LIVORNO. La Dda di Firenze ha «recentemente richiesto al gip l’archiviazione» dell’indagine sul disastro della Moby Prince nel quale la notte del 10 aprile 1991, di fronte alle coste del porto di Livorno, morirono 140 persone tra passeggeri e equipaggio e vi fu un unico sopravvissuto. Lo ha riferito il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Livorno, Maurizio Agnello ascoltato in audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause del disastro della nave Moby Prince.
Un unico reato non prescritto
«Condurre indagini su un fatto, sebbene di straordinaria gravità, avvenuto quasi 34 anni fa è un compito a dir poco arduo specie per un magistrato del pubblico ministero che non essendo giornalista, scrittore o storico non deve perseguire suggestioni o mere ipotesi di lavoro, ma deve avere come obiettivo la raccolta di prove atte a sostenere l’esercizio dell’azione penale in relazione a reati non coperti da prescrizione ovvero una richiesta di archiviazione», ha sottolineato Agnello. «Di reati non ancora prescritti in relazione al disastro Moby Prince oggi sopravvive la sola strage nella forma dolosa», ha continuato il procuratore aggiungendo che «occorrerebbe quindi dimostrare che qualcuno abbia intenzionalmente agito al fine di cagionare la morte di 140 persone al di fuori di un contesto di terrorismo eversivo o di criminalità mafiosa in relazione ai quali ha già indagato la Dda di Firenze che recentemente ha richiesto al gip l’archiviazione di quel procedimento».
L’indagine della procura di Livorno
«La procura di Livorno – ha proseguito Agnello – a decorrere dal 2018, sulla scorta delle conclusioni della prima Commissione parlamentare di inchiesta, ha condotta un’indagine lunga, approfondita e scrupolosa» e «attualmente sta vagliando le conclusioni che la polizia giudiziaria delegata – la guardia di finanza di Firenze – ha rassegnato in una informativa di oltre 1400 pagine». «Contrariamente alla procura di Firenze, la procura di Livorno ancora non ha formulato le sue richieste al giudice delle indagini preliminari», ha sottolineato. In precedenza era stato ascoltato davanti alla Commissione di inchiesta il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, Filippo Spiezia, sentito per la maggior parte dell’audizione in modalità segreta su sua richiesta.
Il procuratore di Firenze: «Le indagini erano scadute»
«Doverosamente il mio ufficio rimane aperto a qualsiasi eventuale, ulteriore prospettiva che dovesse eventualmente indicare, suggerire la commissione all’esito dei suoi lavori. Noi abbiamo condotto un procedimento a carico di ignoti, le indagini erano scadute quindi non si poteva fare altro, ma nulla impedisce che se dovesse emergere input ulteriori potranno essere avviati ulteriori accertamenti», ha detto Spiezia.
La rabbia dei familiari delle vittime
«Ascoltando l’audizione del nuovo procuratore della Repubblica di Livorno, Maurizio Agnello alla commissione parlamentare di inchiesta sul disastro della nave Moby Prince ci è sembrato di essere tornati indietro al 1991. Le affermazioni di oggi del procuratore sono particolarmente sconcertanti. Dopo 34 anni, Agnello è tornato a parlare di nebbia come possibile causa della collisione tra la petroliera Agip Abruzzo e il Moby Prince. Un traghetto troppo veloce che con una rotta lineare centra la petroliera ancorata in zona interdetta all’ancoraggio e con la prua a nord. Scenari oramai superati e che attribuiscono la responsabilità della più grave tragedia della navigazione mercantile italiana e la più grande strage sul lavoro alla condotta imprudente dell’equipaggio del traghetto». Lo dicono i presidenti delle associazioni dei familiari delle vittime della Moby Prince, Luchino Chessa per l’associazione 10 aprile-familiari vittime Moby Prince e Nicola Rosetti per l’associazione 140. «Agnello supporta le sue affermazioni – proseguono Chessa e Rosetti – in particolare sulle dichiarazioni dell’unico sopravvissuto del Moby Prince, il mozzo Alessio Bertrand, che ha modificato numerose volte le sue deposizioni; e comunque riferisce della presenza di nebbia solo successivamente il 10 aprile e non per averla vista ma perché gli è stato riferito da un altro membro dell’equipaggio subito dopo la collisione». «L’unica cosa reale della storia del Bertrand – sottolineano – è quanto successo quando è stato recuperato dalla barca degli ormeggiatori, dopo più di un’ora dalla collisione, ai quali ha riferito di persone ancora vive a bordo; questi prima hanno urlato sul canale di emergenza quanto detto dal mozzo poi, dopo il passaggio del Bertrand su una motovedetta della Capitaneria, hanno detto che erano tutti morti».
«Agnello – proseguono Chessa e Rosetti – confida che tutti siano morti in poco tempo, ma le perizie della prima commissione parlamentare del Senato hanno evidenziato senza dubbio una sopravvivenza di ore per molte persone, e ipotizza che se i soccorsi fossero stati adeguati non avrebbero recuperato persone vive. Siamo tornati indietro di anni». «Ci auguriamo che la Commissione di inchiesta tutta non tenga conto delle varie suggestioni, da chiunque provengano, e degli scenari emersi da questa audizione che fa solo male alla ricerca della verità e che vada per la sua strada – concludono – Chiediamo alla Commissione, dopo avere convocato in audizione i due procuratori, come intende procedere».
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