Il paradosso Russia: la Borsa resiste ai dazi mentre le imprese valutano il ritorno


La Russia torna di moda? Mentre tutte le maggiori Borse mondiali crollano in seguito ai dazi voluti da Donald Trump, Mosca è una delle poche piazze che riesce a resistere, con il Paese che si è salvato dall’ondata tariffaria Made in USA. Dalla Casa Bianca è stato valutato che le sanzioni già in essere fossero abbastanza.

Già prima dei dazi per il rapporto tra imprese occidentali e Mosca sembrava essersi aperta una nuova fase, con molte aziende interessate al ritorno nel Paese: più recentemente si è parlato di Samsung, Hyundai e Victoria’s Secret. E le italiane? Non si tratta di un ‘ritorno’, ma è stato il caso di Ariston recentemente ad attirare l’attenzione. “La restituzione al gruppo italiano della gestione della controllata russa Ariston Termo Rus da parte della autorità russe”, spiega a Fortune Italia Armando Ambrosio, partner dello Studio de Berti Jacchia Franchini Forlani, “potrebbe incoraggiare le aziende italiane a considerare il mercato russo per investimenti futuri, nonostante le incertezze geopolitiche. Per il momento però non ci sono riscontri concreti in tal senso”.

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Lo studio di cui fa parte Ambrosio negli ultimi anni si è occupato più che altro di aziende italiane ‘in uscita’ dal Paese. “Nell’ultimo anno le richieste di assistenza sulla Russia si sono concentrate principalmente sulle problematiche connesse alla compliance in materia di sanzioni, all’esecuzione dei pagamenti ed alla procedura per il rimpatrio dei dividendi”.

Un nuovo interesse per l’export

Negli ultimi mesi, però, “si registra un maggiore interesse su questioni legate all’export verso la Russia, ma è ancora presto per fare previsioni. Molto dipenderà dall’esito dei negoziati di pace tra Russia e Ucraina”, dice l’avvocato. Il ritorno delle aziende occidentali in Russia è un’eventualità di cui si discute sempre di più con i negoziati per la fine del conflitto con l’Ucraina, ma lo stesso ministero del commercio russo a febbraio ha detto di preferire l’appoggio alle imprese domestiche in grado di riempire i ‘vuoti’ lasciati dalle grandi aziende occidentali.

2025, a rischio i marchi italiani in Russia

Le imprese potrebbero cominciare a valutare di fare qualcosa per i propri affari in Russia anche per un altro motivo. Secondo Ambrosio, le aziende italiane che hanno terminato le operazioni nel Paese dopo l’invasione Ucraina ora rischiano di perdere i propri diritti sui marchi russi per non uso.

L’articolo 1486 del Codice civile russo prevede che un marchio russo possa essere cancellato “qualora non sia stato utilizzato dal legittimo titolare per tre anni consecutivi” riassume la newsletter di Aice, associazione italiana commercio estero. Tre anni che scadono quindi, nella maggior parte dei casi, proprio in questi mesi.

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“Questo è un punto sul quale è importante sensibilizzare le aziende italiane, soprattutto quelle che hanno abbandonato la Russia dopo l’inizio del conflitto russo-ucraino nel febbraio del 2022”, spiega Ambrosio.

Nella newsletter viene spiegato che l’azione per la cancellazione del marchio può essere avviata da qualsiasi soggetto interessato ed è di competenza dei tribunali della proprietà intellettuale russi, si legge nella newsletter.

“Questo potrebbe esporre le aziende italiane che hanno cessato le proprie attività in Russia al rischio di perdere il proprio marchio. Il nostro studio sta assistendo diverse società italiane con riferimento alle attività da svolgere per impedire che tale rischio si possa concretizzare”, dice Ambrosio.

Quanto è difficile allontanarsi da Mosca…

Allontanarsi dalla Russia negli scorsi anni è diventato sempre più difficile. “Il disinvestimento da parte delle aziende straniere è stato reso, di fatto, impraticabile a causa delle restrizioni russe, che impongono agli investitori stranieri che dismettono le proprie partecipazioni in società russe di seguire una procedura complessa, che prevede la valutazione della partecipazione da parte di una società di revisione facente parte dell’elenco di società approvate dal Ministero delle Finanze, uno sconto considerevole (60%) e il versamento nelle casse dello Stato russo una parte consistente (35% del prezzo di vendita)”. Inoltre, spiega l’avvocato, “per le operazioni eccedenti un certo limite (50 miliardi di rubli) è richiesta l’approvazione del Presidente russo. Pertanto, le aziende straniere preferiscono ridurre al minimo l’attività in Russia o rendere le proprie società quiescenti”.

Anche il rimpatrio dei dividendi non è semplice. “In pratica, è distribuibile solo il 50% degli utili dell’anno precedente, subordinatamente al raggiungimento di alcuni KPI, e bisogna seguire una procedura complessa, che prevede l’approvazione da parte del Ministero dell’Industria e del Commercio e del Ministero delle Finanze russi. In alternativa, è possibile distribuire dividendi nei limiti degli investimenti effettuati dopo il 1 aprile 2023. La procedura è lenta e richiede una frequente interlocuzione con le autorità russe”.

…e cosa bisogna fare per restare

Intanto, racconta l’avvocato, le aziende che hanno deciso di rimanere nel Paese devono a normative e sanzioni. “Non è facile districarsi tra così tanti provvedimenti e bisogna tenere nella dovuta considerazione anche le controsanzioni russe, che spesso vengono trascurate dagli operatori italiani. La compliance relativa alle sanzioni sta diventando una materia sempre più complessa e difficile da gestire a causa dell’entrata in vigore dei nuovi pacchetti di sanzioni che vanno a modificare ed integrare quelli precedenti. Il nostro studio segue i propri clienti nei processi relativi all’esportazione di prodotti, all’effettuazione dei pagamenti internazionali e svolge due diligence sulle controparti russe per verificare che non siano incluse nell’elenco dei soggetti sanzionati”.

Il paradosso dei dazi

Marchi a parte, come potrebbero cambiare le cose i dazi Usa? Ci si trova di fronte al paradosso che Mosca si ritrovi avvantaggiati rispetto all’Europa? Le incognite sono tante. Nonostante l’esclusione dai dazi, negli Usa una proposta di legge prevede dazi del 500% per  chi fa affari con la Russia. “Al momento si tratta solo di una proposta di legge, il cui scopo è principalmente quello di esercitare pressione sulla Russia in questo momento in cui si registra uno stallo nelle trattative di pace con l’Ucraina. In ogni caso, potrebbe servire anche a scoraggiare l’aggiramento delle sanzioni americane, che, come noto, hanno efficacia extra-territoriale”, spiega Ambrosio.

In ogni caso, ricorda l’avvocato, “le sanzioni sono facili da applicare, molto più difficili da rimuovere. Pochi sanno, infatti, che nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale prima l’Unione Sovietica e poi la Russia sono state soggette a sanzioni fino agli anni ’90 e perfino durante il periodo della perestroika. Personalmente, dubito che le sanzioni UE nei confronti della Russia saranno rimosse a breve. Ciò cui assisteremo molto probabilmente in futuro è invece una rimozione selettiva di talune sanzioni (fenomeno, peraltro, già in atto, mi riferisco, in particolare, alla rimozione dall’elenco dei soggetti sanzionati di alcuni cittadini russi, tra cui la sorella di Usmanov e la moglie di Rotenberg, avvenuta di recente)”.

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