Serbia, monta la protesta degli studenti a Belgrado. Cosa sta succedendo

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«Pumpaj, pumpaj» («spingi» oppure «pompalo», quasi uno di quei cori che a fine serata si lanciano al dj), scandiscono in coro migliaia di manifestanti a piazza della Repubblica di Belgrado l’8 marzo. Il palco davanti al Museo Nazionale è allestito da ore per il raduno della marea nata dopo il crollo della stazione di Novi Sad. Proteste che man mano hanno attecchito anche nel resto della popolazione e oggi proseguono a cadenza di fatto giornaliera. E così in piazza ci sono anziani, giovani, genitori con i bimbi in spalla. Mentre nella capitale serba il movimento dei trattori viene fermato alle porte della città dagli agenti. Evitiamo ogni equivoco: diversamente da quanto accade ad esempio in Georgia o Moldavia, qui non c’entra nulla l’Ue, come testimonia l’assenza di bandiere blu con le stellette (men che meno della Nato o della Russia). Oltre a quelle (tante) serbe, si rivedono invece gli stemmi della Ferrari, già simbolo dei moti anti-Milošević sul finire degli anni Novanta. 

Lo conferma uno dei manifestanti, Kostas («la lotta è solo contro la corruzione, Ue, Nato e Russia non c’entrano nulla») ribadendo quanto detto nelle scorse settimane da analisti politici come Helena Ivanov della Henry Jackson Society. Qualcuno potrebbe stupirsi che non compaiano riferimenti al presidente serbo Aleksandar Vučić, seppur si tratti evidentemente di proteste contro il sistema che lui incarna. Il suo volto non c’è infatti nei cartelli, nè il suo nome è scandito dai cori. Ovunque, invece, ecco spuntare una mano rosso sangue stilizzata: il riferimento è a quanto accaduto a Novi Sad, a nord di Belgrado, dove il primo novembre crolla il tetto di una stazione, uccidendo 15 persone. Non passa molto prima che gli studenti scendano in piazza per chiedere giustizia: non attaccando direttamente il governo, ma prendendosela con la corruzione dilagante (la stazione era stata ristrutturata da poco da un’impresa cinese). Tutte le 31 università di Belgrado vengono occupate (compresa, con discreto stupore, teologia ortodossa), ogni giorno c’è un corteo, il movimento si estende anche alle altre città serbe. Il governo traballa, si dimette il premier Miloš Vučević.

I moti però continuano, chiedendo oltre alla verità su Novi Sad anche più fondi per le università.

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Le facce dei leader studenteschi sono quelle che già si vedevano per i moti contro l’estrazione del litio serbo (necessario per la transizione green dell’Ue ma altamente inquinante) da parte dell’impresa Rio Tinto. Ma grandi rivolte si erano già viste nella primavera del 2023, dopo che un ragazzino di 14 anni aveva commesso una strage in una scuola del centro di Belgrado usando la pistola del padre. Un fatto che aveva a tal punto scosso il Paese che ne era nato una sorta di “campo largo” anti-Vučić, il movimento Serbia contro la violenza. E poi ancora a dicembre 2023, i giovani erano scesi in piazza dopo che le elezioni parlamentari e per il sindaco di Belgrado avevano vinto trionfare il partito Sns (quello del presidente serbo) con relative accuse di brogli. Chi pensa di trovare sui palchi politici sbaglia: gli stessi partiti di opposizione tra i manifestanti non sembrano godere di buona fama. Anzi, l’assenza di leader anti-regime è vista come un modo per evitare di offrire facili bersagli alla repressione. 

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Dal canto suo, l’apparato di potere serbo continua a reagire da mesi sempre allo stesso modo, seppur con intensità crescente: arresti dei manifestanti, documenti degli studenti coinvolti nelle proteste spiattellati sui media vicini al governo, accuse di «interferenze straniere».  Solo che ora la situazione sta diventando complicata da gestire: accanto agli studenti ci sono pezzi della popolazione rimasti finora a margine e forse anche una parte degli apparati militari. Ma torniamo alla folla davanti piazza della Repubblica, dove l’attesa è soprattutto per la grande manifestazione di sabato 15 marzo: tutti sanno che qualcosa accadrà, pochi hanno in mente cosa di preciso. Vučić nel frattempo si è portato avanti, annunciando il pugno duro contro i manifestanti (almeno in teoria, solo quelli violenti), parole che sembrano presagire un cambio di marcia sul fronte della repressione interna. Di certo c’è che Milošević, dopo la morte di Tito, cavalcò le proteste anti-birokratije (contro l’eccesso di burocrazia) per salire al potere. Oggi nel mirino degli studenti c’è la corruzione, ma manca il leader. Più di tutto c’è l’impressione che il clima in Serbia si va facendo pesante.

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