Ucraina, l’Europa s’impegna per una pace “duratura”

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L’Europa riunita a Londra non abbandona a se stessa l’Ucraina aggredita dalla Russia e non prende a male parole il suo presidente Volodymyr Zelensky, anzi lo abbraccia e gli rinnova “solidarietà”. Ma cerca anche di tenere aperto il dialogo con gli Stati Uniti, nonostante il “bullo” alla Casa Bianca sembri intendersela più con Putin che con gli alleati della Nato.
La pace che gli europei s’impegnano a cercare d’ottenere per l’Ucraina è più “duratura” che “giusta”, perché tutti si rendono conto che l’integrità territoriale dell’Ucraina è ormai un’utopia militare e politica e che sarà difficile, se non impossibile, impedire che la Russia ricavi vantaggi dall’invasione, dopo che Washington ha di fatto già concordato con Mosca una spartizione: ai russi, i territori occupati; agli americani, le ricchezze contenute nel sottosuolo ucraino, specie terre rare.
Ci vogliono, però, garanzie di sicurezza, perché quel che resterà dell’Ucraina (e non solo) non resti esposto ai capricci di Putin. Fonti francesi parlano dell’emergere a Londra di “un consenso” attorno all’accelerazione di “una difesa europea propria”, dentro una discussione “sull’impegno americano”. Se ne continuerà a parlare giovedì a Bruxelles, dove il presidente del Consiglio europeo ha indetto un vertice straordinario il 6 marzo, il primo dopo le elezioni tedesche.
Convocato dal premier britannico Keir Starmer prima dello scontro di venerdì nello Studio Ovale tra Trump, con il suo vice JD Vance, e Zelensky, il consulto di Londra doveva servire a tirare le fila dei rapporti tra Usa ed Europa dopo l’accelerazione dei negoziati sull’Ucraina tra Washington e Mosca, scavalcando Kiev e marginalizzando l’Ue e la Nato, e dopo le visite a Washington del presidente francese Emmanuel Macron e dello stesso Starmer.
Starmer e Macron, che si consultano prima del vertice, intendono impegnarsi a ricucire lo strappo tra Trump e Zelensky, presentare un piano per un cessate-il-fuoco a Trump e provare a mettere insieme “una coalizione dei volenterosi” per offrire all’Ucraina le garanzie di sicurezza di cui ha bisogno, essendole ormai preclusa – pare certo – la prospettiva di adesione alla Nato (resta, invece, l’offerta di adesione all’Ue). La coalizione suscita però perplessità, anche da parte dell’Italia, ed è osteggiata dalla Russia.
Dalla riunione di Londra, esce, dice il segretario generale della Nato Mark Rutte, che vi partecipa con i leader dell’Ue, l’impegno ad aumentare le spese per la difesa, il che di per sé viene incontro alle richieste di Washington, anche se mancano dettagli in proposito. E Starmer riconosce che l’Europa deve sostenere il grosso dello sforzo per difendere se stessa. A lavori conclusi, Zelensky viene ricevuto a Sandringham da re Carlo III: una sorta di ‘risarcimento’ dell’umiliazione inflittagli alla Casa Bianca. Il presidente ucraino si presenta con la sua solita tenuta militare e nessuno gli contesta la violazione dell’etichetta.
Fra i più attenti a non rompere l’unità dell’Occidente è la premier italiana Giorgia Meloni, che dice: “Nessuno si può permettere una pace che non sua duratura: non possiamo permettercelo noi, né l’Ue, né gli Usa. Ho la percezione che gli Usa vogliano la pace e velocemente. E che sia anche interesse degli Usa che dopo la pace non si torni indietro”. A che le chiede della possibile creazione di un ombrello atomico europeo – Gran Bretagna e Francia sono potenze nucleari -, Meloni risponde: “E’ un tema che presuppone il disimpegno Usa, quindi non è intelligente proporlo. Tutto quello che posso fare per mantenere l’Occidente unito lo farò”. E nel colloquio con Starmer insiste che Gran Bretagna e Italia hanno la possibilità di “costruire ponti” con Washington.
Del resto, anche a Washington c’è chi è convinto che Zelensky “non abbia le carte in mano”, come gli ha bruscamente ricordato Trump, ma possa ancora “fare un accordo”, anche se la sorte sua e dell’Ucraina “è più precaria che mai” –scrive Le Monde -, dopo “la débacle nello Studio Ovale – parole del Washington Post – che lascia in sospeso l’aiuto degli Usa all’Ucraina e l’intesa di pace”.
La riunione di Londra si svolge in un giorno critico anche per la pace in Medio Oriente, dove la fine della prima fase della tregua concordata tra Israele e Hamas coincide con l’inizio del Ramadan, cioè del mese sacro del digiuno musulmano, ma non con l’avvio della prevista seconda fase. Israele, anzi, blocca l’ingresso nella Striscia di Gaza degli aiuti umanitari: vuole che Hamas restituisca tutti gli ostaggi catturati il 7 ottobre 2023 – ne restano una cinquantina, di cui 35 sarebbero morti -, solo in cambio della liberazione di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane; e non intende ritirarsi dalla Striscia, come era stato previsto.







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