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Una delle ibridazioni più convincenti a cui si assiste ormai da tempo è senza tema di smentite il documentario animato. Il genere ha assunto una autonomia totale nei confronti dei propri genitori, sia dell’animazione che del documentario, sfumando i contorni di entrambi e forse trovando una nuova possibile e felice sintesi tra gli opposti che si posero sin dall’inizio dell’arte cinematografica: riprendere il vero (i fratelli Lumière), o costruire artefatti (Georges Meliès)? Fotografare la realtà, o ricorrere ai trucchi più disparati, dall’animazione stessa agli effetti speciali, per dare corpo al fantastico? Il cinema documentario ha dato risposte sempre più convincenti negli ultimi anni. Pensiamo da un lato al mockumentary, che ha tradotto in finzione modi e tecniche tipiche del documentario, e dall’altro al documentario cosiddetto narrativo, che ha prodotto storie dove il confine è altrettanto impalpabile. Per questo filone ne è da anni fedele testimone Visti da Vicino, la sezione del Bergamo Film Meeting, che propone spesso opere ai confini della finzione. Rivolgendo la propria attenzione al documentario animato, l’altra classica proposta del BFM, quella dedicata al cinema d’animazione, in genere dedicata a un autore o a una scuola nazionale, come fu lo scorso anno per il Portogallo, quest’anno si è proposta di documentare, è il caso di dirlo, lo stato dell’arte di questa forma originale di narrazione, le cui origini risalgono oramai a un secolo fa.
Capostipite di questa forma ibrida di racconto fu difatti The Sinking Of The Lusitania, un corto risalente al 1918, nel quale Winsor McCay ricostruì l’affondamento del transatlantico inglese da parte di un sommergibile tedesco nel 1915 ricorrendo all’animazione. È da questo lavoro pionieristico che è partita la rassegna, denominata AnReal, che non poteva certo escludere l’opera che forse più contribuito a cambiare lo status del documentario d’animazione, anche e soprattutto nella percezione del pubblico: Valzer con Bashir di Ari Folman, che successivamente avrebbe dirottato la sua arte dell’animazione nel lussureggiante The Congress, tratto da Il congresso di futurologia, un romanzo di Stanislaw Lem.
Valzer con Bashir invece è la storia di una carneficina. Il luogo è il Libano, l’anno il 1982.Quando gli israeliani avanzavano di notte verso gli insediamenti palestinesi, i primi ad accorgersene erano i cani, che abbaiavano segnalando così l’arrivo di intrusi. A una di quelle operazioni partecipò anche Folman, militare tra i meno bellicosi, anzi riluttante a uccidere, cosicché gli venne affidato proprio il compito di sparare ai cani per impedir loro di lanciare l’allarme. L’episodio si verifica qualche tempo prima la strage compiuta dalle Falangi cristiano-maronite, nei campi di Sabra e Shatila, nei confronti dei profughi palestinesi, secondo le autorità colpevoli dell’omicidio, avvenuto nove giorni prima della sua investitura ufficiale, del presidente eletto Bashir Gemayel, Molti anni dopo, in un bar, Folman confida a un amico di sognare da anni di essere inseguito da ventisei cani inferociti, tanti quanti quelli da lui uccisi anni prima. Durante il racconto dell’incubo, però, Folman si rende conto per la prima volta di aver rimosso tutto quanto accadde nei mesi precedenti la carneficina dei palestinesi. Ricorda solo in parte i suoi compagni, ma non gli episodi, si rivede uscire dal mare, di notte, nudo, dirigersi verso la spiaggia ed entrare a Beirut, in compagnia di altri due soldati e nient’altro. Per ricostruire quegli avvenimenti ricontatta quelli che all’epoca erano i suoi commilitoni. Valzer con Bashir è la storia di questa ricostruzione, che genialmente, Folman decise di non effettuare con l’ausilio di vere interviste in forma di documentario. Scelse una combinazione di animazione in Flash, animazione tradizionale e 3D utilizzata magistralmente, ri/creando un allucinato universo dove tutti uccidono tutti, un’orgia di morte e di irrealtà, sorta di Apocalypse Now (esplicitamente citato) sulle rive del Mediterraneo.
Sono scene eloquenti. I ventenni israeliani che riducono a un colabrodo una vettura dove a bordo risulta esserci una famiglia, il fuoco incrociato di notte, da cui prende il via il valzer con Bashir intrapreso dal soldato Frenkel, amico del protagonista, che danza sotto una pioggia di pallottole per indispettire il nemico, davanti all’enorme immagine-simbolo di Gemayel, i cecchini che spuntano ovunque e sono anche solo dei ragazzini (torna alla mente la ragazzina vietnamita nel Full Metal Jacket di Stanley Kubrick).
Il risultato è uno splendido film d’animazione, colto e formalmente raffinato, un tragico documento, una pseudo biografia collettiva, una parziale ammissione di colpa, una denuncia senza mezzi termini della guerra, un atto di coraggio, se si pensa alla citazione esplicita del bambino con mani alzate del ghetto di Varsavia, che delinea un’analogia tra il comportamento nell’occasione dei comandi di Israele e i nazisti. Denuncia tardiva? Mah, certo è un’opera contraddittoria, ambigua sin dalla forma (il documentario animato, appunto), difficile da affrontare altrimenti, anche perché il conflitto è ancora tuttora lì, irrisolto. Tornando alla narrazione degli avvenimenti, lentamente Folman ricorda, la fine è prossima, è il 16 settembre del 1982, a Sabra e Shatila sta succedendo qualcosa, ma incredibilmente i soldati israeliani non si accorgono di granché, anche se con i binocoli osservano fucilazioni sommarie, una visione della violenza che ricorda (altra citazione) la sequenza finale dal Salò/Sade pasoliniano: voyeurismo del Male.
Si continua, un giornalista telefona ad Ariel Sharon allora Ministro della Difesa e gli chiede se è a conoscenza di quel che accade nei campi e lui, senza fare una piega, ringrazia per l’informazione e gli augura buon anno (il capodanno ebraico cade in settembre). Sharon si trovava nell’area del comando generale, all’incrocio dell’ambasciata del Kuwait, appena fuori Shatila. Dal tetto di quella costruzione a sei piani era possibile vedere chiaramente la città ed entrambi i campi profughi. Una complicità (o di più?) criminale che gli costò soltanto le dimissioni da ministro. Quando Folman ricorda, scorrono pochi, macabri fotogrammi della mattanza recuperati da filmati d’archivio e definirli un pugno nello stomaco rende solo pallidamente l’idea. Per la sequenza finale Folman scelse di mostrare documenti reali abbandonando la “sostituzione mimetica” indicata dalla studiosa Annabelle Honess Roe, ovvero quando le “immagini disegnate sostituiscono quelle reali perché non esistono riprese dell’evento” (Fahle, 2023). La discesa all’inferno termina qui.
Le vittime furono 700, 1.000, 1.500, 3.500: non si saprà mai. Anche le cifre ballano il valzer.
Ancora oggi, purtroppo.
Letture
- Oliver Fahe, Teorie del film documentario, Einaudi, Torino, 2023.
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