E’ falso che il riarmo garantisca la pace

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Nel 2020, in piena pandemia, ho scritto un articolo (pubblicato da avvenire. it con il titolo “Occorre un nuovo spirito costituente”) dove, tra l’altro, criticavo il linguaggio bellico per sconfiggere la pandemia, che con tutta evidenza necessitava invece di cura, cooperazione e comune, planetaria, difesa nonviolenta. Riprendevo anche Bauman con la sua interpretazione della “paura liquida” con le paure indotte che si auto avverano, indicando già rimedi autoritari ad uno spavento, una insicurezza senza ancora una causa effettiva. E nella scelta, durante la pandemia, della mancata  chiusura dell’industria bellica, in quanto “produzione essenziale” (al pari di quella alimentare, energetica e farmaceutica) la strategia  verso un’economia armata in un periodo che vedeva già un incremento enorme delle spese militari.

Purtroppo si è diffuso il virus della guerra e la illogicità che solo più armi possano garantire la pace è diventato un mantra tanto ripetuto quanto falso. Se così fosse, infatti, vent’anni in cui si sono raddoppiate le spese militari avrebbero dovuto evitare ogni guerra e non provocarne tante insieme, come sta avvenendo ora, come mai dalla fine della seconda guerra mondiale.

E addirittura si è tornati a investire nelle armi nucleari, oltre a tante innovative “armi intelligenti”, con totale disprezzo delle vite umane soppresse nelle guerre (in maggioranza civili) e del futuro del pianeta. E del diritto e delle istituzioni internazionali.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

E’ interessante fare conoscere che a questa logica bellicista si stanno opponendo non solo i movimenti nonviolenti e per la pace, ma iniziano a fare sentire la loro voce critica anche istituzioni non certo estremiste come la Banca d’Italia e centri di ricerca universitari e indipendenti.

E’ stato, ad esempio, del tutto ignorato un recente importante intervento del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, alla fondazione Centesimus annus, a Bologna, che invito a leggere integralmente.

Nel suo intervento, ricordando in nota anche la dottrina sociale della Chiesa, Panetta afferma come guerre e riarmo sono “la negazione dei bisogni primari che ancora affliggono vasti strati della popolazione mondiale”; “La produzione bellica sostiene la domanda aggregata e può stimolare l’innovazione, ma distorcendone gravemente le finalità”; “E’ sbagliato attribuire alla spesa militare il merito del progresso tecnologico, è la ricerca scientifica a stimolare l’innovazione”. E indica gli interventi indispensabili per politiche economiche di pace in 5 interventi: “il contrasto alle disuguaglianze”, “il rafforzamento dei sistemi di istruzione e ricerca”, “il rafforzamento della protezione sociale e la garanzia dell’accesso a servizi sanitari efficienti”, la gestione del debito estero dei Paesi più poveri” e “politiche di sostegno allo sviluppo”.

In altre ricerche sono ricordati dati ufficiali che confrontano la spesa militare dei Paesi europei (Gran Bretagna compresa) con quella di Russia e Cina, sottolineando che già ora si sta spendendo più di loro e che la Russia in guerra spende molto più percentualmente perché il loro PIL è un nono del nostro aggregato.

Aumentare la spesa militare a chi giova dunque, considerando che la maggioranza delle armi è importata dagli Usa? La mancanza di una politica europea per la difesa, che deve avere al suo centro la diplomazia e la difesa del diritto sovranazionale, è il problema, non certo i soldi spesi in armamenti, sottratti alla spesa sociale e con grave impatto sull’ambiente, anche nella produzione, non solo nel loro uso.

Occorre contrastare con forza la scelta bellicista che vuole creare “in modo diffuso la mentalità di guerra, con l’urgenza di una mobilitazione permanente” come affermato lo scorso mese dal nuovo segretario della Nato Rutte.

Le nuove generazioni si confrontano con stupore e disorientamento con le immagini e le parole di guerra. Occorre una approfondita riflessione sui danni che questa deriva emotiva può produrre sulle donne e sugli uomini di domani, sui loro sentimenti, sulla loro percezione della realtà e sul modo di organizzare la convivenza. Abituandosi a convivere con l’odio si rischia di diffonderlo, di renderlo inestinguibile” (Il presidente Mattarella negli auguri di fine anno 2024)

Per salvare vite (compresa la nostra e delle generazioni future) bisogna opporsi all’economia di guerra. Per salvare la nostra umanità e chi ci accoglie. Il nostro modello di benessere è fondato sul saccheggio di risorse e sulla violenza. La finanza sta decidendo per noi, per le nostre istituzioni (nel 2024 si sono superati i 1000 miliardi di investimenti dei fondi sovrani nell’industria bellica, che è sempre più complesso militare-industriale-finanziario, che produce profitti enormi, sostenendo anche eserciti privati come vediamo in Ucraina, in Congo , in Sudan e in molti altri Paesi africani). E gli stessi fondi finanziari sono quelli che stanno guidando l’economia della ricostruzione post bellica!

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E’ indispensabile che ci opponiamo a questa ideologia della crescita e della misurazione del benessere solo in termini di crescita del PIL, che somma distruzione e ricostruzione; inquinamento e interventi per disinquinare e per curare; gioco, sballo e divertimento e terapie contro le dipendenze; lavoro che uccide o rende invalido e assicurazioni, pensioni e cure; bulimia di cibo e medicine per curarsi…

Occorre fare politiche contro questa violenza strutturale anche con le nostre scelte responsabili di vita, di consumo, di relazione, politiche, indicando con chiarezza quanto crea davvero benessere e quanto occorre ridurre per stare bene, tutti, nessuno escluso.

Sta diffondendosi sempre più, anche nel nostro territorio, la consapevolezza della necessità di un’economia disarmata, che superi il paradigma economista, bellicista e tecnocratico. Da parte di soggetti diversi, che devono sempre più trovare convergenza di finalità.

Papa Francesco continua ad essere un grande aiuto per fare scelte concrete, quotidiane, condivise che in questo periodo storico ci facciano riconoscere tutti fratelli e sorelle nella scelta di un’ ecologia integrale.



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