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Volodymyr Zelensky ha accettato la tregua di 30 giorni proposta dagli Stati Uniti. Nonostante i NoPax – ovvero sinistra e globalisti, che poi sono la stessa cosa – abbiano provato in tutti i modi a impedirglielo, quel cattivone guerrafondaio di Trump sta riuscendo a chiudere il conflitto tra Ucraina e Russia.
The Donald ha dettato nuove regole del gioco e, dopo settimane di tensione con Washington, Zelensky ha dovuto prendere atto della realtà: il sostegno americano non è più incondizionato, la strategia della resistenza a oltranza non è più un’opzione praticabile.
Nessun leader può permettersi di ignorare i cambiamenti geopolitici e, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, le priorità degli Stati Uniti sono cambiate. La strategia di Biden, basata su un sostegno illimitato a Kiev e su un’escalation controllata del conflitto, è stata archiviata. Al suo posto, una diplomazia pragmatica che punta a chiudere la guerra alle condizioni migliori per l’America.
Zelensky, che fino a ieri rifiutava ogni ipotesi di negoziato, si è trovato davanti a un bivio: continuare a insistere su una guerra senza sbocco o accettare la nuova linea americana. Ha scelto la seconda opzione. E il fatto che oggi dichiari soddisfatto che «gli USA capiscono le nostre argomentazioni» è la prova di quanto rapidamente abbia dovuto riformulare la propria posizione.
Perché è chiaro che sono stati gli Stati Uniti a far capire a Zelensky che la narrativa della resistenza ad oltranza non era più sostenibile, non il contrario. Il cessate il fuoco di 30 giorni è solo un primo passo, ma il segnale politico è forte: ora la palla passa alla Russia. Sarà Putin a dover decidere se accettare il piano americano o rischiare di rimanere isolato mentre l’Occidente riallinea le proprie strategie.
Mentre il quadro internazionale evolve, l’Italia si conferma un interlocutore affidabile nel nuovo assetto geopolitico. Giorgia Meloni ha immediatamente espresso il suo sostegno all’accordo e agli sforzi di Trump per arrivare a una «pace giusta». Ed è significativo che l’Italia si sia distinta per una posizione chiara e pragmatica, in netto contrasto con le ambiguità di altri leader europei, come Macron, che fino a pochi giorni fa parlava di inviare truppe occidentali in Ucraina.
Mentre a Parigi si alimentavano scenari da escalation, Roma ha scelto la strada del realismo: niente illusioni su soluzioni militari impossibili, ma un sostegno concreto a un processo di pace credibile. Questa è leadership: saper leggere il contesto, riconoscere quando è il momento di cambiare strategia e non restare aggrappati a posizioni ideologiche prive di sbocchi.
Trump non ha soltanto imposto una svolta nella guerra in Ucraina, ma ha anche agito da sprone affinché l’Europa prendesse atto di una realtà che per troppo tempo è stata ignorata: l’idea dei padri fondatori dell’Unione Europea sulla difesa comune non può più restare sulla carta. Per l’esercito comune il percorso è ancora lungo, ma il piano di difesa Europe rappresenta già un primo passo concreto nella giusta direzione.
E su questo punto Giorgia Meloni si è sempre esposta con grande chiarezza, basti pensare che nel 2022 Fratelli d’Italia chiese e ottenne di inserire nel programma elettorale del centrodestra il raggiungimento del 2% del Pil in spesa militare. Il rafforzamento delle capacità difensive europee non è più solo un tema di dibattito, ma una necessità strategica che sta finalmente trovando applicazione.
Sul fronte opposto, le contorsioni della sinistra vanno ben oltre il ridicolo. Gli stessi che per anni hanno ripetuto che «l’Europa deve contare di più» oggi si trovano in imbarazzo davanti al fatto che il nuovo asse Trump-Meloni sta facendo esattamente quello che loro predicavano a parole ma sabotavano nei fatti.
La tregua ottenuta a Gedda segna la fine di un’illusione: l’illusione che il conflitto in Ucraina potesse continuare all’infinito senza conseguenze. Per tre anni, i “democratici” e i loro alleati europei hanno venduto la guerra come un’urgenza esistenziale, un test di fedeltà all’Occidente.
Ma la verità è che hanno usato il conflitto per consolidare il proprio potere, per giustificare spese folli, per avere un pretesto con cui silenziare chiunque chiedesse semplicemente un dibattito razionale.
Perché se c’è una cosa che i “democratici” hanno dimostrato negli ultimi anni, è che hanno bisogno della paura per governare. La pandemia, la guerra, il cambiamento climatico, il Green, la “disinformazione”, la minaccia dei “fascisti”… una narrativa costruita per tenere le persone in uno stato di emergenza perenne, così da legittimare misure sempre più invasive e un accentramento di potere che, altrimenti, sarebbe inaccettabile
Ora il vento è cambiato. Trump ha imposto una svolta, Zelensky ha dovuto adeguarsi, e anche in Europa si inizia a prendere atto che la pace non è più un tabù (pazzesco anche solo doverlo scrivere, ma tant’è).
La domanda ora è: quanto tempo ci metteranno i NoPax a trovare una nuova emergenza con cui sostituire la guerra?
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