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‘Liberi dal pensiero unico’ di Maurizio Pallante, ossia l’idea che la spiritualità possa salvarci

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#finsubito


E se alla fine, non parlo della religione e delle gerarchie ecclesiastiche, fatta eccezione per Papa Francesco, che si è espresso chiaramente contro il turbo-capitalismo e il materialismo, se alla fine il peggior nemico della Chiesa – fosse la spiritualità, fosse lei a salvare il genere umano? Maurizio Pallante, eretico e irregolare della cultura, avanza l’idea in Liberi dal pensiero unico. La rivoluzione culturale della spiritualità (Lindau). Materialismo e turbocapitalismo stanno annichilendo l’uomo e la natura, dice, gettando milioni di persone nella sofferenza e nell’ingiustizia, stanno portando il pianeta alla catastrofe. La via di uscita per combattere un sistema di valori profondamente sbagliato è la spiritualità, necessaria all’essere umano. Da non confondere con la fede, che non è da tutti; però non c’è fede, senza spiritualità.

Liberi dal pensiero unico è un libro stimolante, come ad esempio “Sono io che non capisco” sul circo dell’arte contemporanea. Pallante fondò nel 2007 il Movimento per la decrescita felice ed è stato tra i fondatori dell’associazione Sostenibilità, Equità, Solidarietà. Ora riflette sull’impero e le devianze del “pensiero unico”, sulla fine delle democrazie e sulla carestia di umano. Pensatori come il sudcoreano Byung-Chul Han e lo storico Emmanuel Todd (“La sconfitta dell’Occidente”) lo sottolineano. E ben altri prima di loro avevano capito, sotto i primi colpi dell’industrializzazione e del positivismo: Leopardi e Baudelaire, ad esempio, travolti dallo spleen e dalla “noia”. Come molti artisti esaltarono l’anelito verso l’infinito, il bisogno di mistero e di trascendenza.

Tante voci si sono levate nel Novecento: psicanalisi, cinema, letteratura e arte. Per non parlare degli antagonisti e “resistenti” in campo economico, filosofico e ambientalista. Pochi esempi sparsi: Erich Fromm (Avere o essere?), Pasolini negli Anni Settanta: “Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi”. Il regista John Carpenter: in “Essi vivono” mette in scena gli zombies passeggiano col carrello pieno al supermercato. Più recentemente, si legga Naomi Klein (No logo), o Judith Levine (Io non compro).

Boomer e reduci del ’68 avevano visto arrivare il “nuovo ordine mondiale”, per dirla alla Tom Joad di Bruce Springsteen, ovvero l’”edonismo reaganiano”. Ora il pamphlet di Pallante rilancia: il benessere non significa “avere molto” o “possedere”. “Star bene” è qualcosa che va ben oltre i beni materiali. La vita non può ridursi a disimpegno e shopping compulsivo, pena il collasso della psiche umana e dell’ambiente naturale.

L’economia ecologica, le tecnologie e la medicina non sono sufficienti, il senso della vita non è possedere cose, trasformando il denaro da mezzo di scambio a scopo ultimo. Il materialismo fa leva sulla nostra emotività: siamo molto meno razionali di quanto ci piace pensare. Il consumismo offre solo l’inganno della felicità: la gente ha anche bisogno di arte, emozioni, bellezza. Etica e bellezza sono inscindibili, ricorda lo psicanalista Luigi Zoja.

L’elogio della spiritualità, sottolinea Pallante, non è un’apologia della povertà o del pauperismo, ma un tentativo di combattere l’insoddisfazione permanente insita nelle società occidentali. Consumismo e mercato hanno bisogno di infelici, frustrati e insoddisfatti (riecheggia l’immenso Rino Gaetano), che tentano di colmare il vuoto interiore riempiendosi di oggetti. Non produrre di meno, ma produrre meglio. Il Pil, il famigerato “totem” del Prodotto interno lordo, pretende di misurare il benessere di una nazione ma mercifica tutto, dà un valore esistenziale alla vendita di beni e servizi. “Sviluppo” non significa “progresso”. Domanda e produzione non possono crescere indefinitamente, come l’over tourism, per dire. Quante persone soffrono e si indebitano, invidiando chi compra in abbondanza? È una metastasi di desideri infinita, che porta all’infelicità. Paradossale, per una società che ricerca la felicità a tutti i costi.

Bisogna dunque riportare al centro la spiritualità, la gratuità, il dono del tempo, l’attenzione. Concedersi il lusso di rispondere a una mail o un sms, ad esempio, cosa che pochi si permettono ormai perché i “professionisti dell’amicizia” sorridono solo a chi può esser loro utile. Tra le parole-chiave citate da Pallante c’è il dono: “munus”, in latino, è creare un legame, aspettarsi una restituzione. “Bonum” è il dono fatto per amore, che non si aspetta nulla: quello di don Milani, che dedicò la vita ai ragazzi del Mugello, scartati da tutti. Banalmente, la felicità si crea dando più importanza alle persone che al denaro o alle cose, alla “roba”. Semplice buon senso, merce rara.

Il pensiero “mainstream” dice: “Shopping and business is life”. Non è vero. Si consuma tutto: merci e beni, persone e sentimenti. Pornografia – l’ho scritto nel libro Terre alte riflessione sulla natura e la montagna – deriva dal greco “pernemi”, che significa “vendere”.

Non è un discorso per anime belle, ma per spiriti liberi, indignati, combattenti della politica, uomini “verticali” che restano a testa alta. Anche perché il livello della mota, tra guerre e razzismo, sta raggiungendo l’altezza del naso.



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