In piazza il 15 marzo per un’Europa di pace e sostenibilità, la voce del lavoro per una lotta che non finisce solo in un giorno

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 


Quando gli amici di “Strisciarossa” mi hanno chiesto un pezzo sul perché sarò in piazza il 15 Marzo – nonostante i fatti successivi l’appello di Serra (compresa la sciagurata scelta della Commissione Europea di avviare un riarmo degli eserciti nazionali tagliando investimenti industriali e sociali) e nonostante alcune posizioni di politici nostrani che sembrano più dei tifosi – mi sono preso qualche minuto di tempo per pensarci.

Non perché abbia dei dubbi, ritrovandomi convintamente nelle ragioni che il Segretario Generale della Cgil ha illustrato domenica in una lettera a Repubblica (che riprendono parte delle riflessioni avanzate durante l’ultima riunione della Confederazione Europea dei Sindacati), ma perché temo che la complessa situazione meriti prima di tutto comprensione (nel senso etimologico della parola) per le posizioni di chi ritiene un errore esserci. Ed un articolo per quanto meditato corre il rischio – in poche battute – di semplificare troppo. Poi però ha prevalso l’antica formazione per cui in certi passaggi tacere è sempre sbagliato, fosse anche perché le ragioni dell’oggi – ne sono convinto – non impediranno il ritrovarsi tutti insieme domani.

E allora voglio essere chiaro. L’accelerazione politica imposta da Trump disvela la strategia USA degli ultimi anni (Biden compreso) e soprattutto tutte le contraddizioni ed i limiti dell’Unione Europea. Il Covid è stata una parentesi e non l’alba di una nuova stagione. Troppa poca politica e diplomazia, la mancanza di una visione comune a partire dalla vera originalità europea – quella del compromesso capitale-lavoro che ha affiancato ai diritti politici quelli sociali – rischiano di seppellire l’Unione, definitivamente. Di farci superare una linea rossa, oltre la quale non vi sono più margini di manovra e spazi per una battaglia politica efficace.

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

Quale idea d’Europa

Oggi la questione è quale idea di Unione Europea, quale funzione politica e di modello deve esprimere, anche per riassorbire i disagi e il malessere che stanno alimentando forze reazionarie se non proprio fasciste.

Da un lato vi sono forze che vogliono tornare ad una sorta di Yalta a tre (come minimo): grandi forze imperialiste, dove la democrazia è un optional (o dove addirittura si teorizza la libertà senza democrazia, che sa tanto di Hobbes, della libertà del lupo) e dove gli apparati militari e tecnologici sono i detentori del potere e finanche del linguaggio (la parola “pace” in bocca a Trump e Putin…) dentro una narrazione che è in totale continuità con l’attuale modello di sviluppo, ingiusto e predatorio (socialmente e sul piano ambientale).

Dall’altra vi sono forze che ritengono, in modo subalterno, che l’unica via per l’UE sia quella di emulare “lo status” di potenza dei 3 imperi, comprando meramente un po’ di tempo ma accettando di fatto un destino ineludibile (il riarmo degli stati nazionali, la fine del green deal, la fine del welfare universale come costo eccessivo che limita ormai l’efficienza del sistema). Con “lor signori e signore”, il destino è segnato.

Ed infine vi è un fronte – ad oggi quello che però ha meno consensi, anche tra le forze che si richiamano al Partito Socialista Europeo e tra i principali sindacati europei, e di questo bisogna esserne tutti un po’ più consapevoli – per cui l’unica via è un’Unione Europea diversa, che si rifondi quasi da capo e che, in pochi anni, faccia quello che non ha fatto dopo aver perso l’occasione offerta da Delors quando cadde il muro di Berlino (primi anni 90).

Ovvero sia diventare la cosa più simile possibile agli Stati Uniti d’Europa, assumendo però una propria narrazione. Quella del continente della pace e dello sviluppo sostenibile, che investe sulle sue specificità, con risorse aggiuntive (un debito europeo per la pace e la ricostruzione) e guardando ad Est e soprattutto a Sud (Africa e Medio Oriente), con più programmazione pubblica per rilanciare un benessere fatto di più protezione sociale, politiche industriali comuni, più salute e formazione, più cultura e inclusione. Che dimostri che si può governare la transizione ecologica e digitale dando più di quanto si chiede, proteggendo più che riducendo, che libertà e democrazia possono stare insieme in quanto strumenti alternativi alla paura, alla solitudine, alla rabbia. Dove le sfide vanno da un sistema fiscale unico ad unica strategia di inclusione sociale, da una riforma della Governance fino a discutere anche di come reperire risorse aggiuntive per dotarsi di strumenti dove anche l’indipendenza energetica (a partire dall’uscita dal fossile) e la difesa militare comune (a partire da un di più di nostra IA) sono due dei capitoli da affrontare. Anche per concertare un’uscita graduale dalle varie dipendenze (siano esse la Nato senza Trump, il Gas senza Putin), oramai superate dai fatti. Perché la geo politica necessita di strumenti. Perché mai come oggi il cuore e la testa devono andare insieme.

Se tutto questo è vero. Se è stato sincero – per quanto ingenuo, per quanto all’inizio con margini di ambiguità – e genuino lo spirito che ha animato l’appello di Michele Serra, anche dopo le drammatiche immagini in diretta dallo Studio Ovale… se poi quella piazza è divenuta simbolicamente e concretamente un campo di battaglia tra le due idee diverse di Unione Europea… allora a quella piazza fisica e simbolica, a quell’appuntamento di massa non può mancare la voce del lavoro e del più grande sindacato confederale italiano.

Non può mancare anche e soprattutto per il giorno dopo. Del resto all’Unione Europea hanno guardato, con speranza e pragmatismo, tutte le generazioni nate dal 45 in poi. Prima come il principale campo d’azione alternativo al mondo diviso in due, poi come fattore che potesse (e possa) contribuire a stabilizzare, attraverso le istituzioni sovra nazionali, un sistema multipolare e multi culturale. Dove far convivere, con l’esempio, anche la nostra cultura, accettando però tutte le altre (quanti danni ha fatto il nostro “occidentalismo”).

marcia pacePer questo andrò in piazza il 15 marzo, come militante e dirigente della Cgil. Non solo perché su parole non dissimili vi saranno anche le altre organizzazioni sindacali, parte importante dell’impegno cattolico (da Sant’Egidio agli Scout) e laico (Legambiente, ecc.) fino a Libera e all’Anpi, ma perché non possono mancare la voce e le ragioni di chi della questione “pace-cambio del modello sviluppo” ha fatto la propria bandiera, fino a farsi carico di battaglie difficili e coraggiose (non da ultimo gli stessi referendum sul lavoro e la cittadinanza, per il valore concreto che esprimono ma anche per il messaggio di cambiamento che provano ad interpretare).
Provando ad inserirsi, grande organizzazione di massa, in un flusso di preoccupazioni, di speranze, finanche di dubbi a cui dare però continuità, una ancora più forte dimensione programmatica. Sostenendo anche le ragioni di quelle forze politiche e sindacali che non stanno seguendo le sirene del riarmo, della potenza da contrapporre a potenza e offrendo loro un percorso comune per continuare a battersi per la nostra idea di Europa anche il 16, il 17, il 18 marzo. Una strategia di alleanze, sostegno reciproco, creazione di senso comune e massa critica. Anche di questo c’è bisogno, soprattutto quando gli avversari politici sono forti e numerosi.

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link