“Impiantano idee che non abbiamo”

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Non si tratta solo di brain rot, il cervello che diventa marcio. Ogni stimolazione visiva su uno scherno crea un prodotto cognitivo: non prestiamo attenzione ma ricordiamo ed elaboriamo. In questo modo le piattaforme influenzano il nostro pensiero critico e manipolano le nostre opinioni.

Intervista a Simona Ruffino

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Esperta di comunicazione e neuroscienze

Su. Su. Su. Ancora su. Pollice e occhi sullo schermo. Lo scrolling infinito ci impedisce di staccarli e noi seguiamo con lo sguardo il flusso di contenuti sotto l’effetto di un’ipnosi visiva. “Da un lato rallenta il nostro pensiero critico, dall’altro fa sedimentare ogni cosa nella nostra memoria“, spiega a Fanpage.it Simona Ruffino, esperta di comunicazione e neuroscienze. “Ogni stimolazione crea un prodotto cognitivo, un’opinione su un fatto, un candidato politico, non prestiamo attenzione ma immagazziniamo”, è una voce di sottofondo che si insinua e poi diventa reale nella nostra testa, intanto noi cambiamo idea senza nemmeno accorgercene.

I social non stanno solo facendo marcire il nostro cervello (c0me ha voluto ricordarci l’Università di Oxford nel 2024 scegliendo come parola dell’anno brain rot) ma lo stanno anche manipolando sfruttando i nostri bias, impiantando idee, visioni, opinioni, “e tutto questo succede senza che ce ne rendiamo conto“.

Bianco o nero, i social sfruttano la dicotomia, in questo modo filtrano la realtà e manipolano il nostro cervello?

Le piattaforme sono gestite da persone che scrivono un algoritmo. Questo algoritmo è in grado di cambiare la percezione,  il nostro pensiero, è uno strumento potente, abbiamo visto quanto durante le elezioni negli Stati Uniti, giusto per fare un esempio recente.

Da dove parte la manipolazione?

Direi dalla semplificazione binaria, che è data da processi che partono appunto da una semplificazione eccessiva che riduce a bianco o nero, chi è buono o chi cattivo, è un modo di vedere la realtà che evita la complessità per rifugiarsi nel pensiero duale, che è più semplice.

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E che spinge verso la polarizzazione. 

Sì, gli algoritmi costruiscono bolle, chiunque entra in contatto con i propri argomenti li guarderà e alimenterà l’algoritmo che andrà a riproporre, questo oltre a creare polarizzazione fa in modo che si costituisca una realtà parziale e quindi manipolata. 

Tutto parte dalla semplificazione binaria, che però ha origini ben più antiche rispetto ai social.

Certo, il pensiero binario parte dal nostro cervello che vuole fare il minimo sforzo per ottenere il miglior risultato. Affrontare la complessità del mondo comporterebbe un carico cognitivo, la complessità è stancante, serve uno sforzo di attenzione per la decodifica, quindi per sopravvivere l’essere umano si è abituato a ragionare per categorie. 

Ma quindi sono i social fatti per manipolare il nostro cervello o viceversa? 

Diciamo che il nostro cervello è pronto a essere manipolato. Non solo, nella società contemporanea la manipolazione ha terreno fertile perché abbiamo disimparato a pensare.

Si spieghi meglio.

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Succede perché il mondo ci viene proposto in modo semplificato a partire dal discorso politico. Pensi alle pubblicità dei prodotti estetici, ti mostrano il prima e il dopo, tutto lo sforzo e il sacrificio non fa parte della narrazione, perché la complessità farebbe desistere.

E poi ci sono i bias cognitivi…

Esatto, che sono la base su cui si costruisce al manipolazione comunicativa. Ognuno di noi cerca di validare informazioni in base al framing, in base a cultura o alle informazioni che ha già. Anche perché basta usare determinate parole per orientare un discorso è facile innescare sentimenti di paura, rabbia o orgoglio. Basta davvero cambiare una parola.

Mi può fare un esempio?

Ancora adesso in Italia i fenomeni migratori sono stati raccontati come invasione. Allora un conto è se leggiamo flusso migratorio, tutt’altro se sentiamo la parola invasione, perché ci da un’associazione semantica negativa, si attiva una dissonanza, che spinge verso la paura, la diffidenza.

Dall’esempio che mi ha fatto è evidente che i nostri bias vengono sfruttati anche a livello politico. 

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Certo, i bias sono preziosi strumenti per raccogliere consenso e pungolare le fragilità, le paure. La comunicazione manipolativa viene utilizzata per attivare una paura e poi offrire una soluzione con parole facili.

La stessa strategia viene messa in atto anche per le fake news?

Si, anche perché le dinamiche della manipolazione non sono mai utilizzate per scopi etici. Nel caso delle fake news la reiterazione diventa una componente di persuasione. Fai un errore di valutazione, poi senti di nuovo quella notizia, e si costruisce così una realtà che non esiste. Ci credi anche se è una realtà antiscientifica: è successo per esempio con gli antivax durante il Covid.

Vengono anche manipolati fatti reali. 

Sì, quasi tutto quello che guardiamo, il 90% delle volte non è come sembra. Siamo immersi in maniera inconsapevole nella disinformazione a tal punto che non siamo più in grado di accorgercene.

E non ci sono vie di uscita?

La cultura e la conoscenza. Per avere la libertà di comprendere la realtà è necessario avere più punti di vista, non rimanere incastrati in semplificazioni o bolle, perché la realtà è una cosa molto complessa.

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La manipolazione viene alimentata anche dagli strumenti. Secondo la neuroscienza davanti a uno schermo il nostro pensiero critico rallenta. Mi spiega cosa succede?

Certo, quando noi scrolliamo i nostri feed, in media sono tra le 9 e 12 ore, si rende conto?

Sì. 

Ecco in questo lasso di tempo svolgiamo un’attività compulsiva che abbassa la nostra capacità di cognizione critica. È un gesto naturale, quasi non facciamo caso al fatto che stiamo scrollando ma il nostro cervello raccoglie tutte le informazioni.

Possiamo parlare di ipnosi visiva?

In qualche modo sì, perché non solo rallenta il nostro pensiero critico, ma resta tutto nella nostra memoria. Ogni stimolazione crea un prodotto cognitivo, un’opinione su un fatto, un candidato politico, non prestiamo attenzione ma immagazziniamo. Se sento uno che dice prima gli italiani, è una voce di sottofondo che si insinua e poi diventa reale nella nostra testa. Quindi fa un danno enorme perché noi cambiamo idea senza nemmeno accorgercene.

 Chi è la principale vittima di questo processo?

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Direi il popolo profondo che siamo un po’ tutti. Fa riflettere che prima il popolo profondo è stato classificato da intellettuali come quella parte di popolazione che abitava le viscere del territorio, con una bassa scolarizzazione. Oggi è diverso, perché il contesto sociale è cambiato attraverso i social, il popolo profondo, diciamo che in questa fase è quel gruppo di soggetti che hanno meno strumenti, quindi che hanno meno cultura, che hanno meno alfabetizzazione. Ma alla fine come dicevo siamo un po’ tutti il popolo profondo. Anche io che lavoro in questo ambito non sono immune alla manipolazione. 

L’Università di Oxford ha scelto come parola del 2024 brian rot. Il cervello che marcisce guardando i social. Ci saranno danni permanenti?

Ci sono già, oggi i numeri ci dicono che le nuove generazioni fanno più fatica a costruire un pensiero logico, a comprendere cosa c’è scritto in un testo, a contestualizzare, e sta subentrando l’intelligenza artificiale che depotenzia la nostra capacità di imparare. Senza che ce ne accorgiamo noi perdiamo abilità cognitive tutte i giorni. 





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