Si scrive così un nuovo capitolo nella vicenda dell’inceneritore di Roma che dovrebbe sorgere a Santa Palomba.
Il Consiglio di Stato, secondo ed ultimo grado della Giustizia amministrativa, ha respinto il ricorso presentato dai Comuni di Pomezia, Ardea, Marino e Ariccia contro il progetto di realizzazione dell’impianto di incenerimento dei rifiuti previsto a Roma-Santa Palomba.
L’impianto dovrebbe sorgere su un terreno che è l’estremo lembo sud del comune di Roma, al confine con i comuni di Albano laziale, Ardea e Pomezia.
(Clicca qui per vedere il terreno dove dovrebbe sorgere l’inceneritore).
La sentenza confermerebbe al momento la legittimità del piano approvato da Roma Capitale e dalla struttura commissariale incaricata della gestione del progetto.
Inceneritore di Roma, il Tribunale boccia il ricorso di quattro Comuni
Il ricorso contestava la validità degli atti con cui Roma Capitale ha bandito la gara per la progettazione, costruzione e gestione dell’impianto, con una capacità di trattamento di 600.000 tonnellate annue di rifiuti.
I Comuni avevano sollevato dubbi sulla compatibilità del progetto con la normativa ambientale europea e sull’opportunità di realizzare l’impianto in vista del Giubileo del 2025.
La decisione del Tribunale ferma Pomezia, Ardea, Ariccia e Marino
Il Consiglio di Stato ha rigettato tutte le contestazioni avanzate, confermando la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio.
I giudici hanno ribadito che i poteri straordinari conferiti al Commissario per l’emergenza rifiuti di Roma Capitale dall’ex premier Mario Draghi consentono l’adozione di atti di pianificazione e realizzazione degli impianti, anche con effetti prolungati oltre il mandato commissariale.
Secondo la sentenza, il piano di gestione dei rifiuti approvato si inserisce in una strategia complessiva per risolvere in modo strutturale l’emergenza rifiuti della Capitale.
L’inceneritore è stato giudicato coerente con l’obiettivo di garantire una soluzione di lungo periodo al problema dello smaltimento dei rifiuti.
Tribunale: un impianto non incompatibile con l’Europa
Il Consiglio di Stato ha richiamato la normativa europea in materia di gestione dei rifiuti, evidenziando che gli impianti di termovalorizzazione, se inseriti in una strategia di gestione sostenibile, non contrastano con i principi di prossimità e autosufficienza della direttiva 2008/98/CE.
Inoltre, ha respinto la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ritenendo infondate le contestazioni sulla presunta incompatibilità con la normativa comunitaria.
I forti dubbi sull’inceneritore
Con questa sentenza, il progetto di Santa Palomba supera un altro ostacolo legale e si avvicina alla fase operativa.
L’impianto, destinato a trattare i rifiuti di Roma Capitale e delle aree limitrofe, è uno dei pilastri del piano di gestione rifiuti approvato dalla struttura commissariale.
I Comuni ricorrenti continuano a esprimere preoccupazione per l’impatto ambientale dell’impianto e per la sua localizzazione in una zona già interessata da criticità ambientali.
Il problema dell’acqua
Ricordiamo ad esempio il problema idrico, cioè dell’utilizzo di enormi quantità d’acqua in un territorio che ha enormi difficoltà di approvvigionamento idrico.
I Castelli Romani hanno enormi difficoltà con i pozzi che tendono ad esaurirsi e persino i laghi che vedono il proprio livello calare in maniera drammatica e irreversibile.
Tuttavia, la sentenza conferma la linea adottata dal Commissario e da Roma Capitale, ponendo le basi per l’avvio della realizzazione dell’impianto.
Una sconfitta per l’economia circolare
Altro grave problema è la dimensione dell’impianto, che non è logica in un’ottica di ampliamento della differenzazione dei rifiuti.
Roma è obbligata a raggiungere delle quote di rifiuti differenziati che non comporterebbero quantità così enormi da mandare all’inceneritore.
Ma il contratto legherebbe comunque Roma a conferire quantità di indifferenziata che non avrebbe.
Va sempre ricordato che ogni rifiuto che invece di essere differenziato e riciclato viene incenerito è una sconfitta per l’economia circolare e provoca all’Italia enormi svantaggi sia economici che ambientali.
Il problema del rischio tumori
È stato scientificamente provato che vivere nell’area di ricaduta delle emissioni di un inceneritore comportava negli anni passati una grave possibilità di contrarre certi tipi di tumore. Ci sono a tal proposito numerosi studi di università e centri di ricerca.
Questo riguardava i ‘vecchi’ impianti di incenerimento. La tecnologia ha portato, secondo i costruttori degli inceneritori, ad abbattere questi rischi.
Questo è vero, ma ci si chiede se i rischi sono stati completamente annullati o sono solo diminuiti. Non sono oggi ancora molti gli studi sulla popolazione esposta ai fumi dei nuovi impianti di incenerimento.
Ce n’è uno relativo all’impianto di Valmadrera condotto nel 2018 dal Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università di Torino.
Le conclusioni dicono chiaramente:
“I risultati del presente studio non mostrano eccessi di rischio statisticamente significativi per la maggior parte delle cause indagate […] con l’eccezione, come sopra riportato, dei tumori del fegato e vie biliari, il cui eccesso di rischio merita un approfondimento”.
In pratica: è vero che i nuovi impianti inquinano di meno, ma nessuno oggi può affermare con certezza che siano esenti dall’esporre la popolazione ad un aumento di alcuni tipi di tumore.
Tutto ciò, ricordiamolo, per bruciare materiale che in grandissima parte potrebbe invece essere riciclato con i relativi enormi vantaggi ambientali ed economici.
L’impianto inceneritore di Roma, così come è stato pensato, è vantaggioso solo per chi lo costruisce e per chi lo gestirà, non certo per la salute e le tasche dei cittadini.
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