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Granchio blu e rapana venosa, due specie aliene e invasive che stanno modificando profondamente l’ecosistema del mar Adriatico, erano ingredienti pressoché sconosciuti, prima che la cheffe veronese Chiara Pavan li introducesse in uno skill test durante la scorsa edizione di MasterChef Italia. La loro presenza in cucina non è solo una scelta gastronomica, ma un vero e proprio atto di sostenibilità. Chiara Pavan, con Francesco Brutto, è alla guida del ristorante Venissa di Mazzorbo, dove propongono un’esperienza di cucina ambientale e dove ogni scelta, dalla selezione degli ingredienti alla loro lavorazione, è guidata dal rispetto per l’ecosistema circostante. Proprio per questa attenzione, MasterChef ha deciso di coinvolgere nuovamente cheffe Pavan per la 14^ edizione del programma, affidandole un ruolo speciale: affiancare i giudici nella fase di selezione, supervisionando gli aspiranti chef nell’ordine, nella pulizia e nella riduzione degli sprechi. Il suo contributo ha trasmesso un messaggio chiaro: la cucina del futuro deve essere responsabile, etica e capace di adattarsi alle sfide ambientali, trasformandole in opportunità creative.
Cheffe, com’è andata questa seconda esperienza televisiva?
Direi molto bene. Mi hanno contattata perché il programma voleva introdurre in maniera più consistente il tema della sostenibilità e, per farlo, hanno pensato a un ruolo su misura per me.
Si è piaciuta?
Sì, anche se sono apparsa più severa di quanto sia normalmente. Nella mia cucina non sono un rigido controllore, faccio molto altro. Era un ruolo, ed è andata bene così.
E i tre giudici?
Adorabili, davvero. Ci siamo divertiti tantissimo insieme.
MasterChef è una finestra ridotta sulla realtà, ma ciò che ha visto le fa pensare ci sia consapevolezza circa gli sprechi alimentari?
In trasmissione alcuni erano più attenti, altri meno, ma si tratta di percentuali irrisorie. I dati ufficiali parlano chiaro: la quantità di cibo sprecato nelle case è aumentata rispetto all’anno scorso; quindi, la situazione non sta andando benissimo. (Pavan fa riferimento ai dati dell’Osservatorio Waste Watcher International, ndr).
Come si inverte questa tendenza?
Con l’educazione alimentare nelle scuole, facendo crescere generazioni con nuove abitudini e maggiore consapevolezza. Questa, però, è una scelta politica.
Nei ristoranti che percezione c’è su questi temi?
È una tematica molto più sentita, anche perché nella ristorazione esistono strumenti per controllare meglio lo spreco alimentare. Uno di questi è il food cost: l’economia di un ristorante deve quadrare e se c’è troppo spreco non torna. Lo spreco può avvenire se le porzioni sono troppo abbondanti ed è per questo che ora si incentiva la doggy bag. All’interno della cucina, invece, lo scarto alimentare è limitato, soprattutto nell’alta ristorazione.
Per seguire la sua idea di cucina ha dovuto fare compromessi tra gusto e sostenibilità?
A livello di gusto, sia io che Francesco ci riteniamo molto soddisfatti: secondo noi i piatti sono buoni e la gente che viene a mangiare è contenta. L’obiettivo primario era riuscire a usare ingredienti particolari ottenendo comunque un risultato gustoso. Non è facile, soprattutto quando si tratta di eliminare alcuni tipi di pesce o prodotti considerati di eccellenza nell’alta cucina. A volte sì, cucinare solo verdure o comunque quattro specie di pesce è limitante, questo è innegabile.
Come si supera questo limite?
Con molta motivazione, tecnica e creatività. E ci si diverte ugualmente.
Più sottraggo ingredienti più lo sforzo creativo aumenta.
Beh, il mondo vegetale è molto ampio, in realtà, ma è vero che lavoriamo molto di creatività e meno di prodotto. È facile servire una bella proteina animale, ma se pensiamo, ad esempio, a un piatto di sola zucca, lì si lavora sulla creatività, perché bisogna comunque ottenere qualcosa che stupisca. Qui entrano in gioco le combinazioni di ingredienti.
Mi fa un esempio?
Torno all’esempio della zucca. A un certo punto ci siamo resi conto che, unendo il melone lattofermentato dell’estate con la zucca cruda, sia sfogliata che in succo, si otteneva un fortissimo sapore di frutta tropicale. Abbiamo poi costruito un piatto su questa combinazione, giocando su affinità di colori, acidità e consistenze.
A lavorare con prodotti da laboratorio ci ha mai pensato? Potrebbero entrare nella sua cucina?
Sì, non sono contraria. Per ora parliamo solo di ipotesi, però sono curiosa e l’argomento mi interessa.
Sempre pensando al futuro, qualcosa che le piacerebbe realizzare nei prossimi anni?
A me piacerebbe aprire un ristorante completamente vegetariano. Ci penseremo.
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