I maggiori perdenti della presidenza Trump sono i miliardari che lo hanno sostenuto

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La rielezione di Donald Trump aveva segnato un momento di grande speranza per i miliardari che lo hanno sostenuto. Ma a meno di due mesi dal suo insediamento, la realtà si è rivelata molto diversa da quella che avevano immaginato. Quelli che sembravano i maggiori beneficiari della sua presidenza, con un’impennata dei mercati azionari che aveva gonfiato la loro ricchezza, si sono trovati di fronte a un’inversione di tendenza che ha eroso drasticamente le loro fortune (che comunque restano immense). Bloomberg calcola che in due mesi siano stati bruciati 209 miliardi di dollari.

In poche settimane, le promesse di crescita economica e di agevolazioni fiscali si sono scontrate con una realtà caratterizzata da incertezze politiche ed economiche. Una politica tariffaria erratica e i segnali di una crisi economica globale hanno pesato molto sui corsi azionari. L’S&P 500, che era stato il simbolo della prosperità durante la campagna elettorale repubblicana, ha subito una perdita del 6,4%, una tendenza che è proseguita drammaticamente, con un calo del 2,7% in un solo giorno.

Le aziende che avevano spinto i miliardari in cima alla scala della ricchezza, da Tesla ad Amazon, da Meta a LVMH, hanno subito perdite devastanti. Un esempio per tutti: l’azienda di Musk, che aveva raggiunto una capitalizzazione record di 486 miliardi di dollari, ha visto evaporare questa cifra, con le azioni che hanno perso tutti i guadagni realizzati. Dalla Germania alla Cina, le vendite di automobili sono crollate e si sono registrate pesanti perdite nei mercati chiave. 

Amazon, di proprietà di Jeff Bezos, che aveva scelto di donare un milione di dollari al leader del GOP per l’Inauguration Day, ha visto il suo valore azionario crollare del 14% dopo il giuramento del Presidente. Così come Bezos, anche gli altri multimiliardari o semplici milionari hanno dovuto donare cifre a sei zeri per essere presenti all’Inuguration Day ed entrare nell’orbita di Donald Trump. 

Nonostante tutte le apparenze contrarie, non sono semplici laudatori della sua presidenza. L’ex vignettista politica del Washington Post Ann Telnaes lo sa bene. Il mese scorso, Telnaes si è licenziata dopo che il suo editore si è rifiutato di pubblicare una sua ultima vignetta in cui compaiono il proprietario di Amazon e del Washington Post Jeff Bezos, il proprietario del Los Angeles Times Patrick Soon-Shiong, il miliardario di OpenAI Sam Altman, Mark Zuckerberg di Meta e Topolino (che rappresenta il gigante dei media Disney/ABC) inginocchiati o inchinati a faccia in giù davanti a una statua del Presidente. Per Telnaes e altri critici, i tentativi dei miliardari di accattivarsi i favori di Trump – mentre lavorano per proteggere i loro interessi commerciali e i loro contratti governativi – li hanno portati a comportarsi come degli yes-men.

È vero che la fedeltà a Trump può far sembrare che i miliardari e le aziende da mille miliardi di dollari si stiano piegando a un aspirante despota. Ma è solo apparenza. “Ora abbiamo un’amministrazione statunitense che è orgogliosa delle nostre aziende leader, che dà priorità alla tecnologia americana vincente e che difenderà i nostri valori e interessi all’estero… Sono ottimista riguardo al progresso e all’innovazione che questo può sbloccare”, aveva sintetizzato Zuckerberg due mesi fa a proposito di Trump.

Elon Musk, Jeff Bezos e Bernard Arnault (rainews)

Per i ricchi e le grandi aziende la protezione dei profitti è l’obiettivo finale, e Trump è il mezzo per raggiungerlo. Se è necessario un ginocchio piegato o elogi sperticati per ottenere più quote di mercato o più potere sulle casse del governo federale, si fa.

A circa due mesi dall’insediamento di Donald Trump, i sogni di un’epoca d’oro si sono dissolti tra incertezze e perdite. Le aziende che avevano costruito i loro imperi su promesse di liberismo e favori fiscali si trovano ora ad affrontare una realtà finanziaria molto più complessa di quanto potessero immaginare. Trump si è dimostrato inaffidabile, dall’Ucraina a Gaza, dai dazi dallo smantellamento del lavoro federale che molti consensi sta facendo svanire. Un elemento che apparentemente non era stato considerato al momento di staccare gli assegni milionari.



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