A Mosca è più no che sì, ma con cautela. La trattativa è aperta

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A Mosca il discorso pubblico ruota attorno alle uniche parole che il segretario di stato americano, Marco Rubio, ha pronunciato in Arabia Saudita al termine del vertice con gli ucraini: «La palla adesso è nel campo della Russia». La palla sarebbe la decisione su una tregua militare di trenta giorni, secondo i termini stesi nella proposta di Jeddah. Il perimetro del campo pare ancora estremamente ampio. Al Cremlino continuano a seguire, come avviene dall’inizio dei colloqui, la linea della cautela. «Non bisogna correre troppo», ha detto il portavoce di Vladimir Putin.

NELLA CERCHIA del presidente prevale al momento il partito del “no” alla proposta americana. Le ragioni sono soprattutto di ordine militare. Abbassare le armi significherebbe perdere l’iniziativa nel Donbass e rinunciare alla controffensiva nella regione di Kursk, e permetterebbe agli ucraini di riorganizzare truppe sfiancate da mesi di pesanti operazioni difensive. Senza contare il nuovo via libera da Washington alla consegna di aiuti e allo scambio di intelligence con il governo di Kiev. Dal momento che la guerra occupa oramai una parte significativa degli affari russi, è normale che il partito abbia grande ascolto al Cremlino. Putin in persona ha visitato proprio ieri un centro di comando nella regione di Kursk. È la prima volta dall’inizio dei combattimenti, sette mesi fa. Il viaggio dimostra sul piano della sicurezza che i russi stanno effettivamente riguadagnando il controllo della provincia, come i rapporti del ministero della Difesa dicono da giorni, e mostrano su quello politico l’interesse del presidente per gli sviluppi militari in questo settore.

RIPRENDERE IL DISTRETTO di Kursk significa sottrarre agli ucraini una delle ultime leve negoziali a loro disposizione. Le stime più ottimistiche dei blogger militari parlano di 24/48 ore la spinta finale. «Gli accordi reali li stiamo stabilendo al fronte», ha scritto ieri sul suo canale Telegram Kostantin Kosachev, presidente della commissione Affari internazionali del senato russo.

Ma il partito della guerra non è il solo a muoversi al Cremlino. Nei loro ragionamenti i russi valutano anche le aperture sul piano economico discusse nei due incontri preliminari con gli inviati americani a Riyad e Istanbul. Si parla di fine per determinate sanzioni, di collaborazione in maxi progetti nel settore petrolifero, di produzione di alluminio ed estrazione di terre rare, temi cui lo stesso Putin ha parlato pubblicamente, ma anche il ritorno dei voli diretti con gli Stati Uniti. Il capo della Casa Bianca, Donald Trump ha agitato ieri la minaccia di «sanzioni devastanti» nel caso in cui i russi respingano la tregua. È chiaro a tutti che il dato economico fa parte del negoziato. Anche il leader ucraino, Volodymyr Zelensky, ha insistito sul punto: «Sappiamo di poter contare su passi decisi degli americani nei confronti della Russia. Non scenderò in dettagli, ma si tratta di sanzioni che ci avvantaggerebbero». Le prossime ore saranno decisive per capire quali siano le condizioni elaborate al vertice di Jeddah. «Spero nel cessate il fuoco in tempi brevi e spero che Putin lo accetti», il commento di Trump.

I COLLOQUI SONO IN CORSO. Un gruppo di mediatori americani dovrebbe avere già raggiunto Mosca. Nei prossimi giorni seguirà il viaggio dell’inviato speciale della Casa Bianca, Steve Witkoff. Possibile anche un contatto telefonico fra Putin e Trump. Negli incontri i russi presenteranno con ogni probabilità le loro di richieste.

Il campo, come detto, è ancora estremamente ampio. Comprende lo stop agli armamenti all’Ucraina. Un primo riconoscimento della situazione sul terreno. Persino una road map per le elezioni Ucraina. Tutte ipotesi al centro a Mosca del dibattito fra i commentatori politici. Che non mancano mai di ricordare un dettaglio importante. Per la Russia ha poco senso discutere soltanto di Ucraina. Il conflitto è legato al grande tema della sicurezza in Europa e non può essere risolto al di fuori di un’intesa generale. In questo senso va letto il duro attacco di Lavrov, che in un’intervista ai tre blogger Usa Mario Naufal, Larry Johnson e Andrew Napolitano, ripresa dalla Tass, ha parlato di una «Führer Ursula» che per riarmare l’Europa «sta mobilitando tutti».



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