Effettua la tua ricerca
More results...
L’AQUILA – La primavera si avvicina e già fioriscono i mandorli, ma è clima di tempesta e di umore nero in Regione Abruzzo: il debito sanitario nella migliore delle ipotesi sarà di 67 milioni di euro, e c’è solo un mese di tempo per ripresentarsi l’11 aprile al Tavolo di monitoraggio del Ministero della Sanità a Roma con coperture certe per azzerare il deficit.
Altrimenti, come già intimato nel Tavolo di monitoraggio di luglio 2024, entro il 15 aprile dovrà essere aumentata l’addizionale regionale dell’Irpef, da 1,73% a 3,33%, che per il centrodestra di Marco Marsilio, di Fdi, e per il centrodestra al suo secondo storico mandato, “nemico delle tasse”, sarebbe una Caporetto politica. Una ipotesi più che concreta, però, visto che i tecnici dell’assessorato al Bilancio sono già lì a dar di conto, su quanto si potrà incassare dall’addizionale Irpef, incrociando le dita che possa bastare.
Escluso invece il rischio di tornare al commissariamento della sanità, da cui l’Abruzzo è uscito a costo di immani sacrifici dopo 10 anni nel 2016, visto che l’automatismo scatterebbe con 12o milioni euro circa di deficit, il 5% dell’importo dei fondi statali dati all’Abruzzo per la sanità.
Le quattro Asl intanto però ancora non presentano il consuntivo con cifre finalmente certe dei piani di rientro, che devono ottenere, come dichiarato, 79 milioni di euro di risparmi, rispetto al tendenziale mostre per il 2024 di 200 milioni, a cui si devono aggiungere poi le risorse della Gestione sanitaria accentrata, la cassa comune della sanità e le maggiori entrate del payback sanitario e il 20 milioni che ci dovrà mettere la regione, che per questa fine ha già ridotto del 30% il budget di tutti i dipartimenti.
Senza conti certi l’assessore regionale alla Salute, Nicoletta Verì, non potrà portare in giunta la delibera dell’atto ricognitivo della gestione sanitaria 2024, da consegnare poi al tavolo di monitoraggio a Roma.
In questo clima di incertezza e tensione, le Asl non hanno ancora nemmeno approvato gli atti aziendali per realizzare concretamente il riordino della rete ospedaliera, approvato a dicembre 2023, che da solo potrebbe portare risparmi strutturali.
Mettiamoci pure che nonostante qualche evidente miglioramento, per molte tipologie di cure irrisolto è il problema delle liste di attesa, e in base ai dati di Gimbe aggiornati al 2022 la mobilità passiva, ovvero l’emigrazione dei pazienti in ospedali di altre regioni, ha raggiunto in Abruzzo livelli record, rendendola una delle regioni “maglia nera”, con un saldo negativo di 104 milioni.
A conferma che la tensione si taglia a fette, come già riferito da Abruzzoweb, martedì pomeriggio a Palazzo dell’Emiciclo, si è scatenata un furibondo litigio tra Marsilio e il presidente del consiglio regionale, Lorenzo Sospiri di forza Italia, con le urla che sentivano anche nel piano inferiore, da quanto si appreso, cin innesco ledifferenti vedute in merito al ripianamento del deficit, tenuto conto che già si fatica a trovare i 20 milioni nel bilancio da destinare a coprire il buco, tagliando per sommo dispiacere dei singoli assessori il budget del 30% a ciascun dipartimento regionale. In una situazione in cui in maggioranza ciascun consigliere e assessore difende con i denti le risorse per le iniziative che stanno a cuore, da cui dipende la credibilità politica e il consenso.
Sulla graticola ci sono in particolare i quattro dg della Asl, Ferdinando Romano all’Aquila, Mauro Palmieri a Chieti, che da inizio marzo ha preso il posto di Thomas Schael, andato a fare il commissario della città della Salute di Torino, Maurizio Di Giosia a Teramo e Vero Michitelli a Pescara.
Si racconta da parte loro un andare e tornare dagli uffici del servizio Bilancio dell’assessorato al bilancio, di cui è dirigente Ebron D’Aristotile, cambiando di volta in volta i numeri a consuntivo dei loro piani di rientro, chiedendo tempo per poter avere contezza del riconoscimento di alcuni crediti, o di debiti in diminuzione. Dopo che con una corsa contro il tempo sono stati costretti a sostituire dove possibile i farmaci con brand con quelli generici, meno costosi, a risparmiare sui bandi gara per affidamenti e acquisti, a liquidare le cooperative esterne e i loro lavoratori assumendo personale, aumentando le cure domiciliari.
Nella consapevolezza, messa nero su bianco, in particolare da Romano e dall’oramai ex dg Schael, che più di tanto non si può fare, essendo il deficit “strutturale”, sempre se si vogliono garantire i servizi essenziali, senza tagliare il personale, già carente (vietato ai dg dalle linee guida della Regione) e chiudere qualcuno dei piccoli ospedali, che per qualcuno sarebbe la soluzione più efficace e definitiva dal punto di vista finanziario, anche se politicamente devastante.
E intanto insomma ci si arrovella sul come trovare i 67 milioni mancanti per evitare in zona Cesarini l’aumento delle tasse.
Una delle ipotesi è quella di attingere alle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, gli Fsc, ma i tecnici spiegano che serve una legge dell0 Stato, ed è improbabile che si possa fare, e comunque la possibilità sarebbe limitata solo alle spese di investimento messe in competenza per l’annualità 2o24 nel comparto della sanità. In ogni caso preziose risorse andrebbero colmare il buco, sottratte ad altre importanti finalità.
Ironia della sorte non si può nemmeno attingere ai tanti vituperati 14,4 milioni di fondi a pioggia approvati a novembre, decisi a discrezione dai consiglieri di centrodestra per piccole opere pubbliche nei comuni, per associazioni, spettacoli ed eventi vari. Per una semplice ragione: sono soldi virtuali, la copertura, è scritto nella norma, avverrà solo se ci saranno “maggiori entrate”, e al tavolo di monitoraggio non ci si potrà certo presentare con un “pagherò”, una sorta di cambiale, perché le coperture dovranno essere certe e documentate.
I più ottimisti nel centrodestra sostengono che in un modo o nell’altro l’aumento delle tasse sarà scongiurato perché appare inverosimile che il governo amico del centrodestra imponga un tale impopolare salasso ad una regione roccaforte di Fratelli d’Italia, dove Alla politiche del 2022 è stata eletta la presidente del consiglio Giorgia Meloni. Aggiungendo che occorre solo tener botta in attesa che scatterà come previsto nell’ultima Finanziaria l’incremento del Fondo sanitario nazionale, a beneficio quota parte anche dell’Abruzzo, per mettere definitivamente in sicurezza i conti della sanità.
Il problema è però che gli altissimi burocrati del Ministero, gelosi dell’autonomia dalla politica e dal governo di turno, devono far rispettare le leggi vigenti e e nel tavolo di monitoraggio di luglio, l’ultimo di cui si posseggono i verbali, hanno detto chiaro e tondo: “La Regione non mostra segni di miglioramento dei conti e dati ora disponibili sembrano confermare lo stato di squilibrio economico osservato nel 2023, non coerenti con gli obiettivi di risanamento previsti dal piano di rientro”, raccomandano pertanto “di affrontare con urgenza ogni misura necessaria per la corretta gestione dell’assistenza sanitaria delle risorse a disposizione”.
Ricordando infine in maniera perentoria “gli automatismi fiscali previsti dalla legislazione vigente in caso di presenza di disavanzi non coperti”, all’esito del quarto trimestre 2024.
Il riferimento è alla legge 191 del 2009 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato) in cui all’articolo 2, comma 86 è scritto: “L’accertato verificarsi, in sede di verifica annuale, del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con conseguente determinazione di un disavanzo sanitario, comporta, (…) l’incremento nelle misure fisse di 0,15 punti percentuali dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive e di 0,30 punti percentuali dell’addizionale all’Irpef rispetto al livello delle aliquote vigenti”.
Tornando ai piani di rientro delle Asl: la commissione congiunta Bilancio, presieduta da Vincenzo D’Incecco capogruppo della Lega, e Sanità, di cui è presidente Paolo Gatti di Fdi, che ha segnato una spaccatura con la Giunta, da parte di un consiglio regionale che non vuole fare da passacarte in una partita così importante e delicata, aveva stabilito che la Giunta regionale avrebbe dovuto “valutare le opportune iniziative”, leggasi commissariamento e tutti a casa, se i quattro manager delle Asl sforeranno del 20% il disavanzo dichiarato nei loro piani di rientro. E per tutti e quattro c’è l’obbligo anche di ridurre nel 2025 almeno al 70% il disavanzo macinato 2024.
Si è poi preso atto “favorevolmente dell’assenza di criticità sul conseguimento degli standard sanitari”, ovvero della garanzia messa nero su bianco dai quattro dg che i piani non incideranno sulla qualità del servizio, concentrandosi nella razionalizzazione della spesa farmaceutica, nell’esternalizzazioni delle forniture, dei vari servizi delle consulenze, senza toccare il personale, ad eccezione dei dipendenti delle coop e società esterne.
Un parere vincolante, e non più solo obbligatorio, quello della commissione congiunta, dopo che è stato approvato a giugno un emendamento su iniziativa dello stesso Gatti e con il forte appoggio del presidente del consiglio regionale Sospiri, contro la posizione espressa in quella sede dall’assessore Nicoletta Verì.
A spezzare una lancia a favore dei dg è stato invece Alessandro Grimaldi, presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia dell’Aquila, segretario regionale del sindacato Anaao, primario del reparto di Malattie infettive dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila e capo dipartimento medicina della Asl provinciale.
“Commissariare i direttori generali se sforano il piano di rientro? Credo che sia un approccio pessimo, uno scaricabarile da parte della politica. I dg più di tanto non possono tagliare, sono già con il freno a mano, e non servirebbe neanche far venire al loro posto Mario Draghi. L’unico, vero problema, è che la sanità anche in Abruzzo è sottofinanziata e il suo deficit è dunque strutturale”, ha affermato Grimaldi.
Aggiungendo inoltre: “con l’emergenza Covid 19 il sistema sanitario ha avuto 20 miliardi in più, ma le Regioni hanno speso 30 miliardi, e ci sono stati comunque importanti investimenti, come quelli per le terapie intensive e semintensive ma il saldo finale dell’emergenza covid era meno 10 miliardi per le regioni. E poi la situazione si è sempre più aggravata, perché nel frattempo è aumentata la popolazione anziana e con essa i costi sanitari e di assistenza. Aumentano fatalmente i giorni di permanenza negli ospedali, e ci dobbiamo mettere anche l’inflazione a due cifre, si pensi solo alle bollette energetiche e farmaci degli ultimi anni che ha fatto schizzare in alto anche i costi del servizio sanitario”.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Download in PDF©
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link