Al Duomo di Salerno l’addio all’arcivescovo emerito Gerardo Pierro

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A pronunciare l’omelia l’arcivescovo Andrea Bellandi

Salerno.  

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Oggi alle 16 al Duomo di Salerno si è tenuto il funerale dell’emerito arcivescovo di Salerno monsignor Gerardo Pierro. Presenti i rappresentanti della comunità religiosa e le istituzioni civili e militari, c’era anche il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. A officiare la cerimonia l’arcivescovo di Salerno Campagna Acerno Andrea Bellandi. 

Di seguito la sua omelia. 

“Rivolgo anzitutto i miei più deferenti saluti a tutte le autorità civili e militari di ogni ordine e grado qui convenute, ai confratelli Vescovi e Superiori Maggiori, ai cari sacerdoti e diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai familiari di Mons. Pierro che tanto hanno amato e accompagnato sempre con dedizione il loro congiunto, infine ai fedeli tutti della nostra Chiesa salernitana, anche collegati in video. Un sentito ringraziamento va inoltre ai numerosi Vescovi campani e lucani, in primis il card. Sepe, che non potendo essere qui presenti hanno fatto pervenire numerosi messaggi di cordoglio e commossa partecipazione. Lo stesso dicasi per il Presidente della CEI, card. Zuppi e il Segretario Generale mons. Baturi, che hanno inviato una lettera di sentita vicinanza. Al termine della celebrazione leggeremo quindi il messaggio che il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, ha inviato a nome del Santo Padre Francesco, al quale rivolgiamo i nostri più fervidi auguri – unitamente all’intensa e diuturna preghiera – per un auspicato e pronto ristabilimento della sua salute.

Nel giorno della nomina a vescovo di Tursi-Lagonegro, avvenuta all’età di appena di 46 anni, mons. Gaetano Pollio, allora Arcivescovo di Salerno, disse del neo-eletto Vescovo Gerardo: “Mons. Gerardo Pierro possiede doti particolari di intelligenza, di umanità e di vita sacerdotale; egli è molto aperto al dialogo, specialmente coi giovani sempre a lui cari; sa guardare con chiarezza di idee e con ansia pastorale i problemi dell’uomo di oggi”. Un giudizio analogo lo ritroviamo scritto 11 anni dopo – e precisamente il 25 maggio del 1992, festa di S. Gregorio VII – nella bolla di nomina, a firma di Giovanni Paolo II, nella quale il santo Pontefice, trasferiva Mons. Pierro dalla diocesi di Avellino alla nostra Arcidiocesi, succedendo a mons. Guerino Grimaldi. Vi si legge testualmente: “Dovendo sostituire il Pastore di una diocesi, il più delle volte ed opportunamente si sceglie un uomo non solo ornato delle virtù peculiari di un Sacerdote e di un Vescovo, ma anche fornito di esperienza pastorale, di cui abbia dato prova nel guidare le anime. Ora abbiamo voluto affidare a te, venerabile fratello, questa Chiesa perché conosciamo con quanta capacità, perizia, prudenza ed apostolico zelo tu abbia guidato finora la Chiesa avellinese”.

Andando a rileggere la prima Omelia tenuta dal neo Arcivescovo nella Cattedrale di Salerno il 4 luglio 1992, giorno del suo ingresso, non solo vi si confermano quei tratti di zelo pastorale sopra accennati, ma se ne può scorgere l’impressionante attualità e consonanza con quelle prospettive di rinnovata evangelizzazione, della cui urgenza la Chiesa, oggi, è ancora più consapevole. Sono espressioni quindi – quelle pronunciate allora da Mons. Pierro – fortemente profetiche e mi permetterete perciò adesso di citarne alcune.

Dopo aver richiamato le figure dei suoi predecessori, ricordando l’importanza da essi avuta nella sua formazione sacerdotale, l’illustre presule così si esprimeva: «Siamo chiamati ad essere, nei tempi che volgono verso il terzo millennio, gli interpreti, gli araldi della speranza. [non può lasciare indifferenti leggere oggi queste parole, all’inizio di un anno giubilare dedicato proprio alla speranza!] Una speranza – continua mons. Pierro – che trova il suo compimento in quest’impegno rinnovato per la nuova evangelizzazione. Siamo, infatti, consapevoli che la nostra diocesi vive, essa pure, le conseguenze sociali dei tempi moderni. Le profonde trasformazioni avvenute hanno segnato con risvolti negativi la cultura, il costume e la stessa vita religiosa della nostra popolazione. Di qui nasce inderogabile l’urgenza di una rinnovata evangelizzazione a tutti i livelli». Ma una nuova evangelizzazione ha bisogno, anzitutto, di nuovi evangelizzatori. Ecco, allora, che mons. Pierro, coerentemente, così prosegue nella sua Omelia «Il nostro obiettivo pastorale primario è di edificare comunità cristiane e di aiutare i cristiani a crescere in una fede adulta; cristiani e comunità che devono e sappiano essere testimoni nel mondo, della trascendente verità della vita nuova in Cristo. Occorre (…) una “nuova evangelizzazione” che faccia camminare e organizzare la speranza, anzi che organizzi e faccia camminare la speranza per ogni angolo della nostra diocesi (….). Di qui l’impegno a sentirci nuovamente, e con più forte accento, Chiesa. Dobbiamo avere la consapevolezza di essere Chiesa legata alle speranze, alle gioie e alle angosce del nostro popolo, soprattutto alle attese degli uomini, dei poveri, di coloro che soffrono e che devono sentire il nostro sostegno, come anticipo e certezza della presenza vivificatrice e confortatrice di Dio». Parole, queste, che suonano anche oggi estremamente attuali!

La Chiesa: questa è la realtà divino-umana che da sacerdote prima e da Vescovo poi mons. Pierro ha amato, servito e instancabilmente desiderato edificare in tutta la sua lunga e operosa esistenza. Nascono da questo amore concreto alla Chiesa tutte le iniziative da lui messe in opera: l’impegno nei riguardi dell’Associazionismo, le Visite pastorali, l’attenzione ai giovani, la cura dei sacerdoti e dei seminaristi, l’impulso dato ai mezzi di comunicazione sociale e alla dimensione culturale e sociale della fede, il dialogo con le istituzioni civili sui temi legati al bene comune, l’impegno per il mondo del lavoro, l’attenzione alle diverse forme di povertà. Su quest’ultimo aspetto, nel Messaggio per la Quaresima del 1996 egli scriveva: «L’amore preferenziale per i poveri costituisce un’esigenza intrinseca del Vangelo della carità e un criterio di discernimento pastorale nella prassi della Chiesa. Esso richiede alle nostre comunità di prendere puntualmente in considerazione le antiche e le nuove povertà, che sono presenti nel nostro paese o che si profilano nel prossimo futuro». Da qui anche l’impulso dato alla Caritas diocesana e ad altre iniziative di sostegno alle persone in difficoltà, come l’erezione della Consulta diocesana di pastorale della salute o l’impegno contro l’usura, creando un fondo di solidarietà.

Infine – ma si potrebbe ovviamente allungare l’elenco degli innumerevoli ambiti di intervento in chiave pastorale del nostro Arcivescovo – la cura per la famiglia. Monsignor Pierro pone la famiglia, considerata quale primaria cellula della società e piccola Chiesa domestica, al centro della propria attenzione magisteriale e pastorale, considerandola realtà fondamentale – soggetto e non unicamente oggetto –per una rinnovata evangelizzazione. Nel Messaggio per la Quaresima scritto nel 1994 si legge: «La pastorale familiare è parte integrante della nuova evangelizzazione che, anche tra noi, si realizzerà nella misura in cui risolverà due punti nodali dell’azione pastorale: la catechesi degli adulti e il coinvolgimento della famiglia, quale protagonista e non solo destinataria della pastorale».

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Da questa preoccupazione primaria dell’Arcivescovo nasceranno quindi diversi Convegni diocesani sul tema del matrimonio e della famiglia.

Tra le numerose iniziative portate avanti e realizzate dal nostro amato Arcivescovo – che non possiamo né è opportuno adesso menzionare esaustivamente – è doveroso, tuttavia, ricordare il tenace e forte impegno da lui profuso per la realizzazione di un nuovo Seminario metropolitano, che potesse accogliere e formare i presbiteri del futuro e del quale abbiamo recentemente celebrato i 25 anni dall’inaugurazione, culminata con la visita del Santo Padre Giovanni Paolo II il 4 settembre del 1999. In quello stesso giorno, sull’Osservatore Romano, usciva un articolo a sua firma, in cui il Presule motivava il senso e gli orizzonti dell’importante realizzazione. Vi si legge: «I tempi cambiano e pure le situazioni; non cambia invece l’esigenza di avere presbiteri radicati nel mistero di Cristo e della Chiesa, pronti a raccogliere le sfide e a testimoniare il Vangelo per la salvezza del mondo. Il nuovo Seminario obbedisce a queste avvertite esigenze. In proposito, tornano alla nostra mente le parole del Papa in Dono e Mistero. Sono parole cariche di speranza alle soglie del nuovo Millennio: “Il più grande compito per ogni sacerdote e in ogni tempo è ritrovare di giorno in giorno questo suo ‘oggi’ sacerdotale nell’‘oggi’ di Cristo, in quell’‘oggi’ del quale parla la lettera agli Ebrei. Questo ‘oggi’ di Cristo è immerso in tutta la storia, nel passato e nel futuro del mondo, di ogni uomo e di ogni sacerdote”. Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e sempre (Eb 13, 8). In questa prospettiva accogliamo con filiale amore e profonda gratitudine il Santo Padre».

Da allora, fino agli ultimi giorni della sua esistenza, il Seminario è stato al centro del suo cuore – come lo era stata, agli inizi del suo ministero sacerdotale, per molti anni la Parrocchia dei Santi Nicola e Matteo a Coperchia di Pellezzano; al termine del suo servizio episcopale, nel 2010, mons. Pierro decise perciò di trasferirsi nella villetta di fronte al Seminario, e non passava giorno che non trascorresse qualche ora del suo tempo pregando nella antistante Cappella e incontrando i seminaristi. Pur in condizioni già precarie di salute egli ha fermamente desiderato essere presente, lo scorso 22 ottobre, alle celebrazioni organizzate per il venticinquesimo dell’inaugurazione; mi ricordo la sua grande commozione quando, al termine della Santa Messa, tutti noi gli manifestammo la nostra profonda gratitudine e il nostro affetto, affetto che peraltro, a sua volta, egli ha sempre più volte manifestato nei confronti della mia persona, fin dal giorno del mio arrivo a Salerno e di cui gli rimarrò sempre grato.

Mi avvio alla conclusione. Ho appena parlato dei suoi – per così dire – “amori di predilezione” (Coperchia e il Seminario), che non hanno tuttavia mai oscurato l’affetto e la dedizione che mons. Pierro ha fortemente nutrito per le tre Diocesi che egli ha guidato come Pastore e per le tante persone (sacerdoti e laici) che nei lunghi anni di ministero ha incontrato, sostenuto e accompagnato. Non dimenticando mai, allo stesso tempo, la sua famiglia di nascita. Ma sarebbe una colpevole dimenticanza non menzionare – e lo facciamo senza dilungarci ulteriormente– quattro figure che sono state realmente faro, orientamento e centro affettivo della sua persona: mi riferisco anzitutto a Maria Santissima, la cui statua egli ha voluto porre davanti al Seminario, quale “sentinella” a protezione dei futuri sacerdoti; quindi l’amato San Matteo, sempre da lui invocato in ogni occasione solenne e proposto quale modello di ogni evangelizzatore; San Gregorio VII, al quale Mons. Pierro dedicò un’ampia parte del suo primo messaggio rivolto alla Chiesa salernitana in occasione della sua nomina, Papa da lui considerato un augusto modello di pastore impegnato particolarmente nella riforma della Chiesa e del suo clero; e infine il Santo di cui portava il nome, San Gerardo, santo a cui rimase sempre fortemente legato e che ogni anno soleva festeggiare con particolare emozione e solennità.

Carissimi, la liturgia esequiale che stiamo celebrando ci invita, tuttavia, a guardare non soltanto al passato, bensì al presente e soprattutto all’eternità di Dio. Quello che ognuno di noi, nella vita terrena, ha realizzato nel bene e anche nel male – quali creature fragili e soggette al peccato – sta al cospetto del giudizio di Dio, che solo sa leggere e valutare i pensieri, le azioni e i più profondi sentimenti del cuore: un giudizio che è sempre avvolto nell’orizzonte della misericordia, quella misericordia che si è compiutamente manifestata – come ci ha ricordato San Paolo nella seconda Lettura – nell’invio e nel sacrificio pasquale del Suo Figlio: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui». Per questo ciò che deve regnare nel nostro animo – anche di fronte alla prospettiva certa della morte – è la speranza, quella speranza – afferma ancora San Paolo, nel brano ripreso anche da Papa Francesco nella bolla di indizione dell’anno giubilare – «che non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato». Quella stessa speranza alla quale mons. Pierro faceva riferimento nella sua prima Omelia da Arcivescovo di Salerno e che fiorisce dalla certezza della fede nel Figlio di Dio fatto uomo, che ci ha reso familiare e amorevole il volto e il cuore del Padre celeste. Come afferma Gesù, nel Vangelo prima ascoltato: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa, infatti, è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Caro Vescovo Gerardo: la fede autentica e profonda che hai nutrito in questa vita per il Signore Gesù sarà riconosciuto, alla fine, come il tuo grande “merito” – al di là delle cose grandi e buone realizzate, ma anche dei limiti e degli errori che la fragilità della condizione umana, segnata dal peccato originale, sempre porta con sé. Presentandoti ora al cospetto del Padre misericordioso che è nei cieli, possa venirti incontro la Vergine Maria, Madre di Gesù e madre nostra. Come scrivevi al termine del Messaggio per la Quaresima del 2009: «Siamo sempre del Signore, sia che viviamo, sia che moriamo; ma siamo sempre anche di Maria, nostra Madre. È lei che ci guida tra le tribolazioni del mondo e le consolazioni di Dio. È lei che ci accompagna e ci aiuta in ogni nostra necessità. È ancora lei che prega per noi adesso e nell’ora della nostra morte».

In quest’ora suprema ella prega per te. Riposa quindi in pace Gerardo, amato Vescovo di questa Chiesa salernitana, nella certezza che il nostro Redentore è vivo – come profeticamente annunciava Giobbe – e che i nostri occhi lo contempleranno. Amen”. 

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