Felicità: il paradosso che consuma chi la ricerca

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Will Smith le ha provate proprio tutte, per trovare una sua dimensione. Ma nel film “Alla ricerca della felicità”, in un’altalena di speranza e disillusione che ha catturato gli spettatori, è emerso chiaramente come trovare la propria via e al contempo la piena soddisfazione psicologica di quello che si fa sia tremendamente difficile. Tanto che forse si rischia di andare incontro ad un vero e proprio paradosso.

Facciamo di tutto per essere più felici, impegnandoci magari allo spasimo, per poi renderci conto che tutti i nostri sforzi alla fine rischiano di risultare vani, o comunque di non darci le soddisfazioni che auspichiamo. Insomma: esiste un vero e proprio “paradosso” della felicità contro cui ci scontriamo e che rischia di frustrare i nostri sforzi.

Ma cosa può esserci dietro questa situazione? E, soprattutto, come mai siamo continuamente in questa ricerca pur sapendo che poi in moltissimi casi ci ritroviamo disillusi e, diciamolo, anche un po’ frustrati?

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La ricerca della “fisiopatologia” psicologica di questo paradosso che ci attanaglia, con il fenomeno per cui cercare la felicità in realtà ci rende meno felici, sembra ora aver trovare qualche possibile motivazione.

A testimoniarlo è una ricerca condotta da Sam Maglio dell’Università di Toronto Scarborough e Aekyoung Kim, docente alla Business School presso l’Università di Sydney, pubblicata su ‘Applied Psychology: Health and Well-Being’.

Sostanzialmente, alla base della nostra sofferenza psicologica ci sarebbe la stanchezza. O meglio, l’anelito alla felicità sarebbe tanto estenuante sul fronte psicologico al punto di annullare la nostra capacità di usare autocontrollo e forza di volontà. Quindi, alla fine, la bilancia tra tentazione di raggiungere la felicità e decisioni effettive ci porterebbe ad uno squilibrio difficile da ricomporre. 

L’effetto valanga della ricerca della felicità

“La ricerca della felicità è un po’ come un effetto valanga. Decidi di provare a renderti più felice, ma poi quello sforzo esaurisce la tua capacità di fare il tipo di cose che ti rendono più felice”, è il commento di Maglio riportato in una nota dell’ateneo.

Il problema, quindi, è semplice da svelare ma davvero complesso quando si parla di possibili soluzioni. Perché regolare i nostri pensieri, emozioni e comportamenti è particolarmente estenuante. C’è un errore, in questa chiave di lettura molto originale, che non bisogna fare: traslare immediatamente il rapporto che abbiamo con le finanze con la gioia dell’anima.

Perché, si riporta nello studio, diventa estenuante e (aggiungiamo noi) frustrante considerare la felicità come qualcosa che possiamo e dovremmo accumulare. Se possibile in modo sempre crescente. Se avete questa visione, sappiate che siete su una strada scivolosa. Lo studio conferma questa discrepanza grazie a interviste effettuate con moltissime persone, fino a giungere alla conclusione che l’anelito alla felicità si trasforma in un meccanismo che rischia di consumarci.

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Il tutto, perché l’autocontrollo può diventare un “nemico” di questa caccia, fino a consumare l’energia mentale. La sensazione è che non ci si debba porre come obiettivo la felicità in sé stessa. Perché chi la cerca, poi si accorge che non ha tempo per realizzare il suo programma. Così arriva la frustrazione.

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Nella parte finale della loro analisi composita e fatta di diversi esperimenti, in questo senso, c’è stata anche una valutazione mirata. A una popolazione di soggetti sono state presentate coppie di oggetti di uso quotidiano; a un gruppo è stato chiesto di scegliere l’opzione che avrebbe migliorato la loro felicità, mentre all’altro è stato chiesto di scegliere in base alle proprie preferenze personali.

A entrambi i gruppi è stato poi assegnato un compito mentale che valutava le loro capacità di autocontrollo. Risultato: chi mirava alla felicità ha smesso prima, perché ricercando la felicità si consumano risorse della mente.

Come la sabbia

Consiglio finale: accontentiamoci. Godiamo di quello che abbiamo. E non inseguiamo obiettivi destinati a rimanere irraggiungibili. Maglio offre una metafora che aiuta a capire le difficoltà: dovremmo pensare alla felicità come alla sabbia. Si può tentare di controllare un pugno di sabbia. Ma più si stringe la polvere, più i muscoli si contraggono. Così, alla fine, si perderà piano piano quanto abbiamo. Perché ci si stanca. E molto!

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