Il 28 febbraio 2025 entrerà in vigore il Decreto FER X transitorio, un provvedimento atteso da tempo per sostenere la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili come il fotovoltaico, l’eolico, l’idroelettrico e i gas residui dai processi di depurazione. L’iniziativa, promossa dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), mira a facilitare la realizzazione di impianti con costi di generazione vicini alla competitività di mercato, con validità fino al 31 dicembre 2025.
A prima vista, il decreto sembra un passo avanti nella transizione energetica italiana, ma un’analisi più approfondita rivela criticità significative, specialmente per quanto riguarda la tutela del territorio e il coinvolgimento delle comunità locali.
Speculazione energetica e fotovoltaico selvaggio
Uno dei problemi principali del Decreto FER X è la mancanza di vincoli stringenti sulla tutela del territorio. Sebbene il provvedimento incentivi le energie rinnovabili, non prevede limitazioni chiare per evitare il consumo indiscriminato di suolo agricolo. Ciò significa che ampi terreni destinati alla produzione agricola potrebbero essere convertiti in distese di pannelli fotovoltaici, senza una pianificazione sostenibile.
Già in passato, numerose associazioni agricole e ambientaliste hanno denunciato il fenomeno del fotovoltaico selvaggio, ovvero l’installazione massiccia e indiscriminata di impianti a terra su aree produttive. Il rischio concreto è che la corsa alle rinnovabili porti a una devastazione del paesaggio rurale, sottraendo ettari preziosi all’agricoltura e alterando in modo irreversibile la morfologia delle campagne italiane.
A differenza di altri paesi europei, l’Italia non ha ancora definito zone specifiche e regolamentate per il fotovoltaico, lasciando agli investitori la libertà di scegliere aree meno costose e più redditizie, senza considerare l’impatto ambientale e sociale.
Popolazione esclusa dalle decisioni
Un altro aspetto critico del decreto è il mancato coinvolgimento delle comunità locali. Nonostante l’impatto significativo che questi impianti avranno sul territorio, il provvedimento non prevede alcun meccanismo di consultazione pubblica obbligatoria. Le decisioni vengono prese a livello centrale, con l’approvazione da parte della Conferenza Unificata, senza garantire agli abitanti delle zone interessate un reale potere decisionale.
Le amministrazioni locali si trovano spesso a dover subire le scelte degli investitori privati, senza strumenti adeguati per intervenire. Questo crea tensioni tra cittadini, agricoltori e aziende energetiche, aggravando il senso di esclusione e sfiducia verso le istituzioni.
Inoltre, il decreto non prevede alcun vantaggio economico diretto per le comunità ospitanti. Mentre le grandi aziende beneficeranno di incentivi e agevolazioni, i residenti delle aree interessate dagli impianti non vedranno alcuna riduzione delle bollette o benefit per lo sviluppo locale.
Procedure accelerate e rischi di speculazione
Il decreto introduce una procedura accelerata per gli impianti di grandi dimensioni (oltre 10 MW), riducendo i tempi di autorizzazione. Questo favorisce la speculazione energetica, poiché permette a grandi gruppi industriali di installare impianti senza controlli ambientali adeguati, bypassando le valutazioni territoriali dettagliate.
Il risultato? Una crescita disordinata degli impianti rinnovabili, con gravi impatti sulla biodiversità, sull’agricoltura e sulla qualità della vita delle popolazioni locali.
Soluzioni possibili: regolamentazione e giustizia energetica
Per evitare che il decreto si trasformi in un colpo di grazia per il paesaggio agricolo italiano, è fondamentale introdurre alcune correzioni urgenti, tra cui:
1. Vincoli più rigidi per le installazioni su suolo agricolo
Promuovere esclusivamente impianti su superfici già compromesse (ex aree industriali, capannoni, cave dismesse).
Incentivare il modello agrivoltaico, che permette la coesistenza tra impianti solari e attività agricole.
2. Partecipazione attiva delle comunità locali
Obbligare gli investitori a consultazioni pubbliche vincolanti prima di procedere con le installazioni.
Istituire compensazioni economiche per i comuni e i cittadini che ospitano gli impianti, come riduzioni tariffarie e investimenti in infrastrutture locali.
3. Pianificazione territoriale più equilibrata
Creare una mappatura nazionale delle aree idonee, per evitare la concentrazione indiscriminata degli impianti in poche zone.
Stabilire un tetto massimo di consumo di suolo agricolo per il fotovoltaico.
4. Controlli più severi sugli investitori privati
Evitare che i finanziamenti pubblici vadano a speculatori senza una reale strategia di sviluppo sostenibile.
Imporre obblighi di manutenzione e ripristino ambientale per gli impianti dismessi.
Conclusioni: transizione sì, ma non a scapito del territorio
L’Italia ha bisogno di un piano energetico ambizioso e sostenibile, ma il Decreto FER X transitorio, così com’è, rischia di favorire solo le grandi aziende del settore, lasciando il territorio e i cittadini senza tutele.
Le rinnovabili devono essere il futuro dell’energia, ma non devono diventare una minaccia per il paesaggio, l’agricoltura e la qualità della vita delle persone.
Se il governo non interverrà per correggere queste criticità, la transizione ecologica potrebbe trasformarsi in una nuova forma di colonizzazione energetica, dove il profitto prevale sul bene comune.
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