Erreà non è più sponsor di Israele, al suo posto Reebok

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Contabilità

Buste paga

 


“Show Israel the red card”. Mentre la curva sventolava cartellini rossi, l’enorme striscione che invitava al boicottaggio di Israele da parte di Fifa e Uefa è apparso per la prima volta nella partita casalinga del Celtic Glasgow contro il Bayern Monaco. La questione è molto semplice. Israele è accusata da più parti di genocidio e pulizia etnica, di praticare l’apartheid e di occupare illegalmente il territorio palestinese.

Nell’ultimo anno e mezzo, in seguito alla sanguinosa invasione della Palestina, Israele ha fatto decine di migliaia di vittime. Tra queste oltre a donne e bambini ha ucciso oltre settecento sportivi, tra cui molti calciatori. E non contento ha raso al suolo le infrastrutture sportive palestinesi. O le ha utilizzate come campi di detenzione e tortura. Ovvio quindi che la campagna “Show Israel the red card” chieda a Fifa e Uefa, che nei loro statuti obbligano i loro iscritti al rispetto dei diritti umani, di sospendere Israele.

Lo striscione e i cartellini rossi, iniziativa della Green Brigade del Celtic, sono apparsi quindi per la prima volta durante un match di Champions League. Una partita che si stima abbia raggiunto attraverso la televisione decine di milioni di spettatori. E poi sono apparsi in diverse curve europee, tra cui Psg, Osasuna, Deportivo La Coruna, Hibernian, Alaves, Union St. Gilloise e Galatasaray, come ha ben documentato Valerio Moggia su Pallonate in Faccia. E altrove un po’ ovunque, dalla Malesia all’Australia, dall’Indonesia ai paesi del Maghreb, dal Sud al Nord America. In Italia lo hanno fatto soprattutto le squadre di calcio popolare. Mentre in Serie A finora ha partecipato solo la tifoseria dell’Empoli, nella partita casalinga di domenica scorsa contro l’Atalanta, e in Serie B la curva del Pisa.

Contabilità

Buste paga

 

Questa richiesta di boicottaggio difficilmente raggiungerà il suo obiettivo, ricordiamo anche il Cio alle recenti Olimpiadi di Parigi 2024 ha escluso gli atleti russi ma ha permesso la partecipazione di quelli israeliani. Figuriamoci quindi Fifa e soprattutto Uefa, che già da anni invita le squadre israeliane, nazionale compresa, a partecipare alle proprie competizioni. Nonostante queste per ragioni territoriali dovrebbero giocare nella Afc asiatica. Ma un’altra iniziativa di boicottaggio ha invece avuto successo, anche se in maniera un poco contorta, ed è stata quella nei confronti di Erreà. L’azienda sportiva emiliana che dal primo gennaio 2025 avrebbe dovuto diventare lo sponsor tecnico della nazionale israeliana.

Come raccontato su Valori, a seguito delle pressioni e del boicottaggio a livello globale, l’azienda tedesca Puma aveva deciso che non avrebbe rinnovato il suo contratto di sponsorizzazione tecnica con la nazionale di calcio di Israele a scadenza dicembre 2024. La scorsa primavera era quindi diffusa la notizia, sui media israeliani e poi sul sito della stessa azienda italiana, che sarebbe stata Erreà a sostituirla dal primo gennaio 2025. Subito è partita una campagna globale di boicottaggio, che ha portato prima Erreà a rimuovere dal proprio sito ogni collegamento con Israele. E poi a non rispondere più ad alcuna domanda. Fino a che, questa settimana, i media israeliani hanno diffuso la notizia che sarà Reebok il nuovo sponsor tecnico di Israele.

Erreà anche questa volta non ha rilasciato alcuna comunicazione. Secondo questo sito israeliano, però, l’azienda italiana aveva effettivamente firmato il contratto. E ora sarà costretta a pagare alla federcalcio di Israele una penale di 250mila dollari per avere fatto saltare l’accordo. Ora è quindi la multinazionale americana Reebok nel mirino degli attivisti, che le chiedono di ritirare la sponsorizzazione. Reebok non è nuova a campagne filo israeliane. Nel 2016 (quando era proprietà di Adidas) Reebok lanciò delle scarpe bianche e blu con scritto Israel 1968, per celebrare quello che secondo Israele era il sessantottesimo anniversario dell’indipendenza. Dopo una serie di proteste globali le scarpe non furono più lanciate sul mercato.

La speranza è che il boicottaggio abbia successo di nuovo. Sia a livello di sponsorizzazioni, come la vittoriosa campagna contro Puma e Erreà e quella in corso contro Reebok. Sia a livello di divieto di partecipazione alle competizioni Fifa e Uefa, come chiede la campagna “Show Israel the red card”.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link