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Ai microfoni di Joe Rogan, Elon Musk ha condiviso con convinzione la tesi della “empatia suicida”.
L’ha illustrata con la sua tipica profondità: «C’è così tanta empatia che di fatto ti suicidi … credo nell’empatia, dovremmo occuparci degli altri, ma dovremmo avere un’empatia per la civiltà in generale, non commettere un suicidio di civiltà». Rogan gli alza la palla: «Qualcuno può usare l’empatia contro di te per controllare completamente il tuo stato». E Musk schiaccia: «la debolezza fondamentale della civiltà occidentale è l’empatia».
L’autore di questa teoria, nel libro omonimo, è il libanese-canadese Gad Saad. «Non c’è niente di più pericoloso in natura che una mente parassitata» ammonisce. Come nel precedente The Parasitic Mind se la prende con le «idee infettive» che hanno portato dal politically correct alla spaventosa deriva estremista nota come woke. Fin qui siamo d’accordo.
Ma Saad non si limita alla critica anti-woke. Sviluppa un’argomentazione di generale diffidenza anti-buonista, cinica e trista – «the Saad truth» – che deriva dal suo ramo di studi: la psicologia evoluzionista.
È una disciplina relativamente giovane che applica i principi della selezione darwiniana ai tratti psicologici, immaginandoli come adattamenti evolutivi. Ad esempio, il disgusto per l’odore delle feci potrebbe essere il risultato di una selezione naturale perché chi non s’immischiava con quella roba campava di più.
Potrebbe. Perché il condizionale? Lo spiega un grande neuroscienziato, V.S. Ramachandran:
«Nella psicologia evolutiva il confine tra realtà e finzione è più vago che in qualsiasi altra disciplina, e il problema è acuito dal fatto che le ipotesi non sono in genere verificabili: non si possono condurre esperimenti per dimostrarle o confutarle».
Per questo nella psicologia evoluzionista vige una grande libertà creativa: è possibile lanciarsi nelle speculazioni più grottesche e lasciare all’autorità, al carisma, al denaro o ad altre leve persuasive il compito di accreditarle, invece che al metodo scientifico. Non a caso si applica con gusto al marketing, come ha fatto lo stesso Saad.
Ora, in virtù di teorie di questo genere Saad sostiene che il naturale «riflesso evoluzionistico» di chi subisce un torto è la ritorsione. Dunque chi perdona i torti, chi fa il buono, lo fa perché la sua normale empatia è stata dirottata verso un innaturale autolesionismo. Oggi, dice Saad, «c’è una sottoclasse di persone che sono state totalmente parassitate da questa forma orgiastica di empatia illimitata», da parte di eversori dell’ordine naturale.
Sennonché l’empatia non è affatto essere buoni. Né, tanto meno, fare i buoni per forza.
Nelle parole di Vittorio Gallese e Ugo Morelli: «L’empatia è la dotazione naturale mediante la quale riconosciamo l’altro come nostro simile, sentiamo come se fossimo l’altro. Proprio per questo però la valorizzazione o l’utilizzo di questa opportunità può portare noi umani a esiti molteplici che possono essere molto positivi o molto negativi».
Essenziale per capirsi senza parole, l’empatia non basta a tenersi la mano. Si può avere un’acuta intuizione dello stato d’animo degli altri, e usarla per manipolarli senza pietà, come fanno gli psicopatici. Si può essere amorevoli in casa, e criminali fuori. Come scrive Anna Donise, «l’empatia può essere una preziosa alleata della crudeltà». Le cose sono più complicate che nelle storielle di Saad.
Rischiare la vita per salvare gente in mare, per incastrare un criminale, per rivelare ingiustizie, per trasportare un organo, sono atti di autolesionismo innaturale aizzato da qualche nemico della civiltà? O sono invece una forza fondamentale della civiltà, la quale non sarebbe mai esistita senza l’inaudita evoluzione sociale dei Sapiens che li ha dotati di tali superpoteri rispetto agli altri animali?
D’altro canto, ciò che fa(ceva) l’implacabile polizia woke non è «parassitare l’empatia», cioè secondo Saad plagiare la credulona bontà della gente. È piuttosto conquistare il potere assoluto sfruttando le vere debolezze degli umani: colpa, vergogna, invidia, ignoranza, dipendenza, fame di riconoscimento, di appartenenza, di riscatto.
L’idea paranoide della «mente parassitata», scaltro filo da complotto intessuto da Saad nella sua teoria “evolutiva”, risuona grandiosa nelle cavità interiori di tipi come Musk e Rogan, che ripetono elettrizzati la lezione del guru (Saad è molto presente su YouTube). È così che le loro debolezze vengono parassitate dalla chimera dell’empatia-bontà come «bug», backdoor disponibile agli hacker per far crashare il fantastico sistema operativo della civiltà occidentale.
(Per inciso, è ridicolo anche solo circoscrivere all’occidente ciò che è caratteristico della specie umana. Il solito ottuso senso di superiorità morale, un’altra idea parassita dura a morire).
Ne La civiltà dell’empatia Jeremy Rifkin poneva il falso dilemma di Musk in una forma più sensata: quanto più in una civiltà il cerchio dell’empatia si espande al di là di famiglia e clan, tanto più aumenterebbero gli scambi e quindi la domanda di energia, in un circolo vizioso che porta al collasso. E in effetti, il ritorno al localismo nella produzione di cibo ed energia è una chiave della sostenibilità, allineata a un uso virtuoso dell’empatia.
Purtroppo il paradosso della incivilizzazione di Trump e Musk – che con la loro incredibile lista di parole bandite superano a destra i woke – è che mentre da una parte sobilla lo spirito tribale, dall’altra accelera un’espansione ubiqua della tecnologia e del capitalismo verso un folle consumo energetico, sommando il peggio col peggio.
Sono loro il bug occidentale.
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