il conte Bonde e la crisi del Congo

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Dietro a una fotografia scattata a un militare svedese che fuma una sigaretta con due ferite sanguinanti mentre è a difesa di una ferrovia, la storia di un continente martoriato e il fascino dei “soldati di ventura” dell’epoca della decolonizzazione e della Guerra Fredda. Quella foto immortala il maggiore svedese Erik Bonde dopo essere caduto in un’imboscata. Era il 15 gennaio del 1961 quando venne colpito due volte, probabilmente dal tiro dei guerrieri Baluba che all’epoca usavano ancora vecchi moschetti ad avancarica, armi con una potenza incomparabile a quella dei fucili moderni, soprattutto da una certa distanza. Faceva parte della missione ONU durante la crisi del Congo e, dopo aver ricevuto le cure di primo soccorso, tornò a combattere il nemico “invisibile” nella giungla, difendendo la ferrovia come in una battaglia della frontiera degna vecchio film western.

La crisi del Congo può essere considerata come il compito internazionale “più serio” che le forze armate svedesi si trovarono ad affrontare durante la Guerra Fredda, e fu la prima volta in 140 anni che i soldati dello Svenska armén, l’esercito svedese, si trovarono costretti a combattere. Al tempo il Segretario generale delle Nazioni Unite era il diplomatico svedese Dag Hammarskjöld, una figura molto rispettata, sia in Svezia che nella Comunità internazionale, e molto apprezzata da politici come John Fitzgerald Kennedy, che presto si sarebbe trovato a doversi confrontare con il segretario Nikita Kruscev in uno dei momenti più delicati del confronto tra il Blocco Occidentale e il Blocco Orientale. Sullo sfondo, infatti, la CIA e il KGB si stavano scontrando in una guerra per procura.

“Il mio sangue è blu”

L’escalation di violenza nell’ex colonia belga, dove i bianchi divennero dei bersagli durante le rivolte popolari, trovò l’impegno e l’interesse di Hammarskjöld, e, di conseguenza, il coinvolgimento della Svezia che inviò in Congo sotto l’egida dell’ONU una forza che arrivò a contare 9 battaglioni, per un totale di 6.334 svedesi tra il 1960 e il 1964. Accanto alla Svezia intervenne anche Irlanda, che, ricordiamo, trovò il battesimo del fuoco nell’assedio di Jadotville, nel Katanga.

Il primo battaglione svedese partì da Gaza, dove era dislocato, e arrivò in Congo, per poi iniziare le pattuglie a Leopoldville, presso l’aeroporto di Kinshasa, e spostarsi successivamente a Elizabethville, nel Katanga, dove gli svedesi si trovarono coinvolti nei primi scontri a fuoco mentre erano ai trasporti ferroviari. I treni che trasportavano prigionieri Baluba del Katanga, infatti, erano diventati il primo obiettivo della guerriglia condotta dal gruppo nazionalista che sosteneva il Governo centrale, proprio come al tempo delle Guerra boera in Sudafrica; e gli impierialisti che li difendevano, in questo caso gli alleati dei Belgio, i nemici da combattere. Il Belgio favorevole alla decolonizzazione ma contrario all’indipendenza della regione del Katanga, si era trovato a rispondere con le armi con la giustificazione di proteggere i cittadini belgi, ma soprattutto per difendere propri interessi minerari.

Fu in una di queste battaglie che il maggiore Erik Bonde, classico esempio di soldato appartenente a a una antiquato lignaggio e a un piccolo esercito, che si trovava mosso sull’enorme scacchiere della Guerra Fredda e a combattere per procura, come ai tempi delle lunghe guerre che aveva deciso i confini dei regni e degli stati del Vecchio continente, si era trovato a fronteggiare dei guerriglieri che volevano solo combattere “lo straniero”, con la sua uniforme verde oliva, la sua moderna pistola mitragliatrice Carl Gustav m/45 – la famosa Swedish K – e una fascia sulla spalla che esibiva la sigla delle giovani Nazioni Unite. La leggenda vuole che dopo l’imboscata e lo scontro a fuoco che precedette la famosa fotografia, un soldato disse al maggiore Bonde: “Signore! È stato colpito! La sua camicia è rossa!“, al che lui rispose “Non essere insolente. Sono un conte. Il mio sangue è blu“.

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