garanzie di Bei e Cdp. Ecco a quanto arriverebbero gli investimenti

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Dopo il vertice di Londra, Meloni ha avuto almeno un’altra telefonata con Donald Trump. Un colloquio parte di quella mediazione che la premier sta svolgendo tra Europa e Casa Bianca. Intanto Matteo Salvini punta dritto al Presidente francese Emmanuel Macron, nei giorni scorsi finito nel mirino di Vladimir Putin che lo ha paragonato a Napoleone prospettandogli la stessa fine ingloriosa incassata durante l’invasione russa. Il leader della Lega rincara la dose dando al Presidente francese del dissennato. «L’esercito europeo comandato da quel matto di Macron che parla di guerra nucleare, no, mai», attacca il vicepremier, rendendo la rotta Roma-Parigi più turbolenta di quanto non sia già. Perché le distanze tra Palazzo Chigi e l’Eliseo appaiono enormi, soprattutto riguardo allo scacchiere ucraino e alle mosse da compiere per arrivare alla pace dopo tre durissimi anni di guerra. Le azioni di Macron lette come costanti fughe in avanti, potenzialmente rischiose perché ree di esacerbare le tensioni. Tanto che fonti diplomatiche puntualizzano che al summit di martedì a Parigi fra i generali della “coalizione dei volenterosi” il capo di Stato maggiore della Difesa italiana, Luciano Portolano, ci sarà, ma solo in veste di «osservatore, perché è meglio vigilare piuttosto che limitarsi a dire “noi non ci stiamo”». Dove il no è chiaramente riferito all’invio di truppe europee in Ucraina, un niet ribadito anche ieri dalla premier, a margine de lavori del vertice di Bruxelles.

IL PIANO

Ma al di là dei mugugni leghisti e degli affondi ormai quotidiani di Salvini, il via libera al maxi piano da 800 miliardi non è in discussione. E a Roma si fa di conto, non senza preoccupazione. Arriverebbero a quota 22 miliardi gli investimenti in difesa che l’Italia si troverà a gestire se dovesse aumentare di un punto percentuale la spesa in armi, passando dall’attuale 1,56% al 2,5 del Pil. Con un ulteriore balzo in avanti di ben 11 miliardi – e 33 mld sul piatto – se la percentuale dovesse lievitare al 3% del nostro Prodotto interno lordo. L’obiettivo è restare al passo con l’Europa che si riarma – perché, al di là del nome infelice del “Piano Vdl”, è di questo che si tratta – senza mandare all’aria i conti pubblici, ora che l’Ue ha deciso di consentire ai 27 di aprire i rubinetti della spesa, chiudendo un occhio anche sui Paesi ad alto debito. Che però se la rischiano, pagando un prezzo che potrebbe rivelarsi insostenibile per i conti pubblici. E accendere lo spread, che il governo Meloni vanta di essere riuscito a tenere a bada. Da qui la proposta italiana, che il ministro Giancarlo Giorgetti calerà sul tavolo dell’Ecofin in agenda martedì, di una garanzia europea per gli investimenti degli Stati membri nel settore della difesa, sul modello di InvestEU. In quest’ultimo caso, la garanzia fornita dal bilancio europeo ammontava a 38 miliardi, con un effetto moltiplicatore per oltre 650 miliardi. Il Mef è alle prese con stime e proiezioni, per individuare il numero X, ovvero la quota che dovrebbe essere coperta a garanzia dall’Europa, da individuare nelle pieghe del bilancio, per dare una spinta agli investimenti privati senza gravare sul deficit degli Stati membri. Con un ruolo centrale della Bei e a cascata di altri intermediari finanziari nazionali – per l’Italia l’attore designato è Cassa depositi e prestiti – che a propria volta fornirebbero finanziamenti come garanzie, prestiti, sovvenzioni, condivisione del rischio, partecipazione al capitale. Non prestiti dunque, ma contributi a fondo perduto. Un’idea difficile da far digerire agli alleati, soprattutto ai cosiddetti frugali, notoriamente allergici a forme di mutualizzazione del debito. Ma Giorgetti le tenterà tutte, già a partire dalla cena in agenda lunedì, puntando anche su una potenziale sponda tedesca, ora che la vittoria di Friedrich Merz ha cambiato le carte in tavola.

IL VERTICE

Incassate le indicazioni dei leader e pure il mandato (per la Commissione) di «esplorare ulteriori misure per facilitare una spesa significativa per la difesa a livello nazionale in tutti gli Stati membri», che cela la spinta tedesca e non solo a riaprire il Patto di stabilità, adesso tocca infatti ai ministri delle Finanze intavolare il confronto. La riunione dell’Eurogruppo in programma lunedì a Bruxelles non ha espressamente la difesa all’ordine del giorno, ma la ricerca dei soldi per il riarmo dominerà gli scambi a margine e pure la riflessione sul Patto a un anno dalla sua adozione. Così come la cena di lavoro organizzatadalla presidenza polacca del Consiglio, che sarà chiamata a un “tour de table” sulle opzioni disponibili per finanziare la difesa comune, a partire dal fondo da 150 miliardi di euro per fornire prestiti a tassi vantaggiosi ai 27 proposto da von der Leyen: non un nuovo Recovery Plan, ma semmai un meccanismo “Sure” per la difesa. La colazione in programma l’indomani mattina, invece, si concentrerà sulle esenzioni nazionali ai vincoli del Patto di stabilità e sulle idee, proposta italiana compresa, su come creare lo spazio di bilancio necessario ad aumentare la spesa militare salvaguardando la stabilità finanziare. Dovrebbe essere lasciata fuori dalla discussione, invece, la possibilità di utilizzare il Meccanismo europeo di stabilità.

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