Se vuoi la pace prepara la pace: resta l’unica alternativa alla spirale della guerra

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#finsubito


Ai tempi d’oro, in occasione di ogni grande manifestazione popolare, fosse il Primo Maggio, fosse il 25 Aprile, fossero i cortei sindacali o i comizi di chiusura della campagna elettorale, anche l’Unità scendeva in strada, mostrata con orgoglio, un messaggio in sé di lotta, di contrasto di fronte a certi crimini, di festa pure per celebrare gloriosi anniversari. Si vendevano molte copie in più rispetto a qualsiasi giorno della settimana.

Me ne sono ricordato considerando la dedizione di Repubblica nel “lanciare” il prossimo battagliero sabato romano, che anche per il giornale del gruppo Gedi potrebbe rappresentare molte copie in più, importanti comunque per rimediare un poco ad un lento declino, e per rilanciare il brand in chiave di quel sinistrismo-progressismo, nella moderazione ovviamente e con eleganza, che un tempo era bastato a sottrarre lettori all’organo del Pci, quotidiano e partito che peraltro non esistono più o quasi, da tempo.

Dove ci porta la strada del riarmo?

L’operazione potrebbe sembrare merchandising, ma sarei cinico a pensarlo non fosse altro perché di mezzo c’è la nostra cara vecchia Europa, culla di ogni civiltà, come ci hanno sempre indottrinato gli esperti, come se di civiltà nel corso dei millenni non se ne fossero palesate molte altre, dalla Cina, all’India, dal Messico all’Egitto, tutti paesi (molti altri, ovviamente, se ne potrebbero contare) sui quali la nostra Europa ha cercato, quando ha potuto, di metter mano, qualche volta con successo, altre volte no, armando cannoni e cannoniere.

Ora, seguendo l’illuminato pensiero di Ursula von der Leyen, l’Europa dovrebbe tornare alle armi, minacciata da Putin, abbandonata da Trump. Ottocento miliardi, cifra che un normale individuo non riesce neppure a immaginare, quando, come ci spiegano da giorni gli stessi esperti, già di paese in paese se ne spendono a raffica di miliardi, una montagna di miliardi per bombe di ogni tipo, come l’individuo normale di prima continuerebbe ad aver difficoltà a immaginare.

Probabilmente male ispirato dal pensiero di quei soldi a debito (pagheranno figli e nipoti di chi li ha), non sono ben riuscito a capire il senso della manifestazione: forse per un’Europa più buona, forse per cancellare quella spesa o invece per tenercela tutta, perché, come sostengono alcuni illuminati tribuni, bisogna pur difendersi dalle armate putiniane che premono alle frontiere, poi ci mettiamo un po’ di welfare perché nessuno dica che non abbiamo a cuore i bisogni della gente, intanto alleniamo i nostri soldati a sparare e rinverdiamo il mito della deterrenza e persino il latino della celeberrima locuzione “si vis pacem, para bellum”, una raccomandazione che già alla nascita si era rivelata senza costrutto, una minaccia più che uno spiraglio di luce: la storia infatti si sarebbe avviata verso ben altre direzioni, mostrando tutto il contrario. Chi avrebbe mai potuto credere che il riarmo tedesco ai tempi di Hitler fosse la premessa di tempi sereni: spiegatelo ai cinquanta milioni di morti della seconda guerra mondiale. Non siamo a quel punto, ma viene il sospetto che qualcuno lo creda assai vicino, pronto a gonfiare il petto e a calarsi in testa l’elmetto, il rumore di baionette si sente: anche le sciabole fanno deterrenza, chissà gli altri che cosa agiteranno, da una parte le decine di atomiche di Macron, dall’altra le migliaia di Putin.

L’Europa ha smesso di costruire ponti

Non c’è uno tra i tanto mediocri capi di stato della nostra bella e civilissima Europa che alzi il telefono e provi a convincere il criminale, assassino, pazzo, folle, mostro russo (forse, se si cerca la trattativa, bisognerebbe cominciare a chiamare le persone con il loro nome: Vladimir Putin, capo del governo). O lasciamo l’esclusiva della telefonata a Trump? Fossi a Roma chiederei alla von der Leyen di provarci intanto, prima di buttare tanti soldi dalla finestra (direttamente nelle tasche di tanti felici produttori di fucili e pallottole). In un azzardo (una provocazione?) consiglierei la von der Leyen di convocare un Consiglio d’Europa a Mosca: “costruire ponti” raccomandava Alexander Langer (che fu pure eletto parlamentare europeo). Come immaginare un’Europa più “grande” (grande in senso morale) se non costruendo ponti? Anche con la Russia di Putin…

Qui pare, leggendo i nostri quotidiani, ascoltando le chiacchiere televisive, che i ponti li si voglia demolire. Soffia il vento della belligeranza (quanti tristi ricordi suscita il vocabolo tra chi ha letto un po’ di storia patria) e c’è chi, sinistra o non sinistra, si mette a suo favore, incurante delle conseguenze, un continente in uno stato di conflitto perenne, in un eterno allarme anche prima della guerra, di perdurante crisi economica, di afflizione per i ceti più deboli, di attacchi alla democrazia stessa (democrazia di cui la von der Leyen offre già una interpretazione assai personale: forse anche per lei un dibattito parlamentare vale come una superflua divagazione di fronte alla “urgenza” delle scelte, alla maniera peraltro di svariati altri capi, compresa la nostra Beneamata).

Ma in questo modo svaniscono nel nulla le ragioni stesse dell’Unione europea: il rispetto dei diritti, l’uguaglianza, la solidarietà, l’aspirazione a un benessere diffuso, la costruzione di una cultura, che ambirei più universale che comune.

Sabato a Roma si raduneranno migliaia di persone. Il bello è che a ogni manifestazione ciascuno può in fondo portare le sue idee, a maggior ragione visto che questa mi sembra che alle idee abbia rinunciato (ho cercato invano una “piattaforma”, cioè gli obiettivi, le parole d’ordine, gli slogan). Ieri su Repubblica ho letto di “intenzione civica prima che politica” della piazza romana. Francamente chiedo scusa, ma non capisco che cosa si voglia dire.

Non importa: basterebbe un numero (quello dei partecipanti) per far la sua bella figura. Comunque spero che da quella folla possano levarsi parole che ho poco sentito o non ho mai sentito addirittura, parole come pace, disarmo, incontro e magari come Gaza, sì quella martoriata terra dei palestinesi dimenticata dalla nostra opinione pubblica e persino da quel gran dibattito in corso tra chi ha a cuore le sorti del mondo dopo l’annuncio dell’evento capitolino: cinquantamila morti, migliaia di mutilati, una terra distrutta, cibo e acqua e medicine negati da Netanyahu, mostro, criminale, assassino, ma riverito in ogni luogo si presenti, evidentemente non meritano l’attenzione della nostra Europa.

Foto di Alice Donovan Rouse su Unsplash

In marcia con la stessa bandiera di sempre

Comunque fossi a Roma, non mancherei, non rinuncerei all’emozione di marciare per il riarmo al fianco dei compagni Quartapelle e Guerini,  di Pina Picierno, del prode Calenda, magari di Paolo Mieli (dopo il suo memorabile annuncio: non parteciperò al brindisi dell’ambasciata Usa in via Veneto), avendo fortuna anche di Brancaleone da Norcia, dopo aver marciato tra Perugia e Assisi (solo idealmente per ragioni d’età, non per altro) per il disarmo al fianco di Giorgio La Pira, Arturo Carlo Jemolo, Italo Calvino, Aldo Capitini.

Non mancherei per quella vocazione alla pace che non mi ha mai lasciato, magari stringendomi in un lato sotto le bandiere di Flavio Lotti, e chiedendomi perché una “manifestazione per la pace e per il disarmo” non l’avessero organizzata il Pd (lo so benissimo, in realtà), la Cgil, la Cisl e l’Uil finalmente insieme (quanto pagheranno i lavoratori quegli investimenti bellici?), l’Anpi, l’Arci, eccetera eccetera, dopo aver riconosciuto il fallimento di questa Europa di fronte all’Ucraina, a Gaza, a tante guerre. Un’Europa incapace di prevenire (e credo si sarebbe potuto) e di concludere, divisa, subalterna, ipocrita e, infine, per questo, debole. Del tutto povera di cultura politica (fondamento della diplomazia), vantandosi comunque i suoi rappresentanti di essere “politici”. Cito Guenter Anders: “Non facciamoci illusioni. La maggior parte di coloro che guidano le nostre sorti lo fanno in modo assolutamente cieco, del tutto privo di fantasia”. Hans Magnus Enzensberger ammoniva che la fine del mondo sarebbe arrivata passo dopo passo, uno dopo l’altro. Potremmo smentirlo, alle prese con un ping pong di atomiche.

Forse noi tutti, giovani o vecchi, dovremmo imparare a considerarci soltanto i fortunati superstiti di un secolo e di un ventennio di guerre.



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