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Il Tar Lazio chiarisce quando il regolamento d’igiene comunale può imporre distanze precise tra impianti da rinnovabili e centri abitati ed edifici a carattere pubblico. Ecco il caso!
In un’epoca in cui la transizione energetica è al centro del dibattito e le fonti rinnovabili rappresentano una chiave per il futuro, la realizzazione di impianti eco-compatibili si scontra spesso con resistenze locali e interpretazioni restrittive delle normative. Cosa succede quando un’azienda si vede negato il permesso di costruire un impianto “green” a causa di un regolamento comunale? La battaglia legale è inevitabile e il verdetto del giudice amministrativo può ridisegnare i confini tra sviluppo sostenibile e poteri locali.
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Una società agricola presentava un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio contro l’amministrazione comunale. Il ricorso era volto all’annullamento di diversi atti, tra cui:
- la nota del Comune che comunicava la conclusione negativa della conferenza di servizi decisoria relativa all’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio di un nuovo impianto di biogas;
- i pareri endoprocedimentali ostativi rilasciati durante la conferenza di servizi;
- l’articolo del regolamento d’igiene comunale che imponeva determinate distanze di tali impianti dai centri abitati.
Nello specifico, l’azienda ricorrente presentava diversi motivi a sostegno del ricorso, tra cui:
- violazione degli artt. 3, 10 bis e 14 bis, comma 5, L. 241/90: il Comune, dopo aver ricevuto le osservazioni dell’azienda al preavviso di diniego e averle trasmesse alle altre amministrazioni coinvolte, avrebbe adottato la determinazione finale di diniego senza confutarle, limitandosi a confermare il preavviso;
- illegittimità del regolamento di igiene: tale regolamento avrebbe imposto distanze minime tra centri abitati e impianti termoelettrici (inclusi quelli a biomassa e biogas) in violazione della L.R., dell’art. 12 D. Lgs. 387/2003 e del Decreto del MISE del 10.9.2010, che invece favoriscono la massima diffusione di impianti di produzione di energie rinnovabili.
Il Comune contestava le argomentazioni del ricorrente sollevando un’eccezione di inammissibilità riguardo all’impugnazione del regolamento d’igiene. Mentre la Regione (che non aveva emanato restrizioni in merito alle suddette distanze), pur essendo stata informata, sceglieva di non costituirsi in giudizio.
Tar Lazio: i comuni non possono introdurre arbitrariamente restrizioni in merito alle distanze tra impianti da rinnovabili e centri abitati, tutt’al più a loro è demandata l’individuazione di aree idonee
Il Tar ha accolto il ricorso per due motivi principali, legati sia alla legittimità del regolamento comunale che a questioni procedurali:
- Illegittimità del regolamento comunale (perché il Tar ha ritenuto queste distanze tra impianti da rinnovabili e centri abitati illegittime?)
Il Comune aveva introdotto, con l’articolo specifico contestato del regolamento d’igiene, distanze minime obbligatorie:- 1.000 metri da edifici residenziali singoli;
- 2.000 metri da centri abitati o strutture di pubblico servizio.
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- Violazione della normativa superiore
Il Tar ha rilevato che la legge regionale L.R. 16/2011 e il D.Lgs. 387/2003 (attuativo delle direttive UE sulle energie rinnovabili) non prevedono distanze minime. Al contrario, promuovono la diffusione degli impianti a biogas come strategia per la transizione ecologica, demandando ai Comuni solo l’individuazione di aree idonee, non l’imposizione di vincoli restrittivi; - Contrasto con i principi costituzionali e comunitari
La sentenza della Corte Costituzionale n. 69/2018 ha già censurato leggi regionali (es. Veneto) che imponevano distanze minime, ritenendole ostacolo illegittimo alle energie rinnovabili. Il Tar ha applicato questo principio al regolamento di Fiumicino, giudicandolo analogamente sproporzionato e contrario agli obiettivi UE;
- Violazione della normativa superiore
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- Natura “preliminare” del regolamento e tempestività dell’impugnazione
Il Comune eccepiva che l’azienda agricola avrebbe dovuto impugnare l’articolo contestato subito dopo la pubblicazione del regolamento, non dopo il diniego. Il Tar ha respinto questa tesi, distinguendo:- regolamenti “volizione-preliminare”: sono atti generali ed astratti (come l’art. discusso) che non producono effetti immediati su soggetti specifici. Possono essere impugnati solo insieme al provvedimento applicativo, come nel caso in esame;
- interesse a ricorrere: l’azienda ricorrente non aveva interesse ad agire prima del diniego al progetto, poiché al momento dell’adozione del regolamento non era ancora titolare del progetto stesso. L’interesse è sorto solo con il diniego concreto, legato all’applicazione dell’art. oggetto di discussione.
- Vizi procedurali non invalidanti
Il Tar ha riconosciuto alcune violazioni procedurali (es. omissione di riscontro alle osservazioni dell’azienda), ma le ha ritenute non decisive perché:- attività vincolata del Comune: l’articolo contestato imponeva al Comune un obbligo automatico di diniego se le distanze non erano rispettate. Anche se il procedimento fosse stato condotto correttamente, l’esito non sarebbe cambiato;
- principio di strumentalità delle forme: le formalità procedurali sono funzionali alla sostanza del provvedimento. Poiché il diniego era obbligatorio per legge, eventuali errori formali non ne inficiavano la legittimità (art. 21-octies L. 241/1990).
Perché allora il Tar ha accolto il ricorso?
Nonostante i vizi procedurali fossero irrilevanti, il Tar ha annullato il diniego perché l’articolo in questione del regolamento d’igiene stesso era illegittimo. In altre parole:
- il Comune ha applicato correttamente il suo regolamento, ma il regolamento violava norme superiori;
- di conseguenza, il diniego basato su un atto illegittimo non poteva essere mantenuto.
Conclusioni
Il Tar ha operato un doppio controllo:
- sulla legittimità del regolamento: l’articolo è stato disapplicato perché contrastante con leggi statali/regionali e con i principi UE sulle rinnovabili;
- sul procedimento amministrativo: pur con criticità, il diniego era formalmente corretto, ma è caduto perché fondato su un regolamento invalido.
Del resto, la normativa primaria demandava ai Comuni il potere non di fissare le predette distanze, bensì di individuare le aree idonee a localizzare gli impianti di energia rinnovabile, cosicché il regolamento di igiene, approvato dal Comune di **** con delibera del Consiglio comunale **** (doc. 7 indice di parte ricorrente), limitatamente all’art. 94, nella parte in cui stabilisce limiti e distanze tra i centri abitati e gli impianti di energia rinnovabili, deve ritenersi illegittimo e, per l’effetto, deve essere annullato.
Questo caso conferma che i Comuni non possono introdurre limiti aggiuntivi non previsti dalla legge per gli impianti di energia rinnovabile, salvo specifiche deleghe legislative.
Per maggiore approfondimento, leggi “Quali sono gli impianti di energia rinnovabile“
Indirizzo articolo: https://biblus.acca.it/notizie/impianti-da-rinnovabili-il-comune-puo-imporre-distanze-minime-dai-centri-abitati/
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