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Economia circolare, Polimi: “La strada è ancora lunga per le imprese italiane” #finsubito prestito immediato


Rallenta l’economia circolare nelle imprese italiane. Nell’ultimo anno, i risparmi generati dalle politiche green sono stati solo di 800 milioni di euro in più rispetto al 2023 (quando l’aumento era stato di 1.200 milioni). Un risultato deludente che ha portato il risparmio totale a 16,4 miliardi l’anno, cifra molto lontana dai 119 miliardi “teorici” a cui dovremmo aspirare. Dunque, stiamo sfruttando solo il 14% del potenziale, con un divario ormai difficilmente colmabile da qui al 2030. Tradotto: “La strada per dichiararsi completamente circolari è ancora lunga per le imprese italiane”

A dirlo è il Circular Economy Report 2024, redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano e presentato insieme ai partner della ricerca, che riporta anche un’indagine su oltre 550 imprese italiane di 8 macrosettori (arredi, costruzioni, elettronica, impiantistica industriale, tessile, alimentare, autoveicoli, imballaggi).

Il rapporto calcola che in una scala da 1 a 5, il valore medio di adozione che le nostre aziende si danno è di 2,24 e solo il 3% (in larga parte nel mondo degli imballaggi) si attribuisce il massimo. Cresce, anche se solo del 5%, la taglia media degli investimenti, che restano però concentrati sotto i 50.000 euro (quasi il 50%) e con tempi di ritorno che, per il 41% delle imprese, sono inferiori ai 12 mesi.

Le pratiche circolari sono più diffuse nelle grandi aziende (46%), mentre il 36% è ancora scettico e non ha in programma di farle nemmeno in futuro. Solo il 22% ne avrebbe intenzione: se si scende di dimensioni, poi, le percentuali si avvicinano, fino ad arrivare alle Pmi dove gli scettici (il 39% e in crescita) superano gli adottatori (37%). Il 31% delle imprese circolari ha sede in Lombardia e la presenza è in genere più massiccia nel Nord Italia.

“È purtroppo evidente come le pratiche di economia circolare non siano entrate nel core business delle imprese – commenta Vittorio Chiesa, direttore di Energy&Strategy -. Al contrario, il sistema finanziario sta indirizzando sempre più i capitali verso investimenti che favoriscono questo innovativo modello economico: i green bond emessi dalle principali banche italiane hanno raggiunto quasi 8 miliardi di euro, il 74% in più rispetto all’anno precedente. E sta crescendo anche la consulenza in ambito sostenibilità (+25%)”.

La storia si ripete. “È successo un po’ come nel risparmio energetico – spiega Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S -: finché si trattava di fare interventi semplici e poco dispendiosi, in questo caso recuperare e valorizzare gli scarti, è andato tutto bene, ma adesso che occorre investire nella riorganizzazione dei processi industriali e delle filiere, la questione cambia”. Ma non è tutto nero, in Italia ci sono anche storie di successo, produzioni che seguono modelli di business circolari. “Noi ne abbiamo isolate 100 – aggiunge Chiaroni – concentrate tra Lombardia, Piemonte e Toscana. I settori più rappresentati sono: manifatturiero, automotive, tessile e abbigliamento. Per quasi metà si tratta di imprese di piccole dimensioni, ma in un quinto dei casi hanno oltre 250 dipendenti e un fatturato tra 100 milioni e il miliardo, cioè sono tra quelle che costituiscono l’ossatura dei comparti industriali italiani ed è quindi importante che si approccino all’economia circolare. Purtroppo, le medie imprese, che sono le più numerose, arrivano appena al 22%”.

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Il rapporto segnala che, oltre alla finanza green, il settore della consulenza in ambito sostenibilità sta registrando un’espansione significativa: a fine anno si prevede che questo mercato raggiunga un valore di 800 milioni di euro, cioè il 13% del totale della consulenza in Italia, con un aumento del 25% rispetto all’anno precedente. Nonostante i progressi, invece, la crescita nei settori degli enti di certificazione, degli studi legali e della formazione appare più lenta e moderata e la loro presenza sul territorio risulta disomogenea: mentre il Nord Italia concentra un numero significativo di queste risorse, il Sud rimane in gran parte privo di un supporto strutturato.

Ad esempio, tra i primi 50 studi legali italiani per fatturato, quelli che offrono servizi dedicati alla sostenibilità e all’economia circolare sono il 54% e si trovano in Lombardia e Lazio, regioni caratterizzate da un ecosistema imprenditoriale attivo e da iniziative orientate all’innovazione sostenibile. Al contrario, nel Sud Italia questi servizi risultano praticamente assenti. Analogamente gli enti di certificazione svolgono un ruolo fondamentale nel sostenere la transizione verso l’economia circolare, offrendo servizi di verifica conformi a norme come Iso, Emas ed Easi: gli enti abilitati a certificare in ambiti legati alla circolarità rappresentano solo il 10% del totale e sono quasi completamente assenti al Sud.

“La mancanza di un’integrazione efficace tra i diversi attori, combinata con l’assenza di standard consolidati, rappresenta una sfida cruciale: la frammentazione rende difficile per le imprese accedere a un’assistenza coordinata e strutturata, limitando la loro capacità di implementare strategie circolari in modo completo”, conclude Chiaroni.



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