Gli infiniti affari criminali della banda della Barona, nuove accuse e personaggi inediti per la piovra milanese

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito


Gli affari criminali della banda della Barona sono un pozzo senza fondo. Un vaso di Pandora che, scoperchiato con la doppia inchiesta Barrios del 2023 coordinata con acume dalla polizia penitenziaria e dalla Procura di Milano, ancora oggi fa emergere contatti, collusioni e reati. Decine di reati fine che però si inquadrano nello scenario di una associazione a delinquere che ha il suo nucleo nel quartiere milanese della Barona. E se qui c’è la testa, i tentacoli di questa nuova piovra si allungano su diversi interessi: quelli della collusione con esponenti di rango di Cosa nostra e ‘ndrangheta, del riciclaggio nei locali della movida, dell’infiltrazione negli affari delle curve di Inter e Milan, degli interessi nel mondo dei cantanti trap, e, ça va sans dire, la droga, commerciata a chili e sversata a fiumi sulla città.

Gli indagati – A far da registi Nazzareno Calajò e il nipote Luca. Sotto di loro una piramide di proconsoli e comprimari, armieri e spacciatori, picchiatori e appassionati dell’estrema destra neofascista. È la riedizione meneghina, per violenza e capillarità, della banda della Magliana. Non manca, del resto, l’ipotesi di una associazione con i crismi della mafia. La Procura di Milano indaga in questo senso. I pm Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco tengono il punto e affidano ai carabinieri del Ros quegli accertamenti specifici che se arriveranno a dama potranno riscrivere senza dubbio la storia della presenza mafiosa a Milano.

Le inchieste e i processi – Nell’attesa, va detto che allo stato dei processi (in primo grado) con condanne (tante) e qualche assoluzione, il tribunale di Milano deve ancora mettere a fuoco l’aspetto rivoluzionario di questa inchiesta. Perché se da un lato nella sentenza in abbreviato il giudice che ha condannato (traffico di droga) Nazzareno Calajò, ha sdoppiato l’associazione, in questo modo mandando assolto Massimo “spara spara” Mazzanti, proconsole di Nazza. Dall’altra, nel troncone su un affare di cocaina con la Sardegna, altro giudice ne ha ritenuto l’unitarietà. Sull’assoluzione di Mazzanti, come anticipato dal Fatto, il pm De Tommasi ha fatto appello. E ora, appena qualche settimana fa, i due magistrati antimafia, finiti sotto scorta proprio per le minacce di morte ricevute dalla banda di Nazza Calajò, hanno chiuso le indagini sempre sulla banda della Barona per una sfilza di nuovi reati fine contestati a decine di protagonisti di questo nuovo romanzo criminale ed emersi dall’ascolto delle intercettazioni in carcere e dalla analisi forense sui cellulari sequestrati eseguite sempre dalla polizia penitenziaria. Non un particolare di poco conto che dimostra due cose: la caparbietà dei due magistrati, nonostante pressioni e minacce, per sollevare definitivamente il velo su questa banda radicata da decenni in Barona e la robustezza di questa associazione criminale puntellata una volta di più dai reati. Che in questo caso, in perfetto stile para-mafioso, vanno dal traffico di droga, alla gestione delle piazze di spaccio, fino alle armi e alle intimidazioni violente.

Le nuove contestazioni – Procediamo allora verso il lungo elenco riassunto nelle 85 pagine di questa inedita chiusura indagini che spalanca le porte a un altro probabile maxi-processo. Nella nuova accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga (art.74), ritorna ad esempio Mazzanti, come detto assolto per il medesimo reato. A “Spara spara” però vengono contestati anche due nuovi episodi di spaccio e soprattutto il capo d’imputazione 108 “perché illegalmente deteneva, trasportava e portava in luogo pubblico un’arma comune da sparo (“il ferro”, ossia una pistola), occultandola all’interno dell’autovettura a lui in uso, nel cassettino del cruscotto”. Proconsoli e capi in testa, come Nazzareno e Luca Calajò. A entrambi i pm contestano nuovi reati fine che vanno dalla compravendita di droga fino alla detenzione di armi e all’estorsione. Quest’ultimo reato è contestato due volte a Luca e una a Nazzareno in concorso. Per Nazza al capo d’imputazione 133 il pm scrive: “In concorso tra loro (Nazza e Francesco Bisi, ndr), con minaccia consistita nell’introdurle una pistola in bocca (“messo il ferro in bocca”), con condotta materialmente posta in essere da Bisi, su disposizione del Calajò, costringeva Katia Adragna a pagare un debito di 8mila euro”.

I personaggi vecchi – Stessa musica per Luca Calajò, l’altro “king” di questa storia. Armi ed estorsioni. Una pistola che Calajò “portava in luogo pubblico, utilizzandola anche per risolvere, mediante minacce, controversie interne al sodalizio”. Tra queste, quella per cui Luca Calajò “con minaccia consista nel puntargli alla testa la pistola (“L’ho messo in ginocchio e gli ho messo il ferro alla testa”) costringeva Enzo Cesarano, detto Enzino di via Gola, a consegnargli il corrispettivo di una partita di cocaina che Calajò gli aveva ceduto”. Mica finita. Calajò pare recidivo e così in altri due capi d’imputazione il reato di estorsione viene commesso, secondo il pm, per un debito di droga e “con minaccia consistita” nel dire a Simone Granillo detto il Piccolo “se non paghi ti brucio la casa” e quindi colpirlo con una sberla (“quel mezzo pugna sulla bocca”). Nel secondo sempre Luca Calajò assieme a Giovanni il calabrese puntava un coltello alla gola a una sua spacciatrice in debito con lui.

E gli inediti – Nella chiusura indagini compaiono poi nuovi interpreti della scena criminale, come Alessandro Settecase, detto il secco, ex ultras rossonero che, intercettato con Luca Calajò, racconterà come fu lui uno dei protagonisti della successione al potere della curva Sud prima di Giancarlo Lombardi e poi di Luca Lucci a discapito dello storico gruppo Fossa dei leoni. Per lui il pm scrive: “Settecase era uno stabile e continuativo cliente del sodalizio, mantenendo frequenti contatti con Luca Calajò, dal quale acquistava quotidianamente cocaina destinata alla vendita a terzi (…). Era anche fornitore, in favore dell’organizzazione stessa, di hashish e marijuana”. A lui vengono poi contestati nuovi episodi di spaccio in concorso con altri. Tornando al reato di associazione. Nuove contestazione per Vladimiro Vlad Rallo, il quale, se pur rientra nell’associazione per droga, ha, secondo il pm, il ruolo di “addetto alla custodia delle armi, oltreché uomo dì fiducia di Nazzareno Calajò”. E ancora: “Braccio armato dell’organizzazione (…) scagnozzo di Calajò senior pronto a ricorrere ad atti di violenza, anche mediante uso di armi da sparo, componente del gruppo di fuoco a disposizione dell’associazione”. Poi c’è Franco il Bello, al secolo Francesco Bisi (accusato anche per estorsione in concorso con Nazza Calajò, ndr), anche lui indagato per l’articolo 74 in quanto “coadiuvava Luca Calajò nella conduzione del traffico di droga e nella gestione dei contatti con fornitori e clienti (…). Si occupava inoltre di gestire rapporti con esponenti di altri gruppi criminali (…). Svolgeva anche il ruolo di custode delle armi e interveniva con azioni di forza e intimidazione per tutelare il prestigio dell’associazione”. A lui è contestato anche il reato fine per un traffico di 10 chili di droga assieme a Calajò.

Armieri, picchiatori e cottimisti della droga, si diceva. Come Mirko Misha Cito. Anche per lui accusa di associazione e un ruolo ben definito. Titolare del “punto vendita rappresentato dall’appartamento di via Giambellino, luogo di riferimento stabile per spacciatori e consumatori dello stupefacente nonché destinato all’incasso dei proventi illeciti per conto di Luca Calajò”. Il gruppo della Barona è poi come una matrioska. A ogni bambola ne segue una più piccola. Alla struttura di comando tante mirco-strutture, come quella a cui partecipa Mauro Papagna detto Lenzuolo. Cavallino di zona, Lenzuolo, provvede anche “al trasporto, allo stoccaggio e al confezionamento della droga”. Con Lenzuolo lavora anche Nuvola, al secolo Alessio Dessì, altro cavallino di ruolo. Insomma, il vaso resta aperto, i pm indagano. Un nuovo processo (61 gli indagati) si vede all’orizzonte. In attesa che si chiuda la partita sull’associazione mafiosa. A quel punto il cerchio sarà chiuso. E l’inchiesta della Dda di Milano e dei pm Francesco De Tommasi e Gianluca Prsico entrerà nei libri della storia criminale milanese.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link