“I giovani fuggono all’estero. Favorire la partecipazione”

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Ilvo Diamanti è una voce autorevole: sociologo della politica, professore emerito all’Università di Urbino. Ha fondato e dirige Demos & Pi, istituto di ricerca che studia da anni i comportamenti sociali, con attenzione particolare al rapporto fra cittadini, istituzioni e politica. Un suo libro del 2018, ’Popolocrazia’, scritto con lo storico francese Marc Lazar, fece discutere. Era una anticipazione di quanto è accaduto negli ultimi anni: globalizzazione, strapotere del capitalismo digitale, stili e linguaggi del populismo che pervadono partiti e governi. In una parola, crisi dello stato democratico liberale.

Professore, lei ha previsto tutto: consolazione amara. Allora descriveva una fase di passaggio, in cui nulla era scontato.

“Il libro uscì nell’anno delle elezioni vinte da 5 stelle e Lega, ma fu scritto nel 2017. Poi le cose sono andate come avevamo previsto: dopo la caduta del Muro era ormai impossibile definire un nuovo equilibrio tra i blocchi. Oggi non so cosa potrà accadere. Il processo di globalizzazione si è accentuato, tutto ciò che avviene ovunque nel mondo ha effetti immediati su ciascuno di noi. Un paradosso che genera insicurezza. Penso al conflitto in Ucraina: non ne usciremo fino a quando i due attori principali, Russia e Stati Uniti, non troveranno una soluzione comoda a entrambi. Ma l’incertezza riguarda tutti, Italia compresa”.

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Intanto l’Europa brilla per la sua assenza.

“Quale Europa? Non certo quella degli Stati. Solo un’Europa-soggetto potrebbe essere in grado di negoziare e confrontarsi su scala globale. Unirsi è una necessità per trovare qualche punto di riferimento, almeno sulla difesa comune. Ma va superato il meccanismo di voto all’unanimità. Noi italiani, poi, siamo i più euroscettici di tutti, anche se il 60 per cento dei giovani fino a 30 anni crede nella Ue. È la generazione europeista e globale: studia all’estero e non ha confini”.

La sua lezione modenese inaugura un corso che incoraggia la partecipazione dei giovani alla vita politica. Obiettivo nobile e impresa difficile.

“Sì, ma necessaria. Un futuro senza giovani non è futuro. Siamo il Paese più vecchio e con il tasso di natalità più basso d’Europa. In Italia ci si considera giovani fin quasi a 50 anni e vecchi a 80. Intanto i veri giovani, senza prospettive, vanno all’estero: più di un milione in dieci anni. Dare spazio alle nuove generazioni, incoraggiandole a partecipare e a costruire, è una necessità. Altrimenti rischiamo di scomparire, noi più di altri”.

Lei osserva spesso, con amara ironia, che ‘i partiti sono partiti’, un participio passato, non si sa per dove. E lo Stato ‘è stato’. Tra i cittadini si è diffusa l’idea che la democrazia senza partiti possa funzionare.

“C’è un aspetto in più, la democrazia del capo. In questo decennio l’incertezza è aumentata, prima per il Covid e poi per le guerre: così cresce la domanda di un’autorità in cui riconoscersi. Quasi il 60 per cento degli italiani chiede leader forti”.

Un suo sondaggio recente conferma il primato di Fratelli d’Italia. Il Pd resiste a distanza. È un modello che nella prima Repubblica Giorgio Galli definì bipartitismo imperfetto: allora la Dc, oggi FdI. Non ci sono alternative?

“Non mi sembra, perché uno dei due poli, il centro-sinistra, è diviso tra forze politiche incompatibili e insofferenti. Solo gli elettori del Pd, il partito più forte, accettano l’idea del cosiddetto campo largo. Gli altri temono di essere marginalizzati”.

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Una decina di anni fa lei coniò il concetto di “democrazia ibrida”: non più rappresentativa ma nemmeno diretta, e legata ai mezzi di informazione.

“Una volta i partiti parlavano direttamente ai territori, poi è subentrato Berlusconi, che ha imposto il modello mediatico-televisivo. Oggi la democrazia è immediata, più che diretta: ci si illude di non avere più bisogno di mediazione e mediatori. Siamo nell’epoca del digitale e le tecnologie della comunicazione personalizzano tutto”.

La situazione incerta pesa anche sui governi locali. Il modello emiliano è in affanno, come dimostrano le proteste dei cittadini che chiedono più sicurezza a Modena. E il welfare scricchiola: Comuni e Regione alzano le addizionali Irpef. “Al di là dei casi specifici vale una considerazione generale: governi e cittadini devono rendersi conto dei reciproci problemi e interessi. Detto questo, è giusto dare sostegno al sistema di welfare, ma non a spese dei beneficiari. Ciò significa non far pagare un prezzo troppo alto ai più deboli”.



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