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Dopo Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu, la Corte penale internazionale ha emesso – e stavolta eseguito – un altro mandato di arresto. Si tratta di Rodrigo Duterte, ex presidente ma uomo forte delle Filippine, amato dai molti (moltissimi) che hanno sostenuto i suoi metodi poco ortodossi e radicali nella lotta alle droghe e alla povertà. L’accusa infatti, deriva proprio dalla vera e propria guerra alle sostanze fatta dall’ex presidente, che avrebbe causato la morte di più di 10mila persone. Insomma, Duterte è stato arrestato per crimini contro l’umanità per omicidio. Tra il 2016 e il 2022, anni in cui era al potere, decine di migliaia di persone – per lo più appartenenti ai ceti più poveri – sono state uccise in esecuzioni extragiudiziali condotte da polizia ma anche squadroni di vigilantes. Molti di questi omicidi sono stati eseguiti dopo indagini sommarie e caserecce. Molte vittime infatti non avevano alcun legame con il traffico di stupefacenti.
L’odierna Amministrazione filippina ha confermato l’arresto in un comunicato ufficiale: “Questa mattina presto, l’Interpol Manila ha ricevuto copia ufficiale del mandato di arresto dalla Cpi. Al momento, Duterte è sotto la custodia delle autorità. L’ex presidente e il suo gruppo sono in buona salute e sono sottoposti a controlli da parte di medici governativi”. Fino all’ultimo, il fu capo di Stato ha difeso la sua guerra senza quartiere. Domenica scorsa, parlando davanti a migliaia di lavoratori filippini all’estero, aveva attaccato duramente la Cpi, definendone gli investigatori “figli di puttana” e dichiarando di essere pronto ad accettare l’arresto se quello fosse stato il suo destino. Duterte aveva già cercato di sfuggire a questo scenario nel 2019, quando portò le Filippine fuori dalla Corte penale internazionale, convinto che quella decisione avrebbe blindato la sua impunità. Ma il tribunale dell’Aia ha stabilito che i crimini commessi prima del ritiro restano sotto la sua giurisdizione. E non solo: le indagini coprono anche il periodo in cui Duterte era sindaco di Davao, la città che ha governato per oltre 20 anni con il pugno di ferro mostrato al Paese durante la sua amministrazione.
L’inchiesta formale della Cpi era partita nel settembre 2021, poi sospesa per mesi su richiesta di Manila, che nel frattempo aveva promesso di riesaminare centinaia di casi legati alle operazioni antidroga. Nel luglio 2023, però, la Corte ha deciso di andare avanti, ignorando le obiezioni del governo filippino. La linea ufficiale dell’attuale presidente Ferdinand Marcos è sempre stata chiara: nessuna collaborazione con la Cpi. Eppure, il sottosegretario dell’Ufficio presidenziale per le comunicazioni, Claire Castro, ha dovuto ammettere che “se l’Interpol chiederà la necessaria assistenza al governo, sarà obbligata a seguirlo”. E il mandato di arresto internazionale non ha scalfito l’immagine di Duterte nelle Filippine. Il suo stile di governo, brutale ma efficace, gli ha garantito il sostegno di milioni di concittadini, stanchi della criminalità e della corruzione. In molti vedono nella sua repressione il prezzo da pagare per un Paese più sicuro. Ora, però, il suo futuro politico è più incerto che mai. Duterte è candidato alle elezioni di metà mandato di maggio per riprendere la poltrona di sindaco di Davao, la sua roccaforte storica. E questo arresto, probabilmente, è un grosso bastone tra le ruote dell’ex presidente.
In patria, le condanne per le uccisioni extragiudiziali sono pochissime: appena nove poliziotti sono stati giudicati colpevoli. Ma Duterte, che più volte si è definito un “assassino”, ha sempre difeso la sua linea. Ha ordinato agli agenti di sparare per uccidere chiunque minacciasse la loro vita e ha sostenuto che la sua strategia ha salvato il Paese dalla deriva della narco-politica. Quando lo scorso ottobre il Senato filippino ha aperto un’indagine sulla sua guerra alla droga, la sua risposta è stata diretta e senza esitazioni: “Ho fatto quello che dovevo fare e, che ci crediate o meno, l’ho fatto per il mio Paese”. Eroe o dittatore? Il confine tra queste due definizioni è ancora molto labile.
Aggiornato il 11 marzo 2025 alle ore 10:00
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