Il Sud si svuota, il Nord resiste: le due Italie della crisi demografica

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L’Italia affronta una crisi demografica profonda, con dinamiche differenti tra Nord e Sud. Mentre il Mezzogiorno perde popolazione a ritmi preoccupanti, il Nord mostra una maggiore tenuta. Attraverso un’analisi descrittiva dei dati 2019-2024, questa nota conferma tendenze già note: il calo demografico non è solo una questione di numeri, ma anche di un profondo cambiamento nella composizione della popolazione. Comprendere queste dinamiche è essenziale per cogliere la frattura territoriale e le sue implicazioni economiche.

Italia: un declino demografico senza segnali di inversione

Dal 2019 al 2024, la popolazione italiana si è ridotta di 845 mila unità, attestandosi a 58.971.230 abitanti nel 2024. In cinque anni, il Paese ha perso l’1,4% dei residenti. Lo spopolamento è un fenomeno che inizia a mostrare caratteri di persistenza, ma è impressionante la dimensione che sta recentemente assumendo. Basti pensare che, in soli cinque anni, l’Italia ha perso l’equivalente dell’intera popolazione di città come Torino o (quasi) Napoli o di due città come Bologna e Firenze. Analogamente, è come se due regioni come Molise e Basilicata fossero diventate, ipoteticamente, completamente disabitate in così poco tempo.

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Spopolamento e invecchiamento: il Mezzogiorno in crisi

Il dato medio nazionale riflette dinamiche molto differenziate a livello regionale. La Figura 1 sintetizza lo spopolamento registrato nelle diverse regioni nel periodo considerato. Per evidenziare un’eventuale relazione tra la dimensione della regione e lo spopolamento, sull’asse delle ascisse è riportata la quota della popolazione regionale nel 2019, mentre sull’asse delle ordinate è indicato il contributo di ciascuna regione alla perdita complessiva di popolazione a livello nazionale osservata negli anni 2019-2024. Delle 20 regioni italiane, 18 registrano un calo demografico, mentre solo la Lombardia e il Trentino-Alto Adige mostrano una crescita, seppur marginale, contribuendo, quindi, “negativamente” al fenomeno dello spopolamento complessivo. Un elemento particolarmente significativo è la forte concentrazione del fenomeno nel Mezzogiorno: quattro sole regioni meridionali – Campania, Sicilia, Puglia e Calabria – spiegano quasi il 50% dello spopolamento osservato in Italia. Se si includono le altre quattro regioni del Sud, il Mezzogiorno arriva a rappresentare il 66% della perdita complessiva di popolazione a livello nazionale.

 

Figura 1. Dimensione della regione e contributo regionale allo spopolamento nazionale periodo 2029-2024. Fonte: Elaborazioni OpenCalabria su dati ISTAT (2025)

È possibile osservare la maggiore vulnerabilità del Mezzogiorno alle dinamiche demografiche guardando il tasso di spopolamento in ciascuna regione (Figura 2). Rispetto al 2019, le variazioni più elevate della popolazione si hanno in Molise (-4,8%), Basilicata (-4,5%) e in Calabria (-3,8%), seguite dalla Sardegna (-3,2%) e dalla Campania (-2,5%). Nel Centro-Nord, il calo è meno accentuato, con la Liguria (-1,6%) e il Piemonte (-1,8%) tra le regioni più colpite. Al contrario, l’Emilia-Romagna (-0,2%) e il Veneto (-0,7%) mostrano variazioni contenute. Complessivamente il fenomeno si manifesta con intensità diverse, penalizzando in particolare il Sud e alcune aree del Centro-Nord.

Figura 2 Tassi di variazione della popolazione 2019-2024 per regione. Fonte: Elaborazione OpenCalabria su dati ISTAT (2025)

Di per sé, la riduzione della popolazione non è necessariamente un fenomeno negativo: esistono infatti economie nazionali e regionali di piccole dimensioni, ma con elevati livelli di reddito pro capite. Ciò che preoccupa nelle recenti dinamiche demografiche italiane è la distribuzione dello spopolamento tra le diverse fasce di età. La Tabella 1 sintetizza questa dinamica, riportando per ogni regione e per l’Italia nel suo complesso i tassi di variazione per otto classi di età.

Emerge che il calo demografico in Italia non è uniforme, ma colpisce maggiormente alcune fasce rispetto ad altre. In particolare, si osserva una riduzione significativa nella popolazione più giovane: in Italia i bambini e ragazzi tra 1 e 14 anni diminuiscono dell’8,7%, mentre la fascia 15-24 anni registra una lieve flessione dello 0,6%. Ancora più marcata è la contrazione della popolazione tra i 25 e i 34 anni (-4,2%) e, soprattutto, tra i 35 e i 49 anni (-10,9%), segnalando un netto declino della popolazione in età lavorativa. Al contrario, le fasce di età più avanzate mostrano un andamento opposto. Gli individui in età lavorativa tra i 50 e i 64 anni aumentano del 6,1%, mentre la popolazione tra i 65 e i 74 anni cresce del 3,6%. Ancora più accentuata è la crescita della popolazione over 75 (+5,6%), con un incremento particolarmente elevato tra gli ultranovantenni (+10,1%) (Tabella 1).

Tabella 1 Tassi di variazione della popolazione 2019-2024 per regione e per classi di età. Fonte: Elaborazione OpenCalabria su dati ISTAT (2025)

Il divario Nord-Sud si amplia

L’analisi dei dati regionali evidenzia come lo spopolamento sia un fenomeno eterogeneo sia all’interno delle singole regioni che nel confronto tra di esse. In tutte le aree del Paese si osserva una riduzione della popolazione più giovane e in età lavorativa, accompagnata da un aumento della popolazione anziana, sebbene con differenze nei tassi che, evidentemente, riflettono differenze nelle cause di queste dinamiche.

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Ad esempio, in Calabria e Sardegna il calo della popolazione tra i 25 e i 34 anni è particolarmente marcato (-15,2% e -13,9% rispettivamente), evidenziando una forte emigrazione giovanile. Al contrario, in regioni come l’Emilia-Romagna (+3,4%) e la Lombardia (+1,9%) la popolazione ricadente in questa fascia d’età è in crescita, segnalando una maggiore capacità di attrazione legata alle opportunità lavorative. Lo spopolamento del Sud risulta strettamente legato ai flussi migratori che sono in costante ripresa nel periodo 2019-2024.

L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno comune a tutte le regioni, ma con tassi di incremento diversi. In Lombardia, Lazio, Toscana, Trentino-Alto Adige e Veneto la popolazione over 90 cresce in modo significativo, in linea con la tendenza nazionale. Tuttavia, nelle otto regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), l’aumento degli ultranovantenni è ancora più marcato, con una crescita superiore al 30% nell’ultimo decennio. Parallelamente, in queste stesse regioni si registra una riduzione sistematica della popolazione in tutte le fasce d’età fino ai 50 anni, un dato che contribuisce a un incremento preoccupante dell’indice di dipendenza, ossia il rapporto tra popolazione non attiva e popolazione in età lavorativa (in questo caso fino a 50 anni). Il forte squilibrio demografico del Sud solleva interrogativi sulla sostenibilità del welfare e sulle prospettive di crescita economica di questa parte del paese.

Osservando le tendenze su scala nazionale, emerge un quadro chiaro: mentre nel Mezzogiorno la perdita di popolazione riguarda in modo sistematico tutte le fasce d’età fino ai 50 anni, nel Nord molte regioni mostrano una maggiore stabilità demografica o addirittura una crescita in alcuni segmenti della popolazione. Ad esempio, il Molise perde il 9% della popolazione tra i 15 e i 24 anni e l’11,8% tra i 35 e i 49 anni, mentre in Calabria il calo tra i 25 e i 34 anni è superiore al 15%. Questa dinamica, che colpisce in modo trasversale le generazioni più giovani e attive, aggrava il declino demografico del Sud, riducendo progressivamente la base produttiva su cui costruire il futuro delle economie regionali. Al contrario, in regioni come Lombardia, Trentino-Alto Adige ed Emilia-Romagna, la popolazione giovane e lavorativa risulta più resiliente, con incrementi in alcune fasce d’età. Tuttavia, non tutte le regioni settentrionali seguono la stessa tendenza: in Liguria e Friuli-Venezia Giulia, ad esempio, si registrano cali demografici significativi, sebbene con caratteristiche diverse rispetto al Mezzogiorno.

Sintesi

Il declino della popolazione e l’invecchiamento demografico sono fenomeni strutturali che attraversano tutto il Paese, ma con intensità e caratteristiche differenti. In tutte le regioni si osserva una riduzione della fascia 35-49 anni, segnalando la difficoltà generale nel trattenere adulti in età lavorativa. Tuttavia, le aree economicamente più dinamiche riescono, almeno in parte, a compensare l’invecchiamento con un ricambio generazionale, mentre il Mezzogiorno subisce una perdita sistematica di giovani e lavoratori fino ai 50 anni. Non si tratta solo di spopolamento in se e per se, ma di una trasformazione profonda nella composizione della popolazione.

Nel Sud, il calo demografico è fortemente dipendente dalla fragilità del sistema produttivo, che non è in grado di garantire opportunità occupazionali adeguate. Questo spinge un numero crescente di giovani e adulti a cercare lavoro altrove, alimentando un circolo vizioso: la riduzione della forza lavoro impoverisce ulteriormente il tessuto economico locale e mina le prospettive di sviluppo futuro. La frattura demografica tra Nord e Sud è, dunque, causa ed effetto di una questione strutturale che inciderà profondamente sulla sostenibilità del sistema Paese.

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