FdI si astiene su Kiev, centrodestra diviso. Stop al testo anti-Musk

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In ordine sparso. È la fotografia del voto della maggioranza in Aula a Strasburgo su difesa e Ucraina. Due le risoluzioni all’ordine del giorno. Sul testo su ReArm – il piano di 800 miliardi targato Ursula von der Leyen – va in scena la drammatica spaccatura del Pd, con Elly Schlein messa in minoranza dai suoi. «Ma se l’opposizione non sta bene, il governo manco scherza», il commento che rimbalza nei conciliaboli tra Montecitorio e Palazzo Madama, gli occhi puntati sull’emiciclo di Strasburgo. Perché sul testo sulla difesa Fdi e Fi votano a favore e Lega contro, mentre sulla risoluzione a sostegno dell’Ucraina il partito di Giorgia Meloni si astiene, Fi dà disco verde e dalla Lega – manco a dirlo – arriva il pollice verso. La novità che spariglia, nell’aria già alla vigilia del voto, l’astensione del partito della premier alla risoluzione su Kiev. Invisa ai Fratelli d’Italia perché «infarcita di ideologia contro gli States e l’amministrazione Trump», accusa il capodelegazione Carlo Fidanza: «Non era più una risoluzione pro-Kiev». A dar man forte ai dubbi degli europarlamentari di Fdi la tregua di Gedda, ovvero l’intesa tra Kiev e Usa su uno stop alle armi di 30 giorni. Per il partito di via della Scrofa, a maggior ragione, il testo diventa invotabile. Dire no, però, suonerebbe come uno schiaffo all’Ucraina, così si fa largo di ora in ora la strada dell’astensione. Si aspetta fino a tarda sera una telefonata di Giorgia Meloni per sancire la linea delle braccia incrociate. La chiamata, in ore intense per la presidente del Consiglio, arriva solo nella mattinata di ieri.

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I tentativi di Fdi

Fdi decide di chiedere più tempo, cioè di rinviare di un mese il voto sulla risoluzione, anche alla luce delle novità emerse in Arabia Saudita. Niente da fare, si va avanti col voto. Così prova a far passare un emendamento, a prima firma Fidanza, che strizza l’occhio agli Usa e torna a chiedere un tavolo Ue-States sul conflitto per rinsaldare l’alleanza transatlantica messa a dura prova dai negoziati orfani dell’Europa. E ancora rien à faire. Meloni da Roma puntella la posizione dei suoi con un messaggio Whatsapp: astensione. «No al muro contro muro, gli Usa si tengono a bordo», torna a ribadire. Ma se la linea era chiara già alla vigilia, per qualche ora balla anche il voto favorevole di Fdi all’altra risoluzione, quella su ReArm. A farlo sbandare è un emendamento presentato dagli svedesi del gruppo Left , in cui si «condanna la decisione del governo italiano di negoziare con SpaceX», una delle aziende di Elon Musk, tra le potenziali committenti di un sistema di sicurezza delle telecomunicazioni italiane. «Se passa, la risoluzione non la votiamo», il messaggio che rimbalza tra le file di Fdi a Strarburgo. La proposta della sinistra però viene cassata con 176 favorevoli e 456 contrari. Fdi può dare disco verde al piano Vdl.

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La risoluzione

Superato un mercoledì di fuoco, ora tocca pensare alla risoluzione di maggioranza sulle comunicazioni di Meloni in vista del Consiglio europeo del 21-22 marzo. A Bruxelles la premier arriverà il giorno prima, ad attenderla una cena “di squadra” con i suoi europarlamentari. Intanto lunedì il ministro Luca Ciriani vedrà i capigruppo di maggioranza per trovare una sintesi, ma è davvero difficile arrivare a dama. A rendere complesso il quadro è soprattutto la posizione della Lega, con Meloni già pronta a un nuovo vertice con i suoi due vice per trovare la quadra. «Sicuramente si troverà, come sempre», la convinzione che si respira a Palazzo Chigi. Dove si smentiscono seccamente i rumors di una nuova telefonata Trump-Meloni: «Non c’è stata nessuna chiamata. Basta con queste elucubrazioni», tagliano corto dallo staff della premier. Che intanto a Palazzo Chigi riceve il primo ministro dei Paesi Bassi Dick Schoof. Piatto forte dell’incontro, la difesa e la guerra in Ucraina all’indomani dei passi in avanti compiuti in Arabia Saudita. Ma anche il vertice Nato in programma all’Aia il 24 e 25 giugno, lì dove si alzerà l’asticella delle spese in Difesa sul Pil, portandole dall’attuale 2% al 3,5-3,6%. Un bel grattacapo per Meloni, nonostante i passi in avanti compiuti in Europa grazie a ReArm. E mentre da Parigi il ministro Guido Crosetto invita l’Europa a «prendere atto del fatto che deve cominciare a difendersi», il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti mette in chiaro: «il finanziamento della difesa non potrà avvenire a scapito di settori fondamentali come sanità e servizi pubblici». Già, altro che i guai sulla risoluzione.

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