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“Non ci restare male e goditi questo periodo da super mamma”, le scrive il team leader, che è un po’ il linguaggio da villaggio vacanze per definire il boss. Non c’è 8 Marzo che tenga. Non nascono abbastanza bambini in Italia. Se la crisi demografica resta com’è, per il 2042 il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, prevede un crollo del Prodotto interno lordo italiano del 42 per cento. Troppi anziani, pochi giovani. Le aziende chiudono, i consumi crollano. Una catastrofe. Ma, nonostante questo allarme, se ci avviciniamo alla vita di ciascuna donna, le occasioni di ricatto economico trasformano ogni persona in un ostaggio. Molestie sessuali. Differenze di carriera. E poi la condanna al mobbing, all’emarginazione, grazie a molti datori di lavoro, quando viene annunciata la maternità. Nemmeno il Comune di Milano, come vedremo più sotto, sarebbe immune da discriminazioni. L’indignazione, dopo l’inchiesta di Today.it sull’operatrice sanitaria cacciata da un ospedale perché incinta, è già stata cestinata (il video in fondo a questo articolo).
La storia di Anna, 39 anni, cacciata perché mamma
Cominciamo dalla storia di Anna, 39 anni, divorziata e adesso mamma di due bambini. Il messaggio su Whatsapp che pubblichiamo vicino al titolo l’ha ricevuto lei. E la sua è una delle tante segnalazioni che la redazione di Today.it riceve ogni mese. Anna lavorava al Sud, per una società interinale che rifornisce personale al call-center di una delle principali compagnie telefoniche. Quell’attività porta a porta, o meglio telefono-telefono, che sostiene la promozione dei contratti di aziende di servizio. Ma che risponde con pazienza anche quando siamo noi a cercare informazioni, consigli, assistenza.
Anna già guadagna un misero stipendio di 780 euro al mese. Ma resta incinta e, nel periodo di maternità, l’indennità scende ancora: 685 euro al mese. Terminato il periodo, il calcio sui denti: il contratto non viene rinnovato, deve restare a casa. C’è la disoccupazione, certo, ma sono 622 euro mensili che equivalgono alla fame. E comunque rimane l’ingiustizia. Anna cerca di capire il perché con il suo capo, con cui aveva un buon rapporto. “Chissà perché me lo sentivo – gli scrive – e sì, ci sono rimasta un po’ male. Mi piacerebbe conoscere le ragioni di questa decisione e magari sperare un giorno in un reintegro… grazie per tutto, a presto”.
L’addio su WhatsApp: licenziata con baci e cuoricini
La risposta è quella che pubblichiamo nel messaggio vicino al titolo: schietta, sincera, senza vergogna. Un messaggio su WhatsApp. Con tanto di emoticon, un bacino, un cuoricino. “Ciao, purtroppo il motivo è solo uno ed è la maternità, che purtroppo non è compatibile con le esigenze di business (emoticon dispiaciuto). Non ci restare male – le scrive il team leader – e goditi questo periodo da super mamma, al reintegro ci pensiamo noi dopo, è stato già fatto e non vedo grosse difficoltà (emoticon del bacio). Un abbraccio forte e scusami per il ritardo nel rispondere (cuoricino)”.
La mamma al suo secondo figlio lavorava da casa, come le altre colleghe del call-center. La gravidanza non era a rischio. Quindi non c’era nessuna incompatibilità con il tipo di impiego. Non rischiava insomma di mettere in pericolo il neonato, o di sparire in un lungo periodo di malattia, come tra l’altro sarebbe stato suo diritto. Anna ha bisogno di lavorare e avrebbe lavorato anche accanto alla culla. Ma business is business, gli affari sono affari: goditi questo periodo di maternità e torna pure, magari quando tuo figlio ha vent’anni e non dipende più da te. “Certo – dice Anna a Today.it – ho un compagno, ma ho anche una dignità. Non posso e non voglio dipendere da lui economicamente”.
Madre di quattro figli costretta a lavorare di sera
Dal Sud al Nord. Milano. Città e progresso. Expo 2015. Olimpiadi 2026. Il Comune sensibile al prossimo, agli ultimi, ai lavoratori, secondo molte campagne pubblicitarie. Così dovrebbe essere per tutti. La signora E., 40 anni, lavora per una cooperativa come addetta alle pulizie della residenza comunale per anziani Ferrari e la Casa di riposo per coniugi. È stata assunta nel 2009, con un contratto part-time a tempo indeterminato. Da lunedì a giovedì dalle 9.30 alle 14.30. Il venerdì dalle 9 alle 15. L’orario le consente di essere a casa in tempo per il ritorno dei figli da scuola. Ora hanno 18, 16 e 11 anni. Ma a febbraio 2023 nasce il quarto figlio.
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Pochi giorni prima di rientrare dal periodo di maternità, le comunicano che le è stata assegnata una nuova mansione. La giustificazione parla di “imprescindibili esigenze organizzative”. La mettono di turno fino a sera: dalle 18 alle 21. Una baby-sitter costerebbe più di quanto guadagna. E non esistono asili nido aperti dopo il tramonto. Di solito il datore di lavoro – in un Paese che davvero tutela la donna, i bambini, la famiglia – adegua, se è possibile, l’orario ai bisogni della mamma. E sicuramente è possibile, visto che E. ha lavorato la mattina nelle stesse strutture dal 2009 al 2022. Una turnazione che le ha consentito per anni di conciliare il lavoro con, allora, i suoi tre bambini. E adesso che i figli sono quattro, ci sarebbe una ragione in più per assecondarla.
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Nessuno lo ha detto apertamente. Ma E. è convinta che l’atteggiamento sia una sorta di ritorsione per la sua assenza durante il periodo di maternità. Per questa ragione si è rivolta a un legale, l’avvocato del lavoro Domenico Tambasco, che definisce la situazione “discriminatoria, ritorsiva, nociva e molesta”. Lo ha scritto nella diffida inviata il 23 ottobre 2024 alla cooperativa. Nessuna risposta. E poiché si tratta di un appalto affidato dal Comune di Milano, lo ha ripetuto nell’intimazione inviata all’ufficio del sindaco Giuseppe Sala. “Anche dal Comune ancora nessuna risposta – protesta l’avvocato Tambasco -. Nel frattempo la signora, sapendo del rischio di perdere il lavoro che le serve a mantenere la famiglia, non ha retto alla tensione ed è caduta in depressione”. Sarebbe bello se oggi Anna e mamma E. potessero riottenere i loro ruoli di donne lavoratrici. Buon 8 Marzo.
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