Stress: ti distrugge o ti fortifica? La proteina che fa la differenza

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Ciò che non uccide, fortifica. Nel caso dello stress, la frase di Friedrich Nietzsche apre a una serie di interrogativi. Come mai in caso di stress cronico alcune persone sviluppano ansia e sintomi depressivi, mentre altre mostrano una notevole resilienza?

Ebbene, a fare la differenza è – strano a dirsi – una proteina che agisce come recettore dei cannabinoidi ed è presente nella struttura che controlla gli scambi tra il flusso sanguigno e il cervello, come si legge in uno studio pubblicato su Nature Neuroscience. Un lavoro che ‘promuove’ anche l’effetto anti-stress dell’attività fisica.

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La proteina scudo

Ma torniamo alla proteina: chiamata recettore dei cannabinoidi di tipo 1 (CB1), “fa parte della barriera ematoencefalica, la struttura dinamica che” funziona come una sorta di ‘scudo’: “Protegge il cervello regolando il passaggio di molecole tra il flusso sanguigno e l’organo”, come spiega la responsabile dello studio Caroline Ménard, professoressa presso la Facoltà di Medicina dell’Université Laval e ricercatrice presso il CERVO Brain Research Centre. “Nel contesto dello stress sociale cronico, l’integrità di questa barriera viene alterata, le molecole infiammatorie si fanno strada nel cervello e compaiono ansia e sintomi depressivi“.

Il ruolo degli astrociti

I recettori CB1 sono abbondanti nei neuroni, ma si trovano anche negli astrociti, cellule che devono il loro nome alla  forma di stella e che consentono la comunicazione tra i vasi sanguigni del cervello e i neuroni. “Gli astrociti sono una componente essenziale della barriera ematoencefalica”, spiega Ménard. “Abbiamo notato che i topi resistenti allo stress avevano più recettori CB1 nella barriera rispetto agli animali con comportamento depressivo o ai topi non esposti allo stress. Ciò – racconta la ricercatrice – ci ha dato l’idea di studiare il ruolo dei recettori CB1 astrocitari nella risposta allo stress cronico”.

Il team di ricerca, che ha lavorato insieme a colleghi della McGill University, dell’Università di Madrid e del Trinity College di Dublino, ha prima aumentato la presenza del recettore CB1 negli astrociti dei topi (sviluppando un vettore virale che conteneva il materiale genetico che codifica per il recettore ‘nel mirino e un meccanismo che ne limitava l’espressione solo agli astrociti. Così, una volta iniettato, questo virus aumentava i livelli di recettori CB1 negli astrociti dei topi, ma non nei loro neuroni). Poi gli animali sono stati sottoposti a stress sociale cronico. Come? Qui viene il bello.

L’effetto stress del bullo

“Ogni giorno, per cinque minuti, venivano messi in contatto diretto con un maschio dominante. Il resto del tempo, nella gabbia veniva posizionato un divisorio trasparente. I topi potevano vedere il bullo senza alcuna interazione fisica, quindi si trattava essenzialmente di uno stress psicosociale”, afferma Ménard. Vi ricorda qualcosa?

La resilienza

Tre settimane dopo le iniezioni, il livello di recettori CB1 era più che raddoppiato negli astrociti dei topi nel gruppo sperimentale. “In questi animali, i livelli di ansia di base, quelli osservati in assenza di stress, erano ridotti, così come i sintomi di ansia e i comportamenti simili alla depressione indotti dallo stress sociale”. Insomma, la sovraespressione dei recettori CB1 “porta alla resilienza, promuovendo la salute vascolare nel cervello”, riassume la ricercatrice.

Altri esperimenti condotti dallo stesso team hanno dimostrato che i topi che avevano accesso a una ruota per esercizi o quelli a cui erano stati somministrati antidepressivi avevano livelli più elevati di recettori CB1 nei loro astrociti.

Il cervello umano

Inoltre, l’esame di cervelli umani conservati presso la Douglas-Bell Canada Brain Bank di Montreal ha confermato l’associazione tra recettori CB1 e sintomi depressivi. “Abbiamo scoperto che il livello di recettori CB1 negli astrociti era più basso nelle persone con depressione maggiore al momento del decesso, rispetto alle persone senza depressione o a quelle trattate con antidepressivi”, afferma Caroline Ménard, confermando il ruolo dei recettori.

Le prospettive (e l’attività fisica)

In futuro, dunque, si potrebbero utilizzare molecole in grado di attivare i recettori CB1 negli astrociti per ridurre l’ansia e i sintomi depressivi e aumentare la resilienza di fronte allo stress, suggerisce la ricercatrice. “La sfida, tuttavia, è quella di limitare gli effetti agli astrociti, perché un’attivazione forte e prolungata degli stessi recettori nei neuroni può avere effetti collaterali, in particolare su prontezza, ansia e appetito”.

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E allora? “Finché non troveremo una molecola che agisca specificamente sui recettori CB1 negli astrociti – conclude la studiosa – potremo attenuare le ripercussioni negative dello stress sfruttando l’effetto protettivo dell’attività fisica“.

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