Giubileo, Giovani, Vincenziani – Pellegrini di speranza e missionari di bellezza

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Il Giubileo è da sempre un’occasione di rinnovamento spirituale per la Chiesa, perché attraverso di esso è offerto ad ogni credente la possibilità di “varcare la porta santa” che è Cristo Signore, e di ricentrare la propria esistenza in Colui che rende bella il nostro essere umani.

Tra gli eventi più attesi vi è il Giubileo dei Giovani che rappresenta un momento speciale di incontro con Dio, di crescita nella consapevolezza di essere Chiesa e soprattutto di testimoniare che in essi, cioè nei giovani, vi è il seme della Speranza. La loro vita è speranza di un presente fecondato dalla tenerezza dello spirito, e dal desiderio di rinnovare la Chiesa, la società e le relazioni secondo il sogno di carità di Vincenzo de Paoli.

In questo conteso, il carisma vincenziano, ispirato a S. Vincenzo de Paoli, offre in particolare ai giovani una chiave di lettura profonda per vivere il giubileo non solo come semplici pellegrini, ma soprattutto come un’opportunità per riproporre l’esperienza del servizio come un’occasione per ridare speranza a sé stessi e a chi ci sta intorno. Tale carisma si sposa perfettamente con lo spirito giubilare, esso tenta di coniugare nella speranza l’amore appassionato per ogni persona, un amore che diventi il segno di un “anno di grazia” per tutti, nessuno escluso. Quindi, partecipare al giubileo dei giovani significa non solo vivere un’esperienza intesa di spiritualità, ma dare a questo giubileo un carattere proprio dell’agape, cioè di una condivisone più ampia che attesti la presenza del Dio amore. L’esperienza del Giubileo deve essere per ogni giovane, un tempo dentro il quale gusti la concretezza di essere credenti, vincenziani, con lo sguardo rivolto alla Speranza, e con le mani tese verso chi oggi vive ai margini della società e fa fatica a credere ancora nella Speranza.

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Dobbiamo far nostra l’esperienza di fede di Vincenzo de Paoli, il quale affermava con profonda convinzione: “Non devo considerare un povero contadino o una povera donna dal loro aspetto, né dalla loro apparente mentalità; molto spesso non hanno quasi la fisionomia, né l’intelligenza delle persone ragionevoli, talmente sono rozzi e materiali. Ma rigirate la medaglia, e vedrete alla luce della fede che il Figlio di Dio, il quale ha voluto esser povero, ci è raffigurato da questi poveri[1].

I giovani sono coloro che, in questa realtà storica così liquida e dove spesso si è marchiati a partire da pregiudizi, hanno la forza di girare la medaglia, di dare una svolta sostanziale al volto umano e intravedere in essi che vi è raffigurato il Figlio di Dio. I giovani, inseriti nel carisma vincenziano, si assumono una missione precisa quella di essere messaggeri credibili di una umanità nuova, inclusiva, dove non vige più la logica dell’efficienza, ma quella dell’unicità della persona umana per come essa si esprime e si presenta nell’oggi.

Il giovane vincenziano dev’essere con tutto se stesso pellegrino di speranza, deve compiere un vero pellegrinaggio interiore ed esteriore: da Cristo all’uomo e dall’uomo a Cristo. In questo viaggio deve spargere sui terreni della storia i semi di quella speranza che solo nell’incontro con Cristo ha potuto ricevere. È questo diventa l’unico modo per restituite a chi vive situazioni di disagio, di morte interiore, di fallimento, di povertà umana, di guerra e di solitudine la vera speranza quella che non delude mai. Dobbiamo restituire Cristo alla gente, egli deve ritornare ad essere la vera speranza del popolo, non più veicolata o velata da logiche di potere, ma un Cristo di tutti e per tutti.  Il Giubileo dei giovani, vissuto in questa prospettiva, non si riduce più a un’esperienza devozionale, ma esso diventa una autentica occasione di ri-lancio per un impegno di vita concreto fondato sull’amore e sulla solidarietà.

Credo che in questo tempo di grazia, ancor di più i giovani vincenziani devono far proprio l’appello del Papa: Le voci dei poveri siano ascoltate in questo tempo di preparazione al Giubileo che, secondo il comando biblico, restituisce a ciascuno l’accesso ai frutti della terra: «Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e all’ospite che si troverà presso di te; anche al tuo bestiame e agli animali che sono nella tua terra servirà di nutrimento quanto essa produrrà» (Lv 25,6-7)[2].

È un tempo di restituzione, della dignità, della libertà, della bellezza di appartenere tutti allo stesso popolo, senza differenze, ed i giovani con la loro vitalità e creatività possono – devono essere la garanzia di questa restituzione. I poveri, i dimenticati, ogni persona che vive il dramma della non speranza, confidano nei giovani, tengono gli occhi fissi su di loro, perché attendono da essi la concretizzazione della beatitudine annunciata da Gesù: Beati i puri di cuore perché di essi è il regno di Dio (Mt 5,3). I giovani con la loro testimonianza di vita attestano che nulla è andato perso, ma attraverso di loro tutto viene riconsegnato nelle mani di coloro sono per noi “i nostri signori e padroni”.  Per noi vincenziani, in particolare per i padri vincenziani, è un giubileo nel giubileo, difatti celebrano i 400 anni dalla fondazione della comunità, ma non è solo il loro Giubileo, in esso vi è coinvolta tutta la famiglia vincenziani e in particolare i giovani che sono la Speranza di un presenza che attende con gioia la loro adesione piena a Cristo e in lui essere in ogni contesto seme sparso per la rinascita di un mondo che tenga conto del sogno di Dio: “ed ecco era cosa molto bella” (Gen. 1,31)

 

P. Giuseppe Martinelli, CM

[1] S. Vincenzo de Paoli, Conferenze ai preti della missione, vol. 10, pg. 26

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[2] Papa Francesco, Lettera del Santo Padre Francesco a mons. Rino Fisichella per il Giubileo 2025, Roma 2024



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