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Parallelamente alla seconda sessione della COP16, in corso a Roma presso la sede della FAO, il 25 febbraio alle ore 10:30 la rete del Climate Pride ha organizzato una performance presso Piazzale Ugo La Malfa per sollecitare un impegno politico e finanziario più ambizioso nella tutela della biodiversità.
La manifestazione, indetta da realtà ecologiste, ha rivendicato la necessità di rispettare i limiti planetari, promuovendo benessere, lavoro e inclusione sociale per ogni persona.
Un gruppo di attiviste e attivisti, indossando maschere raffiguranti varie specie viventi, ha dato vita a una performance artistica, una sorta di “COP della Natura” con la presenza di bandiere dell’Onu, volta a catalizzare l’attenzione sulle richieste chiave rivolte ai rappresentanti delle nazioni. Questa performance, con la sua forte carica simbolica, è legata strettamente alla rivendicazione di azioni concrete e maggiori finanziamenti pubblici, diretti anche alle popolazioni indigene e locali, per raggiungere gli obiettivi internazionali sulla salvaguardia ambientale.
Per questo, la rete del Climate Pride ha rafforzato le richieste già avanzate il 19 febbraio dalle organizzazioni della società civile, esortando i governi a ridurre di almeno 500 miliardi di dollari all’anno gli incentivi dannosi per la biodiversità e mobilitare almeno 200 miliardi di dollari all’anno per la tutela della biodiversità entro il 2030.
In coerenza con il Nature Restoration Law, che prevede il ripristino di almeno il 30% degli habitat degradati dell’UE entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050, la rete del Climate Pride afferma che, al fine di coniugare ottimizzazione delle risorse e tutela degli ecosistemi in linea con gli obiettivi europei, è fondamentale garantire che gli investimenti siano realizzati senza pregiudicare le risorse ambientali (principio del DNSH – Do No Significant Harm).
È inoltre importante sottolineare che le soluzioni per la protezione della biodiversità su scala globale non possono essere consegnate esclusivamente a logiche che non tengano conto del cambio di paradigma necessario che parta, innanzitutto, dal mettere la scienza al centro delle decisioni strategiche: devono essere le indicazioni della scienza, tramite il coinvolgimento delle comunità locali, a guidare le scelte politiche e non il contrario. È necessario finanziare azioni di tutela multidisciplinare (es. agricoltura, pesca, foreste, mobilità…) per ridurre le pressioni e puntare sul ripristino della natura in coerenza con regolamenti e trattati internazionali, puntando su soluzioni basate sulla natura (Nature Based Solution). Al contempo è necessario vigilare attentamente, e nel caso regolamentare in maniera stringente, il meccanismo delle compensazioni (biodiversity offsetting) in base al quale la perdita e distruzione di habitat, causata da progetti di sviluppo ed infrastrutturazione, può essere compensata altrove, anche in altri continenti, con una quantità di natura equivalente e ricreando ecosistemi “simili” che, tuttavia, vengono però raramente ricostruiti con successo avendo, come risultato, la perdita di habitat chiave e di specie native nonché degrado di servizi ecosistemici.
In questo senso, un aspetto cruciale è la speculazione sui brevetti dei semi, che minaccia l’identità culturale delle popolazioni indigene e delle comunità locali. La privatizzazione delle sementi, spesso conservate attraverso conoscenze tramandate per generazioni, rischia di sottrarre a queste comunità il diritto di coltivare, conservare e scambiare liberamente le proprie risorse, riducendo la biodiversità agricola e aumentando la dipendenza economica dai grandi gruppi industriali agricoli e farmaceutici. Proteggere i diritti dei popoli indigeni su queste risorse è essenziale per preservare la diversità culturale e garantire la sovranità alimentare globale.
I Paesi del Nord Globale, compresa l’Italia, devono assumersi maggiori responsabilità nel finanziamento di tali misure, collaborando attivamente con i Paesi del Sud Globale, in particolare nel contesto della cooperazione con il continente africano. Per questo è fondamentale dotarsi di un sistema di indicatori globali capaci di misurare lo stato di avanzamento e applicazione dei Piani nazionali di protezione della Biodiversità.
La COP16 rappresenta un’opportunità cruciale per un cambio di rotta: è tempo che i governi si assumano la responsabilità di proteggere la biodiversità con azioni concrete e investimenti adeguati.
La rete del Climate Pride costituita da associazioni e movimenti ecologisti e sociali
Contatti
Luisa Calderaro (l.calderaro@legambiente.it – 3496546593)
Eleonora Angeloni (e.angeloni@legambiente.it – 3758573206)
Giunio Panarelli (g.panarelli@wwf.it – 333 267 9560)
Alessandro Coltrè (alessandrocoltre@asud.net – 3891786343)
Valentina Barresi (vbarresi@greenpeace.org – 342 5532207)
Gaia Maione (gmaione@greenpeace.org – 340 5718019)
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