questo quadro emerge come il fattore G abbia una rilevanza forse più pregnante degli stessi fattori ambientali (E) e sociali (S), i quali pure connotano gli investimenti sostenibili, ma non costituiscono, singolarmente presi, una conditio sine qua non essenziale ai fini della qualificazione dei prodotti finanziari ex articoli 8 e 9, SFDR e, ancor più, degli investimenti sostenibili.

4. Il processo di investimento degli OICR ESG compliant

Uno dei più interessanti temi affrontati dal Richiamo 2025 è la costruzione del processo decisionale degli OICR che siano qualificabili ex articoli 8 o 9, SFDR.

A riguardo, Consob ha definito gli step da rispettare e i criteri ai quali ispirarsi per integrare nel processo di investimento l’analisi dei fattori ESG secondo una struttura a tre fasi.

La prima fase è votata alla definizione dei criteri e obiettivi ESG del prodotto finanziario, con individuazione degli elementi vincolanti che consentano il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità o delle caratteristiche ambientali e/o sociali stabilite per il prodotto. In tale ambito, l’individuazione di caratteristiche/obiettivi troppo generici o eccessivamente numerosi è stigmatizzata come poor practice, stante il rischio che ciò avvenga non tanto per orientare meglio ex ante la selezione degli investimenti, ma per godere, ex post, di più numerosi o sfumati criteri, potenzialmente giustificativi dei più diversi investimenti ([20]). Un’ulteriore poor practice è identificata nell’adozione di criteri di selezione parametrati esclusivamente al portafoglio considerato nella sua interezza e non, invece, calati sui singoli emittenti selezionabili ([21]).

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La seconda fase consiste nell’attuazione concreta delle politiche di investimento prefissate, mediante la valutazione degli emittenti target e l’adozione delle decisioni di investimento. In proposito, sono individuate come poor practices l’avvalersi in modo pedissequo e acritico di informazioni provenienti da un unico infoprovider, senza ulteriori verifiche e confronti, nonché l’adozione di un metodo di lettura delle informazioni dei singoli emittenti in termini olistici, senza entrare nel dettaglio dei singoli pillar (E, S, G) ([22]).

Infine, la terza fase prevede il monitoraggio e controllo della conformità degli investimenti effettuati rispetto agli obiettivi o criteri prefissati.

Le tre fasi dovrebbero essere separate dal punto di vista funzionale e organizzativo mediante l’individuazione di diversi soggetti deputati al presidio delle stesse che possano garantirne l’indipendenza e, conseguentemente, l’efficacia.

La corretta costruzione del processo di investimento sotto il profilo organizzativo e delle responsabilità funzionali consentirebbe che i criteri di investimento predeterminati rispetto a ciascun prodotto con ambizioni ESG siano rispettati e monitorati nel tempo.

Nel Richiamo 2025 Consob dedica particolare attenzione al corretto dispiegarsi delle policy che governano lo screening dei potenziali emittenti target in base a criteri di selezione positivi o negativi che devono essere pienamente ed efficacemente rispettati. Le policy di investimento ed i loro meccanismi di selezione devono, infatti, consentire quantomeno di comprendere se le società target siano, al momento dell’investimento o in prospettiva evolutiva, conformi rispetto ai criteri stabiliti dall’intermediario con riferimento a ciascuno dei fattori di sostenibilità, rispetto allo specifico prodotto finanziario.

Nelle prassi di vigilanza già si può assistere all’attenzione rispetto al funzionamento delle politiche di selezione degli investimenti sotto il profilo ESG e al loro livello di coerenza, rigidità o flessibilità rispetto ai criteri di selezione, positivi o negativi, prefissati. Più in particolare, viene posta attenzione alla verifica della concreta applicazione dei criteri di selezione, specie quando questi sono formulati in negativo (ad esempio nell’ambito di “liste di esclusione”), per valutare se essi siano bloccanti; inoltre, laddove sia consentito il superamento dei blocchi, viene indagato se siano previste delle giustificazioni sottostanti presidiate da adeguate procedure di escalation ed autorizzazione interna.

In conclusione sul punto, considerata la costante attenzione di Consob verso il corretto dispiegarsi dei processi di investimento dal punto di vista ESG e la proattività della stessa Autorità nel fornire esempi di good and poor practice, è raccomandabile, da parte degli intermediari, la definizione di policy di investimento solide, anche valutando l’intervento di più soggetti o di specifici comitati per vagliare gli investimenti, specie quando questi non siano esattamente in linea con i criteri di selezione prestabiliti. Peraltro, anche al fine di contrastare potenziali fenomeni di greenwashing, sarebbe opportuno che, pur mantenendo un grado di flessibilità, i gestori non giungano a compiere, senza giustificazione e adeguata formalizzazione nell’ambito di processi decisionali definiti, scelte di investimento che possano deviare dalle strategie ESG dei propri prodotti finanziari.

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[1] Ad oggi la Commissione sta lavorando all’aggiornamento del Regolamento Delegato sulla base di indicazioni elaborate dalle ESAs nel dicembre 2023. Allo stesso tempo, sulla base di una Joint Opinion rilasciata dalle stesse ESAs nel giugno 2024, la Commissione sta lavorando alla proposta di riforma complessiva del SFDR, volta principalmente ad obiettivi di semplificazione.

[2] Tra i vari richiami e indicazioni di buone prassi succedutesi nel tempo a livello europeo e nazionale si ricordano principalmente:

  • le “Aspettative di vigilanza sui rischi climatici e ambientali” emesse da Banca d’Italia nell’aprile 2022;
  • l’“Indagine tematica sul grado di allineamento delle LSI alle aspettative di vigilanza sui rischi climatici e ambientali”, pubblicata da Banca d’Italia nel novembre 2022;
  • la Comunicazione “Rischi climatici e ambientali. Principali evidenze di un’indagine tecnica condotta dalla Banca d’Italia su un campione di intermediari finanziari non bancari”, emessa da Banca d’Italia il 10 gennaio 2023; e
  • i due “Piani di azione” dedicati alle LSI (Less Significant Bank) e agli INB (Intermediari Non Bancari) emessi da Banca d’Italia nel dicembre 2023, relativi all’integrazione dei rischi climatici e ambientali nei processi aziendali con evidenza di buone prassi.

[3] La Net Zero Asset Managers Initiative è un’organizzazione internazionale fondata nell’aprile 2021 da numerosi gestori patrimoniali e istituti finanziari impegnati a sostenere l’obiettivo di emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050.

[4] Si vedano le notizie riportate a mezzo stampa da il Sole 24 Ore e, in particolare V. D’Angerio, “Crisi verde, banche e fondi in fuga: perché vanno in pezzi le alleanze per il clima”, Il Sole 24 Ore PLUS, 22 gennaio 2025, e “La battaglia sul clima perde pezzi: anche BlackRock lascia il gruppo anti CO2”, Il Sole 24 Ore, 10 gennaio 2025.

[5] Questi sono i soggetti autorizzati alla prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti e i soggetti autorizzati alla gestione di quelli che SFDR, con un’innovativa e ampia definizione trasversale, ha indicato come “prodotti finanziari” (gestioni di portafogli, FIA, OICVM, IBIP, prodotti e schemi pensionistici e PEPP).

[6] Cfr. https://www.dirittobancario.it/art/finanza-sostenibile-indicazioni-consob-per-gli-intermediari/#:~:text=1%2F2024%20del%2025%20luglio,per%20la%20clientela%20al%20dettaglio

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[7] Cfr. https://www.dirittobancario.it/art/trasparenza-informativa-fattori-esg-richiamo-di-attenzione-consob/

[8] Cfr. Richiamo 2025, nota 2, pag. 2, ove si legge che “l’informativa a livello di prodotto fa riferimento sia alla gestione collettiva che al servizio di gestione di portafogli. Le raccomandazioni del presente richiamo di attenzione sugli obblighi informativi a livello di prodotto sono da intendersi valide anche per gli intermediari diversi dai gestori che prestano il servizio di gestione di portafogli”.

[9] Cfr. Richiamo 2025, nota 1, pag. 2.

[10] Nel Richiamo 2024, pag. 11, si legge che “Nell’informativa, i concetti normativi chiave legati alla sostenibilità (…) risultano rappresentati in modo confuso, rendendo poco comprensibile il contenuto e la finalità della policy di integrazione del rischio di sostenibilità nei processi di consulenza o gestione di portafogli”.

[11] Nel Rapporto annuale alla Commissione Europea emesso dalle ESAs il 30 ottobre 2024, “Principal Adverse Impact disclosures under the Sustainable Finance Disclosure Regulation”, pag. 38, si legge che “An example of bad practices for the asset management sector is the separation of sustainability risks and PAI statement, while conversely sustainability risks and PAIs are used interchangeably in the same section, which may confuse or mislead the investor […] One NCA also noted that there is still confusion between the definition of sustainability risks and PAI consideration”.

[12] Per tentare di fornire un esempio banale di un rischio di sostenibilità legato ai fattori di sostenibilità ambientali (fattore E), il valore di un investimento in titoli di una società attiva nel settore minerario potrebbe essere impattato da eventi atmosferici avversi quali frane e alluvioni, tra l’altro potenzialmente legati all’attività estrattiva. Allo stesso modo, per fare un esempio di rischio di sostenibilità legato ai fattori di sostenibilità sociale (fattore S), il valore di titoli emessi da una società che opera in Paesi nei quali gli standard minimi di sicurezza sul lavoro non sono garantiti o adeguatamente presidiati potrebbe essere negativamente impattato dal verificarsi di gravi incidenti sul lavoro.

[13] Per fare un esempio, la decisione di un intermediario di investire la liquidità di un fondo comune di investimento in titoli emessi esclusivamente da società operanti nel settore dell’estrazione mineraria potrebbe potenzialmente determinare, quale principale effetto avverso a livello ambientale, un maggiore dissesto idrogeologico o inquinamento delle falde acquifere.

[14] Cfr. Richiamo 2024, nota 12, pag. 4.

[15] Nella definizione di “investimento sostenibile” il rispetto di prassi di buona governance è solo una delle due condizioni essenziali affinché un investimento possa definirsi sostenibile. L’altra condizione, forse ancor più importante, è che l’investimento in questione, nel conseguire un obiettivo di sostenibilità, non arrechi un danno significativo ad un diverso obiettivo di sostenibilità (“Do Not Significantly Harm Principle” – DNSH Principle).

[16] Queste considerazioni trovano conferma nelle Consolidated questions and answers (Q&A) on the SFDR (Regulation (EU) 2019/2088) and the SFDR Delegated Regulation (Commission Delegated Regulation (EU) 2022/1288, pubblicate dalle ESAs il 25 luglio 2024 , ove si legge: “Where a financial product referred to in Article 8, paragraphs 1, 2 and 2a, of Regulation (EU) 2019/2088 pursues investment in companies, the companies must follow good governance practices. Failing that, the financial product is in breach of Article 8 of Regulation (EU) 2019/2088. Underlying assets of a financial product referred to in Article 9, paragraphs 1 to 4a, of Regulation (EU) 2019/2088 must qualify as ‘sustainable investments’, as defined in Article 2, point (17), of that Regulation. Article 2, point (17), of Regulation (EU) 2019/2088 requires that the investee companies follow good governance practices, in particular with respect to sound management structures, employee relations, remuneration of staff and tax compliance. Failing that, the financial product is in breach of Article 9 of Regulation (EU) 2019/2088” (cfr. pag. 34). Inoltre, sono esclusi dalla valutazione della sussistenza di prassi di buona governance gli investimenti in bond governativi e real asset detenuti tramite SPV o società di holding (cfr. pagg. 35 e 51).

[17] Richiamo 2025, pag. 3.

[18] Richiamo 2025, ancora pag. 3.

[19] Consob individua come poor practice il “Generico riferimento al fatto che i PAI (principal adverse impact indicators) e la good governance sono valutati sulla base di modelli interni, senza fornire ulteriori dettagli in merito a tali modelli” (Richiamo 2025, pag. 7).

[20] Richiamo 2025, pag. 6.

[21] Richiamo 2025, pag. 8.

[22] Richiamo 2025, ancora pag. 8.



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