patto che concilia ambiente e produzione

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Un accordo storico per la transizione ecologica del settore agricolo danese. Tra tasse sulle emissioni, fondi per la biodiversità e critiche dagli ambientalisti, la Danimarca prova a tracciare un nuovo modello sostenibile. Ma è davvero sufficiente? Il 18 novembre 2024, la Danimarca ha annunciato un accordo definito dal governo come “uno dei più grandi cambiamenti del paesaggio danese degli ultimi 100 anni“. Il Grøn Tripartite-aftale, il Patto Verde Tripartito, è il frutto di mesi di negoziati tra il governo, il settore agricolo, i sindacati e i gruppi ambientalisti, con l’obiettivo di modernizzare l’agricoltura, ridurre le emissioni, proteggere la biodiversità e promuovere una transizione ecologica strutturata.

Danimarca, il Grøn Tripartite-aftale: il patto verde che cerca di conciliare ambiente e produzione

L’accordo stabilisce misure concrete per la riduzione delle emissioni di CO₂ del settore agricolo, imponendo una tassa progressiva sulle emissioni di gas serra degli allevamenti. Dal 2030, il costo sarà di 300 DKK (circa 40 euro) per tonnellata di CO₂, con un aumento graduale fino a 750 DKK (circa 100 euro) entro il 2035. Per evitare un impatto economico devastante sul settore agricolo, il governo ha previsto uno sconto del 60% sulla tassa effettiva fino al 2035. I ricavi della tassazione saranno reinvestiti in un fondo per sostenere la transizione del settore verso pratiche più sostenibili.

Un altro pilastro dell’accordo è la creazione del Fondo per le Aree Verdi della Danimarca, con una dotazione di 40 miliardi di corone danesi (circa 5,4 miliardi di euro), destinato a finanziare la creazione di 250.000 ettari di foreste e la bonifica di 140.000 ettari di torbiere, aree ad alta emissione di carbonio. Tra gli obiettivi principali, anche la destinazione di almeno il 20% del territorio nazionale a aree naturali protette e il sostegno alla produzione di biochar, una tecnologia che permette il sequestro di carbonio nel suolo, contribuendo alla riduzione delle emissioni.

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Un compromesso tra sostenibilità e produzione agricola

La Danimarca è considerata uno dei paesi più avanzati in termini di sostenibilità, ma il suo modello agricolo è tra i più intensivi d’Europa. Ogni anno, oltre 28 milioni di maiali vengono allevati in circa 5.000 fattorie, con il 90% della produzione destinato all’export. Questo comporta un costo ambientale elevato: emissioni di gas serra, degrado del suolo, inquinamento delle acque.

L’introduzione della tassa sulle emissioni degli allevamenti ha sollevato un forte dibattito. Da un lato, il governo sostiene che sia una misura necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici e ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura. Dall’altro, il settore agricolo teme conseguenze economiche significative e difficoltà nell’adeguarsi ai nuovi standard. Per questo motivo, il governo ha concesso una lunga fase di transizione fino al 2035, ma la questione rimane aperta: basterà questo compromesso per garantire la sostenibilità senza mettere in ginocchio il settore zootecnico?

Il problema dell’azoto: una minaccia per il suolo e le acque

Uno dei temi più critici è l’uso intensivo di fertilizzanti azotati, responsabili dell’inquinamento delle falde acquifere e dell’eutrofizzazione delle acque costiere danesi. Il sovrautilizzo dell’azoto provoca il rilascio di protossido di azoto (N₂O), un gas serra 300 volte più potente della CO₂, oltre a generare il fenomeno del dilavamento, con i nitrati che si infiltrano nelle acque sotterranee, causando danni alla biodiversità marina.

Secondo un rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), la Danimarca è tra i paesi con il peggior stato di conservazione degli habitat naturali in Europa, con oltre il 70% delle aree naturali in condizioni critiche. Inoltre, un recente studio dell’Università di Aarhus ha evidenziato che la deplezione di ossigeno nei mari danesi ha raggiunto livelli record nel 2024, colpendo oltre 11.000 km² di acque costiere.

Per affrontare il problema, il governo aveva inizialmente proposto una riduzione delle emissioni di azoto di 12.900 tonnellate entro il 2027, ma grazie alla pressione degli ambientalisti si è arrivati a un obiettivo di 13.780 tonnellate. Tuttavia, alcune zone come l’isola di Bornholm sono state esentate dai limiti a causa dell’inquinamento transfrontaliero proveniente da Germania e Svezia, suscitando critiche da parte degli esperti.

Entusiasmo e critiche: un accordo sufficiente?

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Il Grøn Tripartite-aftale è stato accolto con reazioni contrastanti. Da una parte, il settore agricolo lo considera un successo, con il presidente del Consiglio dell’Agricoltura e Alimentare Danese, Søren Søndergaard, che lo ha definito un esempio di equilibrio tra interessi ambientali ed economici. Anche il governo ha celebrato l’accordo come un passo avanti fondamentale per la lotta al cambiamento climatico.

Dall’altra parte, molte organizzazioni ambientaliste e think tank hanno espresso forti perplessità. La Società danese per la Conservazione della Natura e il think tank CONCITO hanno criticato l’accordo per la sua eccessiva dipendenza da incentivi economici e tecnologie ancora immature, come il biochar, senza un vero cambio strutturale del modello agricolo. Anche il movimento giovanile ambientalista e associazioni come Organic Denmark sostengono che il patto sia troppo blando e basato su misure volontarie anziché su obblighi stringenti.

Un altro fronte critico è rappresentato da Frie Bonder, associazione legata all’agricoltura contadina, che accusa il governo di favorire l’agricoltura industriale a scapito della biodiversità e del benessere animale.

Un compromesso o un’occasione mancata?

Il Grøn Tripartite-aftale rappresenta senza dubbio un passo avanti, ma lascia aperte molte questioni. Se da un lato l’accordo introduce per la prima volta al mondo una tassa sulle emissioni di bestiame e prevede ingenti investimenti in sostenibilità, dall’altro si basa su impegni volontari e non affronta in modo radicale i problemi legati alla produzione intensiva.

A livello europeo, la Danimarca è chiamata a rispettare la Direttiva Quadro sulle Acque, che impone il raggiungimento di uno “stato ecologico buono” entro il 2027. Ma attualmente solo 5 delle 109 aree marine del paese soddisfano questo criterio, e Bruxelles ha già chiarito che non concederà ulteriori proroghe.

Nel contesto internazionale, il patto verde danese si inserisce in un momento di crescente scetticismo sulle reali capacità dei governi di affrontare la crisi climatica. L’ultima COP29, tenutasi a Baku, ha visto una massiccia presenza di lobbisti dell’industria dei combustibili fossili, evidenziando le difficoltà nel perseguire un’agenda ambientale ambiziosa.

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In questo quadro, la Danimarca prova a tracciare una strada innovativa, ma il rischio è che il Grøn Tripartite-aftale rimanga più un compromesso che una vera rivoluzione. Se il paese vuole davvero diventare un modello globale di sostenibilità, dovrà fare scelte più radicali. E il tempo per i compromessi, come ricordano gli scienziati, si sta esaurendo.



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