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Una maionese impazzita. All’indomani del voto a Strasburgo che ha visto la maggioranza andare al voto in ordine sparso su Difesa e Ucraina, il piano ReArms voluto da Ursula von der Leyen continua a dividere il governo. Con la premier Giorgia Meloni che finisce ancora una volta sotto fuoco amico, mentre alcuni fedelissimi accusano la Lega di «fare propaganda» sulla pelle del governo in un controcanto perenne. Nel tardo pomeriggio, a stretto giro dal termine del Consiglio dei ministri, rimbalza la notizia di una lite tra la premier e il responsabile del Mef Giancarlo Giorgetti, un confronto a due in cui sarebbero volati stracci. Una conversazione «franca», nella sala del Consiglio a riunione appena finita, proseguita a più riprese e rimbalzata velocemente fuori dal palazzo. Ma gli staff della premier e del ministro dell’Economia smentiscono a muso duro il diverbio, mettendo nero su bianco che Meloni e Giorgetti «continuano a lavorare in piena sintonia e con la massima condivisione sui vari dossier aperti, inclusa la difesa europea». Così come vengono negate frizioni con Salvini: «Matteo è passato in Cdm al volo, a malapena è riuscito a dire ciao», tagliano corto dallo staff del leader leghista.
LE RIUNIONI
Sarebbero state cinque le riunioni che ieri Meloni ha avuto a margine del Cdm, in diverse di queste – compresa una su ReArm – era presente il titolare di via XX Settembre. «E se c’è uno con cui Meloni si intende, quello è Giancarlo…», assicurano alcuni ministri presenti. Ma riavvolgiamo il nastro portandolo indietro di 24 ore. Ieri in tarda mattinata la presidente del Consiglio era attesa a Milano per un incontro con gli imprenditori del comparto moda. L’appuntamento salta, il Consiglio dei ministri dove è atteso il voto sull’election day e su alcuni provvedimenti economici viene anticipato di due ore. Bocche cucite sul motivo del cambio d’agenda, anche se pare che dietro ci fosse una richiesta del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Alle 15 spaccate il Cdm ha inizio e, a riunione in corso, le agenzie battono la notizia di un precedente confronto al Mit tra Salvini, Giorgetti e altri esponenti leghisti per fare il punto sul piano ReArm Europe e sugli investimenti destinati alla difesa. Il diktat che emerge in casa del Carroccio è comprare mezzi militari e altri strumenti per la difesa da aziende italiane, non francesi o tedesche, assieme all’alert, già lanciato dal responsabile del Mef a Bruxelles, a non penalizzare il debito pubblico nella corsa al riarmo. Ma comprare italiano quando si tratta di armi e difesa è pressoché impossibile. Perché gran parte dell’industria italiana poggia sulla componentistica statunitense. Ragion per cui, tra Bruxelles e Strasburgo, Fdi teme che il Piano VdL venga vincolato agli acquisti europei, finendo per avvantaggiare i soli francesi, gli unici ad essere dotati di un’industria nazionale indipendente. In Lega «fanno solo propaganda, ma qui non siamo mica all’osteria…», commenta con sarcasmo un big del partito di via della Scrofa.
LA PARTITA DEL NORD
Via Bellerio va avanti con la sua narrazione pacifista e strizza l’occhio alla base, allo zoccolo duro del Nord, visto che gran parte dell’industria della difesa italiana ha radici tra Lombardia, Piemonte e Friuli Venezia Giulia. Il tema torna anche sul tavolo del consiglio federale leghista, convocato a poche ore dal “controvertice” voluto da Salvini. E pazienza se la linea in politica estera la danno «Palazzo Chigi e la Farnesina», come rimarcato nei giorni scorsi da Antonio Tajani e ribadito in queste ore dall’azzurro Giorgio Mulè. Il Carroccio torna a ribadire l’esigenza di premiare le imprese italiane che operano nel settore, rimarcando anche il «no a deleghe in bianco su imprecisati eserciti europei». Almeno sul niet ai “boots on the ground” in linea con Meloni, che non ha ancora sciolto la riserva sulla partecipazione alla videocall dei “volenterosi” voluta dal primo ministro del Regno Unito Keir Starmer in programma domani: «se il tema è l’invio di truppe, non ha alcun senso collegarsi visto che tutti sanno come la penso», il suo ragionamento. Oggi la premier sarà a Torino, per una visita in vista dei Giochi mondiali invernali, e poi allo SpacePark di Argotec, lì dove si costruiscono costellazioni di satelliti. Ha anticipato entrambi gli appuntamenti per liberarsi una manciata di ore prima. E anche se da Palazzo Chigi negano viaggi in vista, l’allerta sui suoi movimenti è massima. Intanto lunedì il ministro Luca Ciriani riunirà i capigruppo di maggioranza per risolvere la grana della risoluzione di maggioranza in vista del Consiglio Ue. Per evitare dissidi potrebbe essere molto stringata e includere il no all’uso dei fondi di coesione per la difesa, un tema che mette tutti d’accordo, nessuno escluso. «Sicuramente si troverà un’intesa», sentenzia Salvini. E se lo dice lui…
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