”Sacrifica la tutela dei cittadini”

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“L’abrogazione del reato di abuso di ufficio, lungi dal bilanciare tra esigenze costituzionali dell’imparzialità e dell’efficacia dell’azione amministrativa, anche mediante l’ulteriore riduzione dell’ambito dell’incriminazione, ha dato prevalenza incondizionata all’autonomia di amministratori e funzionari nell’esercizio della funzione pubblica, sacrificando integralmente la tutela dei cittadini contro gli abusi posti in essere dai pubblici agenti intenzionalmente ai loro danni”.
Lo scrive la Corte di Cassazione nel ricorso presentato alla Corte Costituzionale in merito all’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Per usare un linguaggio meno tecnico i supremi giudici hanno scritto che questa abolizione crea sacche di impunità indebolendo la lotta alla corruzione. Inoltre, sempre la cassazione, nel ricorso presentato ha richiamato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione.
Un focus specifico è posto dall’articolo 19, rubricato “abuso d’ufficio”, che invita gli Stati aderenti a valutare l’introduzione di norme penali contro il pubblico ufficiale che, intenzionalmente, abusi delle proprie funzioni o posizione, compiendo o omettendo atti contrari alla legge per ottenere vantaggi indebiti per sé o per altri. Questa disposizione richiama la definizione di abuso di ufficio presente nell’abrogato art. 323 del codice penale italiano e stabilisce un obbligo minimo per gli Stati contraenti, in linea con gli obiettivi della Convenzione. La portata di tale obbligo è ulteriormente chiarita dalla Legislative Guide redatta dall’UNODC, che rappresenta un’interpretazione autentica della Convenzione, sottolineando come la penalizzazione dell’abuso di funzioni debba essere conforme agli scopi di tutela del trattato.
L’abrogazione dell’abuso d’ufficio “ha violato questo specifico obbligo in quanto non è stata ‘compensata’ dall’adozione di meccanismi preventivi e repressivi, penali o amministrativi” contro gli abusi “degli agenti pubblici ai danni dei cittadini”.
In altri termini non sono state prese le misure necessarie per colmare il vuoto normativo al fine di proteggere i cittadini dagli abusi dei funzionari pubblici.


Vincenzo Musacchio: abolizione abuso d’ufficio espone a maggiori infiltrazioni mafiose

Non sta accadendo nulla di quando alcuni giuristi avevano già previsto.
Il professore e criminologo forense Vincenzo Musacchio già due anni fa a Rai Radio Tre e in un intervento all’Università di Roma ‘Tor Vergata’ aveva spiegato che “l’abolizione del delitto di cui all’art. 323 del codice penale andrebbe ponderata con estrema cautela, valutando due fattori essenziali: il primo, riguarda la violazione di norme internazionali, il secondo, il reale rischio di riacutizzazione applicativa di alcune condotte criminose”. “Credo che il cd ‘liberi tutti’ non sia mai una scelta condivisibile, in special modo quando questo significa abbassamento del relativo livello di buon andamento ed efficienza della p.a. sancito dall’art. 97 della Costituzione”. “La famosa paura da firma da parte di amministratori e funzionari pubblici non può da sola essere sufficiente per giustificare un’abrogazione normativa (a mio avviso illegittima) evitando così di generare quelle politiche di verifiche e controlli da mettere in campo per garantire proprio il buon andamento della pubblica amministrazione“.
In merito al secondo fattore esplicitato, occorre riferirsi in primis alla corruzione e alle infiltrazioni mafiose che affliggono la pubblica amministrazione italiana. In questo frangente in Italia mancano i filtri delle verifiche e dei controlli. Manca la prevenzione”. Abrogare in toto il delitto di abuso d’ufficio – che è bene ricordare esiste quasi tutti gli altri Paesi europei – esporrebbe l’Italia “al rischio di maggiori infiltrazioni mafiose e corruzioni proprio nel momento in cui la Nazione si appresta a utilizzare i fondi del Pnrr”. “La fattispecie incriminatrice è da affinare nei suoi aspetti descrittivi e normativi ma a mio parere non è assolutamente da abrogare“.

Foto © Imagoeconomica

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