Il risveglio del capitalismo italiano


Villois

Evviva, finalmente, dopo decenni, un grande top player a capitale italiano acquista l’intera proprietà di un altro di gran rango, anche se un po’ arrugginito, per rilanciarlo quanto merita. La family Prada, una delle sei maggiori del fashion, acquisendo lo storico marchio Versace ha dimostrato quanto il grande capitalismo nostrano, ricco e brillante fino a pochi decenni fa, abbia ancora munizioni eccezionali per riportarsi – almeno in certi comparti – ai vertici mondiali e nel caso del fashion, nelle sue più ampie declinazioni, di essere in grado di gareggiare con Lvmh della famiglia Arnault, Kering dei Pinault, mentre restano di un’altra costellazione Hermes e Chanel, il primo quotato a Parigi, il secondo fuori dalla Borsa.

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Prada ha reputazione, capacità manageriale, disponibilità finanziarie per rilanciare Versace e grazie all’acquisizione avvicinarsi ai colossi transalpini. I numeri del gruppo Prada sono lusinghieri: quotata a Hong Kong, con circa 15 miliardi di dollari di capitalizzazione e 5,5 miliardi di ricavi 2024, utile di circa 900 milioni di euro, aprezzamento degli analisti e disponibilità del sistema finanziario a sostenerne ogni espansione. Tutti indicatori che fanno capire quanto sia possibile il ritorno in campo del grande capitalismo familiare, che al suo fianco troverebbe un sistema bancario solido e in grado di fare cordate che restituiscano smalto alle imprese nostrane di medie-grandi dimensioni, delle quali, soprattuto le prime, sono quasi sempre pilastri di ampie filiere, le quali però sono sempre più sotto il controllo di capitali esteri. Il capitalismo tedesco e francese, a differenza del nostro, ha mantenuto il controllo delle grandi imprese, da cui derivano le catene delle filiere italiane. Non solo il Governo, ma anche gli enti locali debbono favorire, con burocrazia allentata, investimenti per nuove aree produttive e norme tributarie accattivanti per fusioni e incorporazioni, come va favorita l’immissione del capitale di rischio da parte di soci e azionisti. Sbaglia chi non capisce che all’origine del successo di un Paese ci sono le imprese: più dimensionate sono più possono far crescere le loro filiere.



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