Quanto spende l’Europa per le armi e cosa sta cambiando da quando è arrivato Trump

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Nell’ultimo mese, dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, si sono moltiplicate le attenzioni in Europa al tema della spesa militare. Se gli Usa decideranno di fare un passo indietro, ad esempio, dal sostegno alla Nato, l’Ue si troverà a dover gestire la propria difesa con più autonomia. La direzione scelta sembra essere quella di spendere sempre di più.

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Da quando Donald Trump si è insediato negli Stati Uniti, in Europa si è iniziato a parlare molto di più di spese militari. Tra i motivi c’è il fatto che gli Usa di Trump sono sembrati da subito scettici sulle alleanze internazionali, inclusa la Nato, dove invece fino a oggi hanno fornito il contributo principale. Il nuovo presidente ha da subito iniziato a chiedere che gli Stati europei spendano di più per la difesa, e l’impressione è che l’Ue possa ritrovarsi a dover pensare alla propria sicurezza ‘da sola’.

Così, molti leader europei hanno iniziato a proporre di aumentare la spesa militare: Friedrich Merz (il prossimo probabile cancelliere) in Germania, Keir Starmer nel Regno unito, Ursula von der Leyen per l’Unione europea. Ma quanto spende oggi l’Europa? E l’Italia? E c’è davvero bisogno di aumentare così tanto gli investimenti?

Quanti soldi investe l’Europa nelle spese militari

Sapere esattamente quanto spendono i Paesi europei per il settore militare non è semplicissimo, perché ci sono diverse definizioni di cosa si intenda per “spesa militare”. La stima basata sull’archivio del Sipri (Istituto internazionale di ricerche sulla pace) di Stoccolma, un istituto ritenuto molto attendibile, è che nel 2023 i Paesi dell’Unione europea abbiano raggiunto i 312 miliardi di euro di spese militari. Considerando anche il Regno Unito e la Norvegia, che fanno parte della Nato ma non dell’Ue, si arriva a 396 miliardi.

Per fare un paragone, nello stesso anno la Russia risulta aver speso 109 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti, da tempo ‘fuori scala’ per quanto riguarda la spesa in armi, hanno toccato i 916 miliardi di dollari.

Un altro riferimento è l’Iiss, o International institute for strategic studies. Si tratta di un istituto britannico che, il 12 febbraio, ha pubblicato il suo nuovo Bilancio militare. Qui i numeri sono aggiornati al 2024, e si tiene in conto sia delle differenze di potere d’acquisto delle diverse monete (dollari, euro, rubli) che dei vari tassi di cambio, per permettere un confronto più esatto. L’anno scorso, la Russia avrebbe speso l’equivalente di 461,6 miliardi di dollari. Applicando lo stesso calcolo all’Europa (senza Regno Unito e Norvegia) si arriverebbe invece all’equivalente di 547,5 miliardi, come ha sottolineato l’Osservatorio per i conti pubblici italiani.

L’Ue ha bisogno di investire di più nelle armi?

Con questi numeri alla mano, quindi, risulta che già oggi l’Unione europea spende più della Russia, per esempio. Senza contare che a Mosca una grossa parte degli investimenti militari è dedicata alle spese di una guerra: sostituire i mezzi e le munizioni che vengono utilizzati per l’invasione, ad esempio. Invece i Paesi Ue, al di là degli aiuti militari da inviare in Ucraina, tendenzialmente non consumano i propri strumenti militari e quindi possono ‘rafforzarsi’ con quello che spendono.

Per questo numerosi esperti – tra cui quelli dell’Osservatorio Cpi – hanno sottolineato che l’Europa non sembra aver bisogno di incrementare di molti i propri investimenti nella difesa. È vero che ci sono Paesi, come l’Italia, che non hanno ancora raggiunto la soglia del 2% del Pil per le spese militari, su cui la Nato insiste da oltre dieci anni. Ma i problemi nel continente sembrano essere soprattutto altri.

Ad esempio, il fatto che ciascun Paese proceda per conto proprio, senza coordinarsi né sugli acquisti (così che ci sono diversi ‘doppioni’), né sulle strategie di difesa. Cosa che rende il sistema europeo molto meno efficiente. È chiaro che se, a parità di soldi spesi, tutti gli Stati si mettessero d’accordo su quali sono le priorità comuni, su quali materiali comprare e dove, e su come dividersi i compiti (per così dire), il risultato sarebbe una difesa più organizzata a livello continentale.

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L’esempio del Regno Unito: più spesa militare e meno cooperazione

L’Europa, però, non sembra essere intenzionata ad andare in questa direzione. Negli scorsi giorni il premier britannico Keir Starmer ha annunciato di voler alzare la spesa militare al 2,5% del Pil entro il 2027. Oggi è al 2,3%, quindi questo significa la necessità di trovare a breve circa 6,4 miliardi di euro all’anno in più. Entro il 2029 poi vorrebbe arrivare al 3%: complessivamente si parla di oltre 20 miliardi di euro all’anno di aumento.

I primi fondi per riempire questo buco verranno da un taglio dei finanziamenti alla cooperazione internazionale, poi si vedrà. Nel suo discorso, Starmer è sembrato anticipare una sorta di economia di guerra, dicendo che la spesa per la difesa sarà “trasformata” in “crescita britannica, posti di lavoro britannici, competenze britanniche, innovazione britannica”, con una vera e propria “ricostruzione per la nostra base industriale”.

In che direzione sta andando l’Unione europea

L’Ue va nella stessa direzione. La notizia circolata in questi giorni è che il probabile prossimo cancelliere tedesco, Friedrich Merz, stia provando a trattare con il governo uscente (a guida socialista) perché approvi una spesa da 200 miliardi di euro per la difesa, prima di passare al prossimo esecutivo.

Per quanto riguarda l’Unione europea in generale, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dato la linea il 14 febbraio, dicendo che proporrà di scorporare le spese militari dal Patto di stabilità e crescita. In termini pratici, questo significa che gli Stati Ue potrebbero spendere molto di più nella difesa senza che questo abbia un effetto negativo sui paletti europei di bilancio.

A meno che nelle prossime settimane non arrivino altri annunci in campo europeo, sembra quindi che l’Ue stia scegliendo non la strada del maggiore coordinamento, ma di una maggiore spesa dei singoli Stati. Nella speranza che questa basti per compensare l’apparente ‘ritiro’ degli Stati Uniti dalla scena internazionale, o almeno dalle organizzazioni multilaterali.

Come è messa l’Italia del governo Meloni

L’Italia si trova in una situazione particolarmente complicata, per quanto riguarda la spesa militare. Sia la presidente del Consiglio Meloni che il ministro della Difesa Crosetto hanno esultato per l’annuncio di von der Leyen, dicendo che è una mossa che chiedevano da tempo. Ma non è un caso se oggi Meloni ha detto “a questo primo passo devono seguire altre soluzioni“. Probabilmente un riferimento a forme di finanziamento comune che aiutino gli Stati più in difficoltà a investire sulle armi.

Il problema è che la spesa militare italiana oggi è piuttosto bassa, in percentuale del Pil. Dal 2014 l’Alleanza atlantica chiede ai propri membri di arrivare al 2% del Pil. L’Italia è all’1,57% e, secondo le previsioni più alte, potrebbe arrivare nel 2027 all’1,61%. Non sono molti gli altri Paesi Nato sotto il 2%: Canada, Spagna, Portogallo, Belgio, Croazia, Slovenia e Lussemburgo. Otto in tutto, su 31.

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La mossa di von der Leyen sulla carta dovrebbe facilitare anche l’Italia, che non dovrebbe più badare agli stretti vincoli di bilancio Ue. Ma in realtà il nostro debito pubblico è già così alto che, al di là delle regole europee, l’Italia non può permettersi di farsi nuovi debiti senza che la situazione dei conti pubblici peggiori parecchio.

Qui dovrebbero intervenire gli eventuali fondi comunitari, da ricavare in qualche modo (ad esempio con l’emissione di debito comune, come avvenuto con il Covid e il Pnrr), ma sul punto l’Europa è divisa. D’altra parte, però, Ursula von der Leyen ha anche detto di voler alzare l’asticella e puntare a superare il 3% del Pil in spesa militare, in media. Per l’Italia vorrebbe dire trovare circa 35 miliardi di euro in più all’anno per la difesa.

Insomma, anche se l’Italia e il governo Meloni sulla carta si sono detti disposti ad aumentare le spese militari (e alcuni esponenti, come Matteo Salvini, si sono duramente opposti all’idea di una difesa comune europea) in realtà farlo potrebbe essere più complicato di quanto sembra. E la cosa potrebbe diventare un problema sempre più grande, soprattutto se l’Europa continuerà a spingere i singoli Stati ad aumentare gli investimenti in armi senza pensare a strumenti condivisi per farlo.





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