Usa, Messico e Canada dovranno ospitare la prossima edizione nell’estate del 2026, la prima con 48 squadre. Ma l’elezione di Trump ha introdotto tensioni con entrambi i paesi. Il presidente della Fifa, Gianni Infantino, trascorrerà più tempo negli Usa, forte del suo rapporto stretto con la Casa Bianca. Un rapporto che può tramutarsi in un boomerang
Il primo ministro Justin Trudeau non ha resistito alla tentazione di lanciare una frecciata a Donald Trump, pochi istanti dopo che il Canada aveva strappato agli Stati Uniti la vittoria per 3 a 2 nella finale del torneo di hockey 4 Nations Face Off di Boston grazie a un golden-gol segnato da Connor McDavid ai supplementari: «Non potete portarci via il nostro Paese – e non potete portarci via il nostro gioco», ha scritto Trudeau su X, il social, guarda caso, di proprietà del sodale di Trump, Elon Musk.
Un post arrivato dopo il successo della sua nazionale, in risposta alla provocazione di Trump, che la mattina della finale aveva scritto senza mezzi termini su Truth che il Canada un giorno, forse presto, diventerà il 51esimo stato degli Stati Uniti d’America. Non era la prima volta che il neoeletto presidente statunitense provocava il vicino canadese, evocando la prospettiva di un’annessione o comunque una cessione di sovranità.
Tutto è iniziato all’inizio di febbraio, quando Trump ha annunciato l’imposizione di dazi del 25% su tutte le importazioni dal Canada e dal Messico, con l’eccezione di prodotti energetici canadesi, soggetti a un dazio del 10%. Una mossa giustificata con la necessità di contrastare l’immigrazione illegale e il traffico di fentanyl, ma che ha scatenato immediate reazioni da parte dei paesi vicini. Erano i giorni in cui Trudeau definiva le tariffe una «violazione flagrante» dell’accordo USMCA, annunciando misure di ritorsione su beni statunitensi per un valore di 155 miliardi di dollari. Parallelamente, il presidente messicano, Claudia Sheinbaum, respingeva le accuse di connivenza con i cartelli della droga, promettendo contromisure economiche.
Le nuove divisioni
Il punto è che con loro, con il Canada di Trudeau e il Messico di Sheinbaum, gli USA dovranno organizzare i Mondiali di calcio del 2026. La battaglia sul ghiaccio del TD Garden di Boston è stata solo l’ennesima dimostrazione di come le rivalità tra gli Stati Uniti e i suoi vicini non siano solo una questione legata allo sport.
Il confine tra il gioco e la politica è sempre più sfumato: lo dimostrano non solo le provocazioni tra i leader, ma anche il modo in cui questi attriti rischiano di influenzare eventi più grandi di un torneo di hockey. Ora il calcio si domanda cosa succederà tra poco più di un anno, quando i tre paesi dovranno trovare un equilibrio per ospitare la prima versione extra-large del torneo, con 48 squadre partecipanti, 16 città coinvolte, da Vancouver a Miami, da Sam Francisco a Monterrey.
L’idea di una candidatura condivisa, nota come United Bid, è nata nel 2016 ed è stata ufficialmente annunciata il 10 aprile 2017: è stata motivata dalla volontà di offrire un evento di portata globale, che potesse sfruttare le risorse e le infrastrutture esistenti nei tre Paesi, soprattutto a livello di collegamenti. Un approccio visto come un’opportunità, per dimostrare unità e collaborazione tra paesi con culture e tradizioni diverse, ma unite dalla passione per il calcio.
Il Congresso della Fifa tenuto a Mosca il 13 giugno 2018 ha sancito l’assegnazione della Coppa 2026 proprio all’organizzazione congiunta USA-Canada-Messico, che ha prevalso per 134 voti a favore contro 65 sulla proposta del Marocco.
È la prima volta che il più importante torneo di calcio internazionale sarà ospitato da tre Paesi diversi. Il gigantismo produrrà quattro anni dopo un altro scenario mai visto, di nuovo un Mondiale ripartito per tre (Marocco, Portogallo, Spagna) ma con le prime tre partite altrove, in Sudamerica – Argentina, Paraguay e Uruguay – per celebrare il centenario del primo torneo. Come dire: sei nazioni e tre continenti.
Le relazioni Trump-Infantino
In occasione del sorteggio della prima edizione del Mondiale per club in programma in estate, competizione fortemente voluta dalla Fifa, nonostante le opinioni contrarie da parte di molti calciatori, club e addetti ai lavori, Donald Trump ha espresso gratitudine per l’arrivo di un evento di tale portata nel suo Paese, per poi elogiare pubblicamente il presidente Gianni Infantino, definito un vincente: «Ci conosciamo da tempo e sono felice di avere questo grande rapporto con lui», ha detto.
I due si erano già scambiati convenevoli poche settimane prima, quando Gianni Infantino era stato invitato da Trump alla cerimonia per il suo insediamento a Washington e aveva ringraziato pubblicamente il neoeletto presidente con un post su Instagram: «Ho avuto l’onore di incontrare il presidente degli Stati Uniti Donald Trump a Mar-a-Lago in Florida in vista del suo imminente insediamento. Abbiamo discusso della Coppa del Mondo per Club Fifa di quest’estate e della Coppa del Mondo FIFA del 2026, due tornei veramente globali, gli Stati Uniti svolgeranno un ruolo fondamentale nell’ospitarli. Grazie, signor Presidente, per il suo tempo e per il sostegno alla FIFA nei prossimi mesi – ha scritto Infantino postando anche una foto – l’America accoglie il mondo e il calcio unisce il mondo».
Nel suo ufficio, Trump espone una copia della Coppa del mondo.
La Fifa ha già annunciato che nei prossimi mesi Infantino trascorrerà più tempo negli Stati Uniti, per sostenere i preparativi delle due manifestazioni: un approccio che abbiamo già visto adottato per i Mondiali del 2022 in Qatar.
I rischi
L’avvicinamento del presidente della Fifa a Trump non è passato inosservato: in passato, Infantino aveva provato a ritagliare per sé e per l’organismo che presiede un ruolo di attore primario sulla scena politica. Ha preso spesso parte a riunioni del G20 o il forum di Davos insieme ai grandi leader; c’è riuscito, indossando il vestito di interlocutore neutrale, con velleità, addirittura, di mediatore internazionale.
Lasciar aprire il sorteggio per il Mondiale per club 2025 a Ivanka e Theodore Trump, appoggiare così apertamente il presidente statunitense, potrebbe rivelarsi una mossa controproducente in tal senso: nemmeno con l’emiro qatariota, che ha finanziato la FIFA con investimenti milionari, Infantino sembrava aver costruito un rapporto così stretto.
Con Trump, invece, il legame sembra sempre più simile a un’alleanza politica. Il rischio, però, è che Infantino abbia deciso di puntare su un cavallo pericoloso: in una Coppa del mondo allargata a 48 nazioni diverse i rischi di conflitti geopolitici, con Trump alla Casa Bianca, sono aumentati. Non solo per i rapporti degli USA con gli altri due organizzatori, Canada e Messico, ma anche con tutti quei Paesi in conflitto verbale o politico con The Donald nelle prime settimane della sua amministrazione: i Paesi arabi sulla questione palestinese, la Colombia sul fronte immigrazione, la Danimarca e quindi l’Unione Europea per le pretese di annessione della Groenlandia.
Il cammino verso la realizzazione della United Bid, che fino a pochi mesi fa sembrava un manifesto di unità tra culture, rischia di trasformarsi in un campo minato di tensioni e rivalità nazionali. Un risiko geopolitico che sembra la perfetta incarnazione del sovranismo trumpiano, ispirato più al divide et impera romano che a un evento di cooperazione globale. Dal sogno del calcio senza confini all’incubo di un Mondiale intrappolato nelle logiche della politica, dove invece di abbattere muri si rischia di costruirne di nuovi.
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