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REGGIO EMILIA – Si è tenuta questa mattina presso la Questura di Reggio Emilia la conferenza stampa che ha delineato e approfondito l’Operazione Ten, eseguita dalle prime ore di questa mattina nei confronti di un altro clan ‘ndranghetista ben radicato nel territorio emiliano, quello degli Arabia. Alla conferenza erano presenti il questore di Reggio Emilia, dott. Giuseppe Maggese, il Procuratore della Repubblica di Bologna facente funzioni, Dott. Francesco Caleca, il Sostituto Procuratore della Repubblica, Dott.ssa Beatrice Ronchi, il Comandante Provinciale della Guardia di Finanza, Ivan Bixio, il commissario capo dirigente della Squadra Mobile di Reggio Emilia, dott. Andrea Napoli, e il tenente colonnello Maria Concetta Di Domenica, del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Emilia.
Il blitz, condotto dalla Polizia di Stato – Squadra Mobile della Questura di Reggio Emilia, con l’ausilio del Servizio Centrale Operativo e della Squadra Mobile di Bologna e Crotone – unitamente ai militari della Guardia di Finanza reggiana, ha portato all’emissione di provvedimenti restrittivi contro esponenti del gruppo mafioso Arabia, organizzazione caratterizzata dalla disponibilità di armi e attività criminali quali estorsioni, truffe e ricettazione di beni rubati, commessi per agevolare l’attività dell’associazione mafiosa. Il capo del gruppo, già condannato per associazione mafiosa e legato a una faida che portò all’uccisione del fratello nel 2003 a Cutro, esercitava il controllo con metodi violenti e intimidatori. L’inchiesta ha rivelato una rete di frodi fiscali per oltre 1,8 milioni di euro, orchestrata mediante l’emissione di fatture false da parte di 12 società coinvolte, generando un profitto illecito pari a circa 326.000 euro.
“Esprimo la mia soddisfazione sotto il profilo professionale – ha detto il Questore di Reggio Emilia, dott. Giuseppe Maggese – per il buon esito di questa operazione, che aggiunge un altro tassello al contrasto delle attività mafiose operanti nel territorio Emiliano. Le indagini hanno permesso di dimostrare che il clan agiva utilizzando anche i classici metodi “tradizionali” di stampo mafioso”.
“L’operazione – ha affermato il Procuratore della Repubblica di Bologna facente funzioni, Dott. Francesco Caleca – è stata il risultato di un’attività investigativa complessa e articolata, condotta con grande impegno. Un ringraziamento particolare va alla dottoressa Ronchi per il coordinamento dell’operazione, che ha portato all’esecuzione di cinque misure cautelari. Si tratta di un’operazione sofisticata, che offre spunti di riflessione: l’organizzazione colpita è una realtà ben radicata sul territorio, con un forte richiamo al nucleo familiare. Tre aspetti emergono con chiarezza: le cosche storiche, anche se colpite, riescono a rigenerarsi; le modalità di intimidazione restano invariate rispetto al passato: le vittime subiscono violenze e umiliazioni, come essere costrette a inginocchiarsi e baciare i piedi del boss per aver collaborato con le autorità; l’organizzazione dispone di armi da fuoco e mantiene saldo il legame con la famiglia mafiosa di riferimento. Questi dati sono allarmanti e vanno condannati con fermezza, ma al tempo stesso dimostrano che l’impegno delle forze dell’ordine è costante e instancabile. L’attenzione su questi fenomeni non è mai venuta meno e continuerà senza sosta”.
“Abbiamo deciso di chiamare questa operazione “Ten” – ha spiegato il Sostituto Procuratore della Repubblica, Dott.ssa Beatrice Ronchi – perché richiama i 10 anni del caso Aemilia, scaturito nel mese di gennaio del 2015. Questo nome sottolinea come una sola operazione non sia sufficiente per contrastare il fenomeno mafioso, e quanto sia importante l’impegno continuo da parte di inquirenti e polizia giudiziaria per comprendere sempre meglio la criminalità organizzata e trovare strumenti efficaci per combatterla. L’indagine Ten contiene un richiamo al passato, ovvero all’epoca della guerra di ‘ndrangheta tra clan calabresi avvenuta nei primi anni 2000. Questa operazione dimostra che da un lato questi gruppi continuano a utilizzare metodi mafiosi “tradizionali” e dall’altro l’interesse sempre maggiore per gli aspetti imprenditoriali. I contrasti tra cosche sono stati messi da parte per perseguire lo scopo delle cosche, ovvero il massimo arricchimento economico. Arricchimento che viene perseguito attraverso importanti operazioni criminali e l’uso del metodo mafioso. Questo aspetto mostra quanto sia importante la collaborazione del cittadino il cui contributo è essenziale per denunciare comportamenti illeciti e aiutare le istituzioni a contrastare la criminalità organizzata”.
“In questa operazione – ha evidenziato il commissario dottor Andrea Napoli, delineando i dati dell’operazione – sono state eseguite 5 misure cautelari in carcere per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso. Le indagini, iniziate nel mese di ottobre del 2018, hanno attenzionato il gruppo ‘nedranghetista emiliano della famiglia Arabia. L’indagine è nata dall’analisi e dalla raccolta di tutte le evidenze investigative presenti nei fascicoli delle varie operazioni condotte in passato. Il soggetto capo del sodalizio era già stato condannato: con questa indagine siamo riusciti a dimostrare che il soggetto non ha smesso di operare durante il periodo di arresto avvenuto dal 2005 al 2014. Dopo la scarcerazione il capo ha costituito un gruppo criminale “para familiare”, caratterizzato, come emerso dalle intercettazioni, dal possesso massiccio di armi. Ribadendo quanto detto dal Questore sull’agire di questa cosca, è emerso che il capo ha attuato, più volte, dei comportamenti “ritorsivi” nei confronti di quei soggetti che non rispettavano la sua autorità. Parliamo di un gruppo criminale che, oltre alla falsa attestazione, non disdegnava il ricorso alle fatture false; una cosca che utilizzava la violenza e l’intimidazione per risolvere le problematiche e condizionare le scelte dei debitori. Le perquisizioni hanno interessato le province Reggio Emilia (presente anche Brescello) Parma e Crotone. Le persone indagate sono tutte italiane e sono comprese anche donne”.
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