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«Sarà un’opportunità di valorizzare il vallone, che a tutt’oggi è di fatto abbandonato». Così si esprime Roberto Vicquéry, presidente di Monterosa spa, in merito al Vallone di Cime Bianche, che dovrebbe essere infrastrutturato per consentire il collegamento sciistico tra Alagna Valsesia e Zermatt (https://www.ansa.it/amp/valledaosta/notizie/consiglio/2025/02/11/cime-bianche-monterosa-opzione-scelta-limpatto-sara-minimo_d10b3447-e943-4d1a-909b-2f272ea2a77b.html). Un collegamento che fa discutere da anni, con, da una parte, la Regione Valle d’Aosta e la società impiantistica, e, dall’altra, le associazioni ambientaliste e anche nomi noti (come lo scrittore Paolo Cognetti). Fa discutere perché il Vallone è uno degli ultimi angoli intatti della regione, una regione che “vanta” già 839 km di piste da sci e 196 impianti di risalita, per non parlare delle strade, comprese le piste agrosilvopastorali (diverse decine di anni fa Francesco Framarin, allora direttore del Parco Nazionale del Gran Paradiso denunciò dalle pagine de La Stampa che se si fossero messe infila le varie strade valdostane si sarebbe congiunta Courmayeur con Capo Passero).
Ma se ne parlo qui non è per l’impatto ambientale e territoriale del collegamento che permetterebbe di andare dal Piemonte alla Svizzera in infradito, bensì per un sostantivo che Vicquery usa: “valorizzazione”. È un termine che denuncia una visione del mondo comunissima, secondo cui la natura in quanto tale non vale nulla e assume un valore (non unicamente monetario, si badi bene, ma anche estetico) solo a fronte di un intervento umano. Mi ricorda un’affermazione simile che fece La Gazzetta dello Sport a proposito dell’area dove il Milan avrebbe dovuto realizzare il nuovo stadio, a San Donato Milanese. In accompagnamento alla foto che inquadrava l’area di campagna, incolta (peraltro c’è anche una zona umida), il quotidiano affermava che non c’era nulla. Ma, al di là del fatto che la natura non abbia valore, vi è anche una valutazione estetica a monte che presiede il ragionamento, e cioè che quella natura lì, sì, proprio quella natura che vediamo, senza cavi, senza spianate di cemento, senza sbancamenti, non piace. O, per lo meno, cavi, spianate di cemento, sbancamenti sono indifferenti rispetto al fine della famosa valorizzazione.
Ciò detto, veniamo a coloro che, invece di offenderla, difendono la natura. Tralasciamo la distinzione che pure si potrebbe fare tra ambientalisti di pancia e di testa, e diciamo che ciò che li distingue è il loro amore per la natura o almeno il gusto estetico che li porta ad apprezzare un ambiente integro, oppure un ambiente in cui le opere umane si integrano con l’ambiente. E allora veniamo al punto: è possibile un dialogo tra un amministratore della cosa pubblica o un imprenditore e un ambientalista? Sembra una banalità ma, a mio modo di vedere, gli ambientalisti non ragionano a sufficienza su questa tema, che spiega, se non tutte, la maggioranza delle loro sconfitte, e cioè l’abisso culturale che li separa dalla controparte. Nell’esordio ho fatto l’esempio dell’amministratore delegato di Monterosa Ski, ma uno ancora più chiaro si potrebbe fare con un altro personaggio ben più famoso: l’Aga Khan, morto negli scorsi giorni. Quando egli si recò in Sardegna, sulla costa nord-occidentale, nel 1962, scoprì un vero e proprio angolo di paradiso. Bene, cosa fece anziché lasciarlo intonso come lo aveva trovato? Acquistò i terreni, ideò la Costa Smeralda, costruì un luogo per ricchi come Porto Cervo, con 700 posti barca, residenze e hotel di lusso. La presidente delle Regione Sardegna, Alessandra Todde, nel ricordarlo in occasione della morte, ha usato queste parole: «È stato un valorizzatore della Sardegna, ha creato un modello di sviluppo virtuoso» (https://www.regione.sardegna.it/notizie/scomparsa-aga-khan-la-presidente-todde-e-stato-un-valorizzatore-della-sardegna-ha-creato-un-modello-di-sviluppo-virtuoso).
Da una parte quindi amministratori e imprenditori usano questo verbo: valorizzare. È possibile un dialogo con chi invece, dall’altra, usa il verbo difendere? La domanda è pleonastica.
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